San Marino. Contraffazione e riciclaggio, Cassazione conferma sequestri

San Marino. Contraffazione e riciclaggio, Cassazione conferma sequestri

Contraffazione e riciclaggio tra Italia e San Marino, Cassazione conferma sequestri

Congelati beni per oltre 18 milioni. Per l’accusa gli indagati utilizzavano una doppia registrazione del marchio, in Italia e sul Titano, aggirare le norme in materia

Antonio Fabbri

L’operazione denominata “Eden brand” è del maggio di quest’anno ed ha visto sequestri per svariati milioni di euro oltre a misure cautelari reali nei confronti di imprenditori riminesi ed al sequestro preventivo di 3 aziende, delle quote societarie di 5 società, 12 immobili, un’imbarcazione e svariati rapporti finanziari del valore di 18 milioni di euro.

Per la vicenda erano finiti ai domiciliari un imprenditore riccionese di 46 anni e il socio, di 58 anni, residente a Talamello. Oltre 35 gli indagati in tutta Italia, soprattutto rivenditori e negozianti. Altri due imprenditori, secondo la Guardia di Finanza prestanome di ditte sammarinesi ma residenti in Italia, erano stati interdetti dall’attività commerciale. Per l’accusa, il meccanismo escogitato utilizzava la rete di agenti lecita per vendere anche i prodotti contraffatti, stoccati a San Marino e che finivano quindi in vetrina al pari degli originali. 

Come finisce nella vicenda anche San Marino? Sfruttando la convenzione di buon vicinato gli indagati, tramite una società sammarinese, avevano registrato ‘Thrasher’, griffe molto in voga tra i giovani, all’Ufficio marchi e brevetti de Titano. Durante una perquisizione nelle due aziende a San Marino erano state anche trovate chiavi di cinque cassette di sicurezza di banche italiane, che contenevano fino a quasi 2 milioni di euro. Le intercettazioni hanno soprattutto consentito di provare la mancanza di buonafede nella doppia registrazione del marchio. Di quelle intercettazioni parla anche la sentenza della Corte di Cassazione, la numero 51933, pubblicata il 23 dicembre scorso. La Seconda sezione penale ha confermato le misure cautelari prima disposte dal Gip di Rimini e poi confermate dal Riesame di Bologna e, quindi, confermate dalla Cassazione.

Secondo l’accusa riportata nella sentenza della Corte, il principale indagato “in concorso con altri soggetti, aveva creato e commercializzato prodotti con segni contraffatti di note marche di abbigliamento reinvestendo i profitti illeciti di tale attività nelle stesse aziende di produzione e commercializzazione”.

Ad impugnare i provvedimenti cautelari gli avvocati Filippo Cocco e Stefano Brandina che hanno sostenuto non sussistente la gravità indiziaria, hanno sostenuto una errata determinazione del profitto sequestrabile e, infine, hanno sostenuto che essendo il marchio registrato a San Marino non sarebbe stata considerata, nelle contestazioni, la convenzione di buon vicinato tra l’Italia e il Titano. I difensori hanno anche sostenuto non sussistente il pericolo di reiterazione del reato invocando la proporzionalità della misura cautelare applicata.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha ravvisato gli elementi sollevati dalle difese, ed ha dichiarato infondato il ricorso. In particolare ha richiamato la sentenza del Tribunale del riesame di Bologna che riporta “che dalle intercettazioni telefoniche in atti emerge con chiarezza la mala fede dell’indagato che, pur consapevole della privativa Thrasher tutelata in sede comunitaria, ha dolosamente proceduto alla registrazione dello stesso marchio nella Repubblica di San Marino”.

Quindi la doppia registrazione del marchio, in Italia e a San Marino, doveva servire, stando all’accusa, ad aggirare le norme a tutela dei marchio fingendo, all’atto della registrazione, di non sapere che il marchio fosse già registrato e tutelato. Ciò evidentemente in danno anche degli uffici preposti alla registrazione. La Corte ha dunque rigettato il ricorso sul procedimento che, a quanto si sa, è tuttora pendente presso il tribunale di Rimini e, viste le attività transfrontaliere contestate agli accusati, non è escluso che possa essere già stata aperta una inchiesta anche a San Marino.

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