San Marino. Emmanuel Gasperoni, l’intervista di Antonio Fabbri

San Marino. Emmanuel Gasperoni, l’intervista di Antonio Fabbri

Intervista a Emmanuel Gasperoni, trasferitosi al Sant’Orsola “In ospedale politica restauratrice pericolosa per la popolazione che deve esserne informata”

L’esodo dei medici in questa fase dovrebbe fare preoccupare fortemente i responsabili della Sanità, che invece non pare si siano mossi neppure per conoscere le motivazioni delle dimissioni di alcuni medici. Tra questi Emmanuel Gasperoni (foto), anestesista, al quale abbiamo chiesto i motivi della sua scelta.

Perché ha deciso di lasciare l’ospedale di San Marino? Dopo le dimissioni dove lavora oggi? “La risposta è tanto dolorosa quanto semplice: non c’erano più, come ho scritto anche sulla lettera di dimissioni, le condizioni minime della dignità professionale per capziosi personalismi e interessi di bottega, fuori luogo ed inaccettabili in un periodo di emergenza come quello covid, non mi è stato consentito di poter lavorare nel reparto dove ho svolto la mia opera per 16 anni; questo mi ha impedito sia di fare la mia parte (esercitare la mia specializzazione), sia di fornire supporto ai miei colleghi storici, certamente costretti a carichi di lavoro imponenti. Condizioni altrettanto inaccettabili a corollario sono state altresì il veto che mi è stato posto anche solo di avvicinarmi alla terapia intensiva per un saluto ai colleghi oppure il cambio di serratura nello spogliatoio, con la motivazione, da parte dell’ultimo tirapiedi, che non mi era consentito “cambiarmi con gli altri anestesisti”, chiedendo e trovando asilo nello spogliatoio della ginecologia. Volendo comunque per carattere trovare del buono in ogni cosa, ringrazio comunque il dottor Arlotti per avermi permesso, lavorando nel suo reparto internistico pluri-disciplinare, di imparare un approccio nuovo e diverso al paziente che sicuramente mi arricchirà, nonché per aver avuto la possibilità di lavorare a fianco di tanti giovani specialisti, prima fra tutti la dott.ssa Anna Ferri: a tutti loro rivolgo la mia stima per ciò che, senza pulsioni di ribalte e clamori, stanno portando avanti in silenzio ogni giorno nella “trincea covid”. Da un mese sono tornato in turno nella Terapia Intensiva covid del padiglione 25 del policlinico Sant’Orsola di Bologna. La ringrazio, comunque, per questa domanda perché mi offre la possibilità di sgombrare il campo subito da tutti coloro che sostengono che i medici se ne vadano per denaro. Non è così nel mio caso e nemmeno per tanti altri, che lavoriamo ad oggi in Ospedali pubblici italiani.

Che cosa non funziona nell’ospedale di San Marino? “Pur non ricoprendo più incarichi istituzionali, né svolgendo politica in prima linea e volendo dare alle mie risposte un taglio esclusivamente da professionista e da cittadino sammarinese, mi corre l’obbligo di una riflessione sociopolitica (senza velleità e con buona pace dei tanti Massimo Cacciari che possediamo in Repubblica e sui social!) per poter rispondere a questa domanda. Sono circa 10 anni che assistiamo ad una lenta ma progressiva diaspora dei medici soprattutto della fascia di età tra i 40 e i 50 anni. Questo dato preoccupava anche la legislatura precedente, fino al punto di aver approvato una legge, la 6 novembre 2018 numero 139 (la cosiddetta legge-medici), che ha finito per lasciare sguarnito l’ospedale di medici in mezzo all’emergenza coronavirus. Vengono così assunti o neo specialisti o richiamati medici già pensionati, quando invece ognuno può capire come ciascun ospedale sia spinto avanti proprio da quei medici di mezza età che hanno già alle spalle 10 o 15 anni di esperienza, tuttavia sono in grado di coprire più di altri notti lunghe, festivi e reperibilità mettendo in sicurezza l’Istituto. L’ingessamento dei reparti da parte di diversi primari attempati e il loro individualismo, l’impossibilità di progressione professionale e di carriera, nonché quella di poter costruire un team collaborativo di medici multispecialisti per lanciare l’Ospedale verso il futuro e mantenerlo al passo con gli altri, che nel frattempo corrono ai 200 all’ora, porta i medici ad andarsene. Non certo il denaro. O la libera professione, come qualcuno convenientemente vuol far credere. E certo, nonostante i continui avvertimenti e richiami da parte dei medici, la politica tutta è stata ed è tuttora miope”.

