Convegno
sull’emigrazione sammarinese, San Marino, 20 marzo 1998
Girovagando fra i fatti
della storia mi capita talvolta di incontrare sammarinesi che si procurano i
mezzi per vivere fuori dal proprio paese. Specie negli ambienti del Settecento
che, da qualche tempo, frequento con una qualche assiduità.
Ad
esempio, a Roma, nell’inverno 1739-40, mi sono imbattuto in un gruppo di questi
sammarinesi piuttosto consistente, 150. Erano lì – parole loro – per li
lavori di campagna nelle Vigne. Vi erano andati – sono ancora parole loro –
secondo loro costume. Quindi emigrati stagionali.
Il
prof. Allegretti riferisce che, in quel periodo, a Pennabilli, era interessato
alla emigrazione stagionale il 5% della popolazione. I 150 sammarinesi di Roma
già da soli quasi costituiscono il 5% della popolazione della Repubblica. E’
probabile che qualche rivolo prendesse un’altra direzione magari per lavori
diversi da quello della vanga. Sicuramente c’era anche allora, anche in
quell’anno, anche in quell’inverno, come da secoli, un gruppetto di
sammarinesi usi a guadagnarsi il pane, fuori dal proprio paese, col lavoro
della penna.
I
sammarinesi che si guadagnano da vivere con la penna fuori dal proprio paese
sono in genere esperti di diritto, professionisti al servizio di un qualche
potente o con un incarico presso un ufficio pubblico dello Stato della
Chiesa. A volte essi arrivano anche nel granducato di Toscana. E si spingono
perfino nelle Repubbliche di Lucca e di Genova. Come la emigrazione degli umili
anche questa dei professionisti non è certo un fenomeno soltanto sammarinese.
Continuando a far riferimento a Pennabilli si può citare ad esempio Anton Maria
Zucchi Travagli, un itinerante, anch’egli del Settecento, uso a muoversi
soprattutto nell’ambito dell’ex ducato d’Urbino.
Come per gli emigranti
della vanga anche per quelli della penna la vita non facile. Gli impieghi in
genere durano poco, per cui quei professionisti sono costretti a spostarsi in
continuazione. Però quel loro girovagare non è similabile a quello del
nomade per il quale, si pensa, un luogo vale l’altro. Essi si mantengono
permanentemente in contatto col Titano che, fra l’altro, in quella
ricerca continua e parossistica di posti e di favori, costituisce il luogo
fisico della loro ‘agenzia di collocamento’. Il fatto poi che ogni incarico,
per quanto prestigioso, sia sempre breve e precario, induce a un certo
distacco dai luoghi e dalle persone e, per converso, accresce l’attaccamento
per il proprio luogo d’origine, il Titano. Il confronto, infatti, fra gli altri
luoghi e il Titano, esalta la differenza a vantaggio di quest’ultimo. Dice,
nel Cinquecento, Giuliano Corbelli: Se da tutti si deve per istinto
naturale amare la patria … maggiormente … si deve fare da quelli che son
nati in patria libera …, commo siamo noi che, oltra tutti gli altri et con
meraviglia di ciascuno, ottenemo quel dolce tittolo di Republica. Una
riprova della continuazione di questo modo di pensare l’abbiamo nel Settecento
in Gian Benedetto Belluzzi, anch’egli un professionista itinerante. Benché
questi fosse stato Luogotenente Civile dell’Alberoni nella Legazione di Romagna
per ben tre anni e addirittura fino a qualche mese prima dell’invasione
alberoniana, non esiterà ad assumere da Bologna la guida della resistenza dei
sammarinesi contro l’Alberoni come se con l’Alberoni non avesse mai avuto nulla
da spartire.
Anche i professionisti
sammarinesi emigranti che si fermano in un posto mantengono stretti vincoli con
la patria. Ne abbiamo un esempio in un altro Belluzzi, Alessandro, sistematosi
nella seconda metà del Seicento in modo permanente presso i Medici, in
Toscana. Quando, agli inizi del Settecento, diventa papa Clemente XI, un Albani
di Urbino, un quasi sammarinese, il piano delle richieste speciali che,
nell’occasione, la Repubblica avanza, è messo a punto col concorso suo. Ed è
proprio il Belluzzi a proporre di chiedere al papa l’autorizzazione a far
pagare le collette agli ecclesiastici: tutte le collette, per l’intiero
come pagano li Secolari. Proposta decisamente d’avanguardia, suggerita non
solo da una volontà di equità fiscale. In un territorio angusto come il
nostro a poco a poco gli ecclesiastici che sempre acquistano per più versi e mai
lasciano l’acquistato, col tempo possono diventare Patroni della maggior parte
del Territorio.
