San Marino. Processo Credito Sammarinese, ultime audizioni

San Marino. Processo Credito Sammarinese, ultime audizioni

L’informazione di San Marino

Conclusa la fase istruttoria proseguirà ad aprile e maggio con la requisitoria dell’accusa e le arringhe delle difese 

Processo Credito Sammarinese, ultime audizioni. Ancora scarico di responsabilità tra gli imputati 

Mario Amati: “Se qualcuno voleva fare gli interessi della banca non doveva andare a prenderli quei soldi. Se Cda avesse saputo della ‘ndrangheta avrebbe bloccato tutto”. Davide Zoffoli: ” Non ero io responsabile dell’ufficio fidi, ma Luico Amati che era consapevole  delle pratiche che venivano portate e approvate nel Cda. Sono innocente”

Antonio Fabbri

Ieri il processo sul caso del Credito Sammarinese ha concluso, con le deposizioni degli ultimi imputati che hanno voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, la fase dell’istruttoria dibattimentale. Tra aprile e maggio, dunque, si procederà alla fase delle conclusioni, prima con la requisitoria del Procuratore del Fisco e poi con le arringhe difensive degli avvocati. Il giudice Gilberto Felici ha già preannunciato che stabilirà con decreto un calendario di udienze. Prima di giugno,dunque, dovrebbe arrivare la decisione di primo grado sul processo sammarinese per riciclaggio legato alla indagine cosiddetta “Decollo Money“, che mise nei guai la banca ed i suoi vertici per il riciclaggio di 1,3 milioni di Vincenzo Barbieri, ‘ndranghettista narcotrafficante, assassinato nel 2011. 

Nell’udienza di ieri è proseguito lo scarico di responsabilità tra i vari imputati.

La deposizione di Daidone Ad aprire le deposizioni, Pietro Daidone, già membro del consiglio di amministrazione del Credito Sammarinese. “Ero il rompiscatole del Cda – ha detto Daidone – si può dunque immaginare come avrei reagito se avessi saputo dell’apertura di un conto corrente ad un soggetto non identificato e con il versamento di una somma abnorme in contanti. Il fatto – ha spiegato – è che quando si discusse della cosa in Cda, di certo non vennero evidenziati, da chi illustrò la pratica, i sospetti rapporti tra Barbieri e la criminalità organizzata”.

A domanda del giudice Daidone ha aggiunto: “Non notai un interesse particolare da parte della famiglia Amati per quella pratica. Io rappresentavo un socio di minoranza. Quando Amati aveva qualcosa di particolare ci convocava e ne parlavamo. Non ho mai avuto imposizioni da parte di Amati”, ha detto l’ex membro del Cda. Poi Daidone riferisce che i soci di minoranza avevano pensato di intentare azioni legali verso il socio di maggioranza per fare valere i diritti della minoranza. “Quando a maggio-giugno abbiamo appreso dalla stampa locale che era intenzione della famiglia Amati vendere la banca, siccome lo statuto prevedeva che soci avessero la prelazione, ci recammo da avvocato Nicolini per chiedere un suo parere su una eventuale azione di responsabilità che poteva essere esercitata verso chi aveva deciso di vendere banca senza considerare i diritti delle minoranze. Se ne parlò, ma l’azione legale non si concretizzò”, ha concluso Daidone.

L’audizione di Mario Amati “Ho memoria di quella pratica perché quel cliente era stato presentato come albergatore di Bologna. La tipologia del nostro cliente ideale. Se in Cda i fosse stata pronunciata la parola ‘Ndrangheta l’avremmo ricordato molto bene”. Così Mario Amati, ex membro del Cda del Credito Sammarinese, che ha rilasciato a sua volta dichiarazioni spontanee.

Invece “era una pratica normale – prosegue Mario Amati – di cui si occupava l’ufficio crediti, Zoffoli, ed era presentata dal Direttore generale. Nel Cda non si mettono in discussione i lavori delle strutture operative. La pratica era controgarantita da un soggetto terzo, caratterizzata da uno spread buono. Abbiamo chiesto semplicemente se ci fossero elementi su cui soffermarsi. Nessuno segnalò nulla”.

Mario Amati ha anche aggiunto: “E’ inappropriato dire che quell’operazione era vitale per la sopravvivenza di Credito sammarinese. A conti fatti residuava come liquidità una somma di circa 80mila euro”. “Poi da qualcuno è stato detto che voleva difendere la banca – ha detto Amati riferendosi implicitamente a Vendemini – Chi aveva interesse a difendere la banca, bastava che non prendesse i soldi. E’ evidente che immischiare la banca con somme rilevanti di affiliati alla ‘Ndrangheta, comporta rischi notevolissimi. Bastava che il Cda venisse messo al corrente. Nessuno dei professionisti componenti Ce e Cda, avrebbe messo a repentaglio la propria reputazione e carriera per fare un favore alla banca. Non siamo stati messi al corrente – ribadisce Mario Amati – Gli interessi erano necessariamente altri o, meglio, di altri, non della banca. Bisognava che questa pratica passasse liscia e che questi soldi tornassero”, ha detto Mario Amati richiamando anche alla mente che, il rischio per qualcuno era noto ed era tale che quando la banca fu commissariata, venne messo come Commissario il comandante della Gendameria, Maurizio Faraone, che all’epoca era a capo di Interpol.