Vengono ventilate con insistenza le dimissioni del Commissario Arlotti. Le risulta? Quale il rischio in questa fase? “Effettivamente la notizia è rimbalzata e ne ho sentito parlare da fonti autorevoli. A chi un po’ sa leggere tra le maglie della politica, quella che fa uso anche di farneticanti articoli su sedicenti giornali sammarinesi di esponenti arrugginiti della prima Repubblica che non accettano il loro superamento, non è certo sfuggito il disegno che ci può essere dietro a queste presunte dimissioni. Ma come ho detto non voglio addentrarmi in valutazioni politiche. Come medico in prima linea sul Covid e come cittadino Sammarinese la notizia del possibile abbandono del Dottor Arlotti, piuttosto, mi rende molto preoccupato: perdere infatti un Commissario straordinario ed un infettivologo preparato che tenga le fila dello stato della progressione dell’epidemia, proprio alla luce dell’esordio della Fase2, mi sembra un atto sconsiderato e pericolosissimo che potrebbe portare ad una nuova perdita di controllo dell’infezione e un rebound della stessa: questa è una minaccia che la Repubblica di San Marino non può permettersi, sia perché comporterebbe enormi e nuove difficoltà sanitarie, sia perché inginocchierebbe un’economia già stremata. Sarebbe un colpo di grazia che non potremmo sostenere. Quindi con preoccupazione rinnovo l’appello alla politica a fare di tutto affinché questo non accada. Al dottor Arlotti, se così fosse, rinnovo la mia stima e l’invito a non arrendersi, come ho già fatto personalmente”.

Secondo lei che cosa non ha funzionato nella gestione dell’emergenza covid? “Questa domanda mi darebbe modo di togliermi diversi sassolini, cosa che non farò perché voglio troppo bene all’ospedale di San Marino che, come ho detto più di una volta nei miei interventi pubblici, è una Istituzione. Potrei dire che non avere ricevuto, a distanza di una settimana dalle mie dimissioni, nemmeno una telefonata, una richiesta di incontro quantomeno per capirne le motivazioni dal Comitato esecutivo mi abbia ferito e mi abbia dato da pensare. Tuttavia, nonostante tutto, voglio restare a disposizione, quando e se l’ospedale ne avrà bisogno, per ricominciare a fare la mia parte e a fornire il mio aiuto per quanto di mia competenza e specializzazione. Per spiegarle cosa non ha funzionato all’ISS nell’emergenza covid prendo in prestito dai Promessi Sposi, (visto che anche lì di epidemia si parlava!) l’immagine dei quattro capponi di Renzo i quali pur essendo in trappola tenuti per le zampe a testa in giù, tuttavia continuavano a litigare e a beccarsi tra loro. Ecco. In una parola: non ha funzionato la collaborazione. Sta mancando la collaborazione. Specie la collaborazione con il Commissario straordinario. Quando due o tre primari che gestiscono reparti nevralgici nelle emergenze, per salvaguardare i loro orticelli cercando ad ogni costo le luci della ribalta, anche con l’ausilio nefando di una certa politica ancestrale e filo-restauratrice e della relativa stampa, utilizzano l’Ospedale come fosse casa propria (certi dell’impunità legata alla mancanza di una Commissione Disciplinare vera), non ottemperando alle esigenze dell’intero Ospedale, allora non fanno il bene dell’Ospedale stesso e della cittadinanza. E questa “politica dello struzzo”, tipicamente sammarinese, potrebbe rivelarsi davvero troppo pericolosa per l’intera popolazione, che deve esserne informata. E non ce lo possiamo permettere in questo momento. A volte infatti, chiedere aiuto agli altri è l’opposto che un segno di debolezza”.

 

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