E’ lo stesso Alessandro
Belluzzi a tracciare la rotta che la Repubblica seguirà per tutta la prima
metà del Settecento per scampare alla tempesta che agiterà la penisola italiana,
campo di battaglia delle guerre di successione e, in particolare, per non
rimanere stritolata fra papato ed impero ritornati a scontrarsi come nel
Medioevo, in Italia ed in particolare nello Stato della Chiesa.
Visti dall’interno dello
Stato della Chiesa papa e imperatore, nella prima metà del Settecento, sono
tornati a contendersi i vari luoghi con la logica del medioevo, epoca nella
quale ogni luogo non poteva che essere, necessariamente, o dell’uno o
dell’altro. Molti feudi, di dubbia o di duplice investitura, cercano di
salvarsi dalla stretta facendo lo slalom fra l’uno e l’altro. San Marino
invece risfodera l’antico convincimento – che la libertà del Titano trae origine
dal Santo – dandogli però una espressione nuova, cioè formulandolo in
termini adeguati ai tempi. Nel 1717, a Venezia, in un libro di grandissima
diffusione, l’Italia Sacra viene pubblicato il testamento del Santo,
Filii, relinquo vos liberos utroque homine. Come dire all’universo mondo
e, in particolare, al papa e all’imperatore, che il luogo Titano non è né
dell’uno né dell’altro.
La
Repubblica si mantiene a prudente distanza e dal papa e dall’imperatore. E
ciò non solo nei periodi di normalità. Anche durante la drammatica vicenda
alberoniana, quando, nell’ottobre del 1739, fu invasa dai soldati del papa,
non abbandonò la linea politica della equidistanza. Insomma non corse a chiedere
aiuto all’imperatore. Ai sammarinesi per liberarsi dai soldati del papa sarebbe
bastato fare un cenno ai soldati dell’imperatore che erano di stanza a Carpegna
invasa, appunto dall’imperatore, l’anno prima. Ma ciò non avvenne. Con
meraviglia di molti. Il dotto riminese Jano Planco non esitò, nell’occasione,
a definire i dirigenti sammarinesi teste di cedro per questo loro –
stupido – comportamento.
L’abate Marino Zampini,
invece, un sammarinese emigrato a Roma, insistette coi propri concittadini, e
tornò a insistere fino ad averla di vinta, perché resistessero, non cedessero a
quella facile lusinga: non si compromettessero con l’impero. E ricordò a loro
nell’occasione proprio il testamento del Santo così come era stato riassunto
nell’Italia Sacra. E garantì che ci si poteva liberare da quella
occupazione giocando sulle divisioni della curia romana.
Ma
questo è noto.
Meno noto invece
l’apporto dell’emigrante Zampini nella vicenda del 1749, quando l’impero torna
ad invadere Carpegna da dove si era ritirato nel 1741. Anzi l’intera vicenda è
stata pressoché ignorata dalla storiografia sammarinese.
L’11 giugno del 1749
l’impero invade nuovamente Carpegna. Le mire dell’imperatore, non si
fermeranno nei sassi della Carpegna e di Scavolino, fa sapere,
allarmatissimo, il papa alle corti europee. Cui lo stesso papa fa pure sapere
che è già partita una rivendicazione imperiale su alcuni luoghi della
Repubblica di San Marino: i castelli ex malatestiani di Serravalle,
Fiorentino e Montegiardino. Lo Zampini valuta la informazione errata in quanto
ai nomi dei luoghi (circa i quali l’impero non potrebbe accampare alcun pretesto
giuridico), e fa l’ipotesi che, in effetti, nelle mire dell’imperatore ci
siano non i castelli ex malatestiani ma Casole, Penna Rossa e Fiorentino,
sulla base del diploma di investitura concesso da Ottone I ai Carpegna nel 962.