Le dichiarazioni di Zoffoli Ha rilasciato spontanee dichiarazioni Davide Zoffoli, chiamato in causa da Lucio Amati e da altri membri del Cda come colui che istruì la “pratica Barbieri” presentata al Comitato Esecutivo e al Cda. Zoffoli, però, ha rigettato questa responsabilità e anche il fatto che ricoprisse quell’incarico. “Io avevo un contratto di collaborazione e non ero responsabile dell’ufficio crediti, perché non potevo esserlo. Essendo frontaliero non potevo essere assunto in quella fase dalla banca. In quel ruolo si era autonominato Lucio Amati dal 2008. Disse testualmente che non avrebbe più lasciato quel ruolo perché troppo deluso da chi aveva precedentemente ricoperto l’incarico. Così, in sostanza, io portavo il caffè. Facevo il portatore di caffè”, ha ripetuto più volte Zoffoli per evidenziare che la sua responsabilità era quella di portare le pratiche. “Ero indicato come portatore, non opponente, non membro di organo decisionale, non avente diritto di parola, non avente diritto di partecipazione”. Poi ha contestato quanto affermato da altri imputati. “Più volte è venuto fuori che la documentazione sia stata sfoltita e non conforme a quanto preparato. E’ errato. Sia il Comitato esecutivo, sia il Cda avevano tutti i documenti preparati, io come portatore di caffé dovevo solo prendere i documenti predisposti da Biordi, Santolini e Bertozzi. Non dovevo controllare niente e portarli al Ce. Biordi prima mi portò il dossier e disse che avrebbe portato la lettera per il Ce nei giorni successivi. Così fece. In seguito quando si seppe della notizia dell’arresto di Barbieri questo dossier venne preso con una certa agitazione e preoccupazione da Sandro Sapignoli”. Poi Zoffoli aggiunge. “Quando venne interrogato Vendemini confermò che aveva gestito tutto lui e che Zoffoli era succube di Amati. Quando Amati ha fatto le sue dichiarazioni ha detto che Zoffoli era pro-Vendemini. Ebbene, responsabile crediti è sempre stato Amati. Si operava secondo quanto piaceva ad Amati e alle persone cambiava ruoli, come accaduto a me, senza saperlo e senza che potessero  ricoprirli”. Poi la famosa e-mail inviata da Zoffoli che indicava di svolgere “OGGI” alcune operazioni dei conti Barbieri-Galliano.

“Non è Zoffoli che dispone, ma il Cda che ha deliberato. E “oggi” era riferito al fatto che l’indomani il cliente, Giorgio Galliano, sarebbe venuto in banca per gli adempimenti necessari”.

Poi Zoffoli sottolinea anche che, “quando nel Cda Renato Cornacchia sollevò dubbi sulle pregiudiziali emerse dal word check e chiese di essere tranqullizzato, Amati disse che volendo seguire quelle segnalazioni non si aprirebbero conti a molti, e neanche lui e suo figlio, chiamati in causa nella vicenda del principe Vittorio Emanuele di Savoia, avrebbero potuto avere il conto. Così non ci furono altre obiezioni e il Cda approvò il fido all’unanimità”. Quindi Zoffoli ha rimandato al mittente le accuse di Amati: “La sua fu una gestione anomala e truffaldina nel darmi delle cariche che non avevo e non sapevo di avere”, ha detto Zoffoli sottolineando ancora di non essere mai stato il responsabile dell’ufficio fidi. Quindi ha concluso: “Sono innocente – ha detto – e non ho commesso nulla di quello che mi viene contestato. Chiedo l’assoluzione per porre fine a questo lungo calvario, che ha avuto ripercussioni personali, fisiche e morali su me e sulla mia famiglia”. L’udienza si è chiusa con la lettura di dichiarazioni di Giorgio Galliano, genero di Barbieri che ha riversato sul suocero la responsabilità dell’apertura del suo conto a San Marino, chiamandosi fuori dalla vicenda, e Domenico Macì, il massone del Grand’Oriente d’Italia che mise in contatto la banca con i fratelli Lubiana. Anche Macrì si è dichiarato innocente, affermando di non sapere nulla dell’operazione che era stata prospettata dai soggetti che aveva messo in contatto.

 

 

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