Riforma pensionistica del 2011: la sua cancellazione non risolve nessun problema

Riforma pensionistica del 2011: la sua cancellazione non risolve nessun problema

Riforma pensionistica del 2011: la sua
cancellazione non risolve nessun problema
Questa legge, che un gruppo di liberi professionisti vorrebbe abrogare attraverso referendum, ha potenziato la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo e alleggerito il carico sui giovani. Paradossali le motivazioni poste nella relazione al quesito referendario. Inaccettabile l’idea che si possa agire solo sull’età pensionabile, aumentando a dismisura la permanenza al lavoro, magari fino a 70 anni…
di Donatella Olga Zanotti – Segretario Confederale CSdL
19 marzo 2012 – L’ultima riforma pensionistica, datata dicembre 2011, non ha del tutto archiviato la vicenda previdenziale, rimandando ad ulteriori interventi di modifica e aggiustamenti il completamento di un processo iniziato nel 2005. Infatti, perché il sistema giunga alla sua piena autosufficienza finanziaria, saranno necessari interventi ancor più onerosi relativamente alla pressione contributiva sui lavoratori, e forse anche di diminuzione del valore delle pensioni; insomma, interventi ben più pesanti di quanto non abbia fatto la riforma pensionistica del 2011, che un gruppo di liberi professionisti vuole cancellare, attraverso un referendum abrogativo.
È innegabile che l’intervento riformatore del 2011, e ancor prima quello del 2005, hanno potenziato la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo, agendo sui meccanismi fondamentali e su altri aspetti comunque importanti per il consolidamento del sistema, attraverso interventi equi in un quadro di progressivo alleggerimento del carico sui giovani lavoratori. Alla base delle contestazioni mosse dai referendari, come si legge nella relazione a sostegno del quesito referendario, vi è l’aliquota contributiva, che dal 13% verrà incrementata gradatamente al 22%, allineandola a quella applicata a tutte le altre categorie di lavoratori autonomi. Tale aliquota è da loro ritenuta eccessivamente onerosa, e gli importi pensionistici che si ridurranno, a regime, tra il 55% e l’80%, sono considerati troppo bassi. È indubbio che sono interventi dolorosi, ma sono stati introdotti proprio nell’ottica di diminuire la pressione sulle giovani generazioni e con un’attenzione particolare per i redditi più bassi, che avranno una copertura pensionistica più favorevole.
La pozione dei referendari è a dir poco paradossale: da un lato dicono che è troppo debole e costosa, e dall’altro che ci vogliono interventi ben più energici per mettere in sicurezza l’intero sistema pensionistico. Due posizioni inconciliabili.
Va ricordato che le leve da azionare, quanto si mette mano ai sistemi previdenziali, sono principalmente tre: l’entità delle contribuzioni, l’entità delle prestazioni e l’età pensionabile. L’idea suggerita dai referendari, è che si possa modificare una soltanto di queste leve, ovvero l’innalzamento dell’età pensionabile per mettere in sicurezza il sistema; ma questa idea non soltanto è debole, ma è anche insostenibile. Infatti va ricordato che già con la riforma del 2005 si è portato il precedente limite pensionistico di 60 anni a 65, con quest’ultima legge lo si è ulteriormente alzato fino a portarlo a 66 nel 2021. Quindi diciamo no grazie, un ulteriore aumento non ci interessa affatto, e soprattutto è un fattore questo su cui si è particolarmente agito in questi provvedimenti di riforma.
Dubito che i lavoratori dipendenti, in particolare, possano condividere la scelta di cancellare una riforma che rafforza i capisaldi del sistema, per poi ritrovarsi spostata ad oltre 70 anni l’età pensionabile. Se poi i liberi professionisti si sentono in condizioni psico-fisiche soddisfacenti per lavorare più a lungo nel tempo, potranno farlo a tutto vantaggio del loro fondo pensionistico, salvo poi magari far ricadere sui giovani parecchi problemi nell’accesso alle opportunità professionali.
E se poi, in uno slancio solidaristico verso i giovani professionisti, i loro colleghi più anziani vorranno aumentare il reddito imponibile su cui calcolare l’aliquota contributiva, ciò produrrebbe un ottimo risultato in termini di incremento del loro fondo pensionistico, ed al tempo stesso renderebbe un utile servizio alla collettività intera con effetti sul gettito a favore del bilancio dello Stato. Interventi di integrazione e modifica devono essere possibili per migliorare la legge, l’abrogazione invece non risolverebbe nemmeno uno dei problemi evidenziati dai referendari.
 

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