Anche se quel diploma è notoriamente falso, dice lo Zampini, insomma
Apocrifo, … una Cartaccia fatta da un Impostore”, non ci si può illudere che
gli imperiali non lo vogliano applicare, potendo affiancargli un altro diploma,
“il Diploma della forza.
Di
fronte a prospettive così fosche la Santa Sede reagisce colle armi del diritto
(non potendo, nel Settecento, opporsi con la forza). Subissa le principali
corti europee di relazioni storico giuridiche a sostegno dei suoi diritti.
Inviata una relazione, ne mette in cantiere subito un’altra più vasta, più
approfondita, più ricca di documenti, come se bastasse un nuovo ragionamento
brillantemente espresso da qualche erudito o una polverosa pergamena rinvenuta
in chissà quale sperduto archivio per far sì che Vienna ritorni sulle sue
decisioni, accantoni quel programma di espansione. In giro per gli archivi a
cercare documenti, già in luglio, il papa spedisce lo studioso Giuseppe
Garampi. Il quale intraprende un lungo tour per gli archivi: Terni,
Loreto, Senigallia, Pesaro, Rimini (cui fan capo Ravenna e Romagna in genere),
Pennabilli, Urbino, Urbania, Gubbio, Città di Castello, Pennabilli, Rimini,
Pesaro, ecc.
Quattro mesi di duro
lavoro (l’impegno del Garampi a livello personale è massimo: c’è la prospettiva
della nomina a prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano). Lo scopo della ricerca
è segreto. Nemmeno il Presidente della Legazione di Urbino ne viene informato.
Secondo lo Zampini,
anche San Marino deve seguire l’esempio del papa: farsi sentire con proteste,
e con altri Atti, perché non venghino pregiudicati i diritti incontrastabili
della Rep.ca sopra gli accennati Castelli, ed infine per far udire a Roma, che
dal canto nostro si è fatto tutto quello, che si è potuto. Insomma che non
si è complici dell’imperatore. Anzi, in questa occasione, bisogna allearsi col
papa contro l’imperatore. Ed il papa è d’accordo: quest’affare non interessa
meno noi, che la S. Sede dice ai suoi concittadini.
La
Santa Sede ha ingaggiato Garampi. San Marino chiama l’amico e maestro del
Garampi, Annibale degli Abbati Olivieri, il quale si dimostrerà un ricercatore
eccezionale appena mette mano nell’archivio sammarinese, visto il documento con
cui può cominciare la lista: il Placito Feretrano. L’Olivieri arriva sul Titano
subito dopo ferragosto. Il Garampi, che in quei giorni era a Pennabilli, pure
lui corre sul Titano. Quasi certamente il Garampi è a San Marino anche quel
lunedì 25, quando l’Olivieri principia l’Indice dei documenti
sammarinesi. L’attribuzione di data al Placito Feretrano, 885, sarà frutto
della collaborazione Olivieri-Garampi. Ed, annuente il Garampi, il Placito
verrà pubblicato dall’Olivieri già nello stesso 1749. Verrà pubblicato fra i
documenti dell’appendice di un suo libro. Ma non viene pubblicato il libro con
la sua appendice. Solo l’appendice. Il libro, completo, vedrà la luce
soltanto quattordici anno dopo.
Il Placito rintuzza le
pretese dell’impero sui luoghi della Repubblica, che secondo lo Zampini, sono
più a rischio. Infatti di lì risulta che fra i beni di cui viene
riconosciuto a Stefano Prete e Abate del Monastero di S. Marino, cioè
alla comunità sammarinese, il legittimo possesso, ci sono le località di
Casole (fundo Casole) e Fiorentino (Fundo Florentini Maiore et
Minore). E ciò già dall’885 cioè assai prima che venisse rilasciato il
diploma di investitura ai Carpegna, datato 962. Ed è un possesso classificato
– già nell’885 – ab immemorabili: namfra quadraginta, nec namfra
quinquaginta, neque namfra centos annos. Ed è un possesso legittimo, in
quanto Stefano afferma: abeo et teneo ipse suprascripte res ad iure sancti
Marini confessoris domini nostri Jesu Christi. Da sottolineare quell’ad
iure che fa del Placito un documento perfettamente allineato con la
tradizionale posizione politica della Repubblica resa manifesta da Matteo
Valli nel 1633 ed, in particolare, con il testamento del Santo edito nel 1717,
come ha messo in evidenza, recentemente, il prof. Francesco Balsimelli.
Alessandro Belluzzi,
dottore in diritto, e Marino Zampini, abate, sono due rappresentanti
significativi di quella intellighenzia che, a detta dell’Aebischer, ha
realizzato il miracolo-San Marino. Due emigranti. Perché quella sammarinese è
sostanzialmente una intellighenzia fatta di emigranti. L’emigrazione degli
intellettuali infatti non costituisce per San Marino un depauperamento della
classe dirigente come generalmente avviene per altri luoghi, ma una
straordinaria opportunità, per quel singolare loro attaccamento alla patria, che
singolarmente perdura nonostante che la patria non provveda a loro
materialmente. Così che la intellighenzia sammarinese, procurandosi da sola i
mezzi per il proprio sostentamento, può esser sproporzionata rispetto alle
dimensioni e alla economia del paese. Anche in numero.
Già verso la metà del
Cinquecento, secondo Marino Enea Bonelli, la Repubblica contava circa
quaranta cittadini fra Dottori e Notai. Un numero rilevantissimo su una
popolazione di 3.500-4.000 abitanti. Ed ancor più rilevante se si considera che
quasi altrettanti sammarinesi percorrevano al contempo il corso degli studi per
la carriera ecclesiastica. In massima parte anche questi, come i colleghi
laici, sono costretti a procurarsi di che vivere al servizio di un potente od
occupando posti pubblici nello Stato della Chiesa, dove il religioso sfora
abitualmente nel civile.
La
intellighenzia sammarinese ha una preparazione di altissimo livello, in quanto
si forma nella dura realtà dello Stato della Chiesa, dove i posti di lavoro
per i laici si contano col contagocce e dove gli ecclesiastici sono già in
sovrannumero. La si vede, questa preparazione, nelle continue, estenuanti
trattative con Roma che cominciano all’inizio del Cinquecento con Antonio
Orafo, e che i sammarinesi, diversamente dalle altre comunità paragonabili per
dimensioni a quella del Titano, sono in grado di condurre da soli, attraverso
appunto, i propri, concittadini emigranti esperti di diritto o in carriera
nelle istituzioni ecclesiastiche.
A
Roma, già nel Cinquecento, quelli della Curia, si rendono conto che ci vuole
coi sammarinesi un contrattare attento come quando si negozia fra la
Sedia Apostolica e la Signoria di Venetia. Constatano che la determinazione
dei rappresentanti sammarinesi nel curare gli interessi della Repubblica
rasenta il fanatismo. Il fanatismo fa pensare a una motivazione religiosa. Per
cui arrivano a sospettare – siamo nella prima metà del Cinquecento – che quei
montanari non mirino solo alla autonomia politica, ma anche a quella religiosa
e commo il Re d’Inghilterra impaciarsi del spirituale. Ai tempi
dell’Alberoni, nel Settecento, quei montanari, a Roma, li considerano
pressoché matti: non sono per lo più capaci della raggione, e quelli, che
per avventura lo sarebbero, vengono dominati dalla passione…..
Questi – fanatici –
sammarinesi, laici ed ecclesiastici, distribuiti, in numero così grande, in
posti di rilievo all’interno dello Stato della Chiesa e anche oltre lo Stato
della Chiesa, assicurano al Titano una rete di informazione ed una classe
dirigente vasta e preparata che solo Stati di ben altre dimensioni possono
permettersi. Grazie ad essi, a questa intellighenzia che si procura da sé
all’esterno i mezzi per il proprio mantenimento, si è ripetuto per secoli di
fronte alle varie evenienze della storia il miracolo della conservazione della
libertà.
E’, quella sammarinese,
una intellighenzia fatta di emigranti, per i quali la vita, come per ogni
emigrante, è tutt’altro che rose e fiori. Per farsene un’idea basta scorrere
il curriculum di uno di questi, il dottor Gian Benedetto Belluzzi, un
professionista itinerante. Egli – si noti – non è, per così dire, un uomo del
popolo, arrivato per caso alla laurea, per cui è prevedibile che debba pagare
lo scotto per aver voluto abbandonare la vanga. E’ un nobile. Appartiene ad una
delle famiglie più antiche della Repubblica, con rappresentanti sempre presenti
ai vertici del potere. Gian Benedetto Belluzzi, consigliere, è stato più volte
Capitano. L’ultima volta nel semestre precedente all’invasione
alberoniana.
In
quella drammatica circostanza sappiamo anche del contributo dato dai 150
emigrati a Roma durante l’inverno. Quell’inverno non è come gli altri inverni.
Quando sono partiti dal Titano, nell’autunno, dopo la semina, hanno lasciato un
paese non come gli altri anni. A Palazzo non c’erano più i capitani a svolgere
come sempre le normali funzioni di governo. Ma un riminese, un governatore
nominato dal card. Alberoni, arrivato su all’improvviso nella seconda metà di
ottobre. Al primo cenno di resistenza l’Alberoni aveva invaso il paese con
centinaia di soldati. C’era stato il saccheggio di alcune case. Fatti enormi,
mai accaduti in precedenza.
Il
papa, a seguito delle reiterate proteste dei sammarinesi, poco prima di Natale,
ha scritto ai capitani – quelli deposti dall’Alberoni – per avvertirli che
avrebbe mandato un suo delegato, mons. Enriquez, a verificare se i sammarinesi
preferivano – come affermava l’Alberoni – essere governati da un forestiero
scelto dalle autorità pontificie oppure volevano tornare al governo lor solito,
cioè quello dei Capitani.
I
150 non potendosi colà trasferire ma volendo ugualmente dichiarare,
manifestare, e propalare il Desiderio che hanno di rimanere nel primiero stato
di libertà di Republica di S. Marino, quando così piaccia a Nostro Signore …
hanno determinato costituire come procuratore, Girolamo Gozi. Sarà poi
Girolamo Gozi in virtù di quattro mandati di procura estesi per rogito del
Sig. Bernardino Rainaldi, Notaio dell’Eminentissimo e Colendissimo Sig.
Cardinale Vicario in Roma a far presente al delegato pontificio come la
pensano i sammarinesi emigrati a Roma.
I
150, attorno a Capodanno 1739-40, si sono riuniti, alcuni nella bottega ad
uso di Capellaro della Signora Agata … posta in campo di fiori, altri in
casa del Sig. Giovanni Laurentini posta sulla strada detta del fico
***
*
Podestà, Gubbio, Luglio 1711- Dic. 1712;
*
Commissario, Monte Feltro, ottobre 1710 – 1711;
*
Commissario di Massa per un mese;
*Podestà, Pergola,
maggio – settembre 1710;
*
Podestà, Cagli, ottobre 1709 – maggio 1710;
*Podestà, S. Angelo in
Vado, 6 mesi;
*
Podestà, Urbania, per 6 mesi;
*
Commissario, Mondavio, per oltre un anno;
*
Podestà, Monte Cerignone, 1706;
*
Podestà, Senigallia, dicembre. 1712 – luglio 1715;
*
Uditore, Lucca, luglio 1715 – giugno 1718;
*
Uditore, Perugia, maggio 1722-aprile 1726;
*
Uditore, Genova, agosto 1727- 1730; Nel luglio 1730 nuovamente riposto nel
Bussolo della Ruota Civile di Genova;
*
Luogotenente Civile dell’Alberoni, Legato di Romagna, Ravenna, dal 1735 al 1738;
*
Dal 1738 Uditore a Bologna, dove si trova anche durante il periodo della
occupazione alberoniana.
****
Ad 13 Gen.
1740
Io
sottoscritto Girolamo Gozi in
virtù di quattro mandati di procura estesi per rogito del Sig. Bernardino
Rainaldi, Notaio dell’Eminentissimo e Colendissimo Sig. Cardinale Vicario in
Roma imploro dalla Clemenza del Sommo Pontefice, che siano restituiti al
primiero Stato di Libertà gl’infrascritti in numero di 150 = tutti della
Terra, e di diversi Castelli Dipendenti di S. Marino = e questi sono:
Marco Antonio
Farnesi
Francesco
Scambietti
Antonio Maria
Guidi
Giuliano Lazzari
Andrea
Mengoni
Camillo
Muccioli
Pietro
Lazzarini
Bartolomeo
Paiani
Francesco
Pasini
Giovanni
Pasini
Giorgio
Gianoni
Gregorio
Censotti
Francesco Antonio
Nicolini
Pasquale
Painucci
Marino
Gianotti
Andrea
Gianotti
Marino Macina
Giacomo
Bernardi
Francesco
Bollini
Giovanni
Biagioli
Domenico
Vaccarini
Giovanni Mattia
Moratori
Marino
Paoloni
Antonio
Ugolini
Bernabeo
Scambietti
Giuliano
Briccoli
Marino
Pirotta
Carlo Ugolini
Gaudenzo
Ugolini
Cristofaro
Berti
Domenico
Briccoli
Biagio
Ugolini
Francesco
Nanni
Marino Rossi
Agostino
Capicchioni
Pier Battista
Gianoni
Giovanni
Macina
Giovanni
Lividini
Giuseppe
Sapori
Francesco Antonio
Malpeli
Francesco
Scarponi
Antonio di
Lodovico
Giuseppe Tini
Pier Antonio
Guidi
Carlo
Molaroni
Sebastiano
Mucioli
Giacomo
Cervellini
Francesco
Arzilla
Francesco Antonio
Carattoni
Domenico
Albani
Antonio
Chiaruzzi
|
Marino Martelli
Giovanni
Forcellini
Silvestro
Raponi
Domenico Antonio
Babi
Giovanni Maria
Mariotti
Pietro
Zaffarani
Pier Marino
Lazzari
Pietro Mattia
Gianotti
Pasquale
Sollari
Samaritano
Tini
Leone
Micheloni
Alessandro
Samartani
Pietro
Borgagni
Francesco
Moraccini
Cristoforo
Andreini
Antonio
Zonzini
Giuliano
Forcellini
Giuliano Della
Balda
Francesco
Nardi
Giuliano di
Biagio
Silvestro di
Biagio
Giovanni
Fratta
Girolamo
Casali
Antonio
Nardi
Marino
Ugolini
Gaudenzo
Ugolini
Giovan Battista
Mengozzi
Marino Berti
Sebastiano
Berti
Agostino
Lucchini
Giovanni
Bandiera
Giovan Battista
Renzi
Pier Domenico
Giorgini
Pasquino
Giorgini
Francesco
Ugolini
Bernardino
Frangioni
MarinoAntonio
quond. Lorenzo
Domenico
Calandra
Domenico
Bartoletti
Giorgio
Palmucci
Pasquale
Francioni
Simone
Micheloni
Giuseppe
Gianini
Cristofaro
Mazza
Domenico
Serra
Paolo Antonio
Gianoni
Bernardino
Tini
Biagio
Biagini
Matteo Mazza
Giovanni
Sarti
Andrea Tura
|
Giacomo
Valentini
Pasquale
Bollini
Tomaso
Pellegrini
Giovanni Battista
Venturini
Marino Antonio
Fratta
Marino Berti
Michele
Sapori
Biagio
Forcellini
Mattia
Zonzini
Giovanni
Borgagni
Antonio
Scarponi
Lorenzo
Casali
Pietro
Tabarini
Marc’Antonio
Lodovici
Domenico
Rossini
Vincenzo
Rossini
Giovanni Paolo
Capicchioni
Marino
Marchini
Pietro
Zaffarani
Ubald’Antonio
Ranieri
Giuseppe
Bollini
Vincenzo
Contucci
Marino
Moracci
Pietro Matteo
Casali
Marino
Terenzi
Agostino
Ravoni
Giovan Battista
Bollini
Michele
Bollini
Antonio
Nardi
Marino
Ugolini
Gaudenzo
Ugolini
Giovan Battista
Mengozzi
Marino Berti
Sebastiano
Berti
Michele
Bollini
Giuseppe
Vagnetti
Andrea Righi
Marino Morri
Matteo
Giulianelli
Marino
Muccioli
Battista
Bollini
Bartolomeo
Francioni
Andrea
Cecchetti
Ettore Tini
Pasquino
Scarponi
Giuliano
Broccoli
Mariano
Sensoli
Michele
Moratori
Sante Genari
Gregorio
Gianini
Giovanni
Tabarini
Marino Albani
Antonio
Serra
Simone
Gianoni
Simone
Battistini
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