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Articolo pubblicato sul numero speciale di “San Marino Oggi” del 5 febbraio 2004
Tratto dal libro
M. CECCHETTI, Alberoni a San Marino, 17-29 ottobre 1739, San Marino 2003
Il 5 febbraio 1740 si conclude l’intervento a San Marino del card. Giulio Alberoni. Un episodio che è frutto del continuo stato di guerra che caratterizza la prima metà del Settecento europeo. Le guerre hanno come campo di battaglia la penisola italiana. Fra i protagonisti principali della scena politica internazionale, oltre ai Borboni di Francia e di Spagna, ci sono gli Asburgo d’Austria. Gli Asburgo non disponendo di una flotta e di porti importanti per acquisire terre oltre gli oceani (come stanno facendo Inghilterra, Francia, Spagna, Olanda), ogni qual volta riescono a tamponare l’avanzata turca a oriente, rivolgono gli occhi sui vicini d’occidente. In primo luogo, scontrandosi coi Borboni, prendono di mira gli staterelli della penisola italiana (les provinces de l’Italie sont les Indes de la Cour de Vienne). Gli Asburgo, in quanto titolari della corona imperiale, rivendicano l’alta sovranità su tutti i territori (feudi) governati da famiglie che, in origine, abbiano ricevuto tale concessione da un imperatore, magari secoli e secoli prima. Così quando nel 1737 si estingue a Firenze la famiglia dei Medici, gli Asburgo si appropriano del Granducato di Toscana affidandone il governo a un ramo collaterale, i Lorena. Nella notte fra l’1 e il 2 aprile 1738 truppe tosco-imperiali, unilateralmente e senza alcuna apparente giustificazione, scavalcano l’Appennino e invadono Carpegna, luogo dello Stato della Chiesa, governato dai Carpegna, una famiglia feudataria che ha sempre messo alla base della sua fortuna un diploma di investitura imperiale. Ed a Carpegna quelle truppe rimangono. Anzi corre voce che andranno avanti. Urbino informa Roma che dalla Toscana potrebbero arrivare migliaia di soldati per prendere … S. Leo lontano da Carpegna sei miglia, e S. Marino Repubblica. La corte papale si allarma. Teme che la prossima mossa degli Asburgo possa essere veramente la Repubblica di San Marino, un luogo interno allo Stato della Chiesa che però da tempo si dà un’aria di indipendenza. Per cui si mette subito all’opera per anticipare gli Asburgo. Viene steso un progetto mirante ad affermare inequivocabilmente la sovranità dello Stato della Chiesa sul Titano. Progetto che fa leva precipuamente sulle divisioni interne dei sammarinesi di cui a Roma si sono avuti molti riscontri. Alcune segnalazioni sono arrivate direttamente da una fazione interna che contesta il governo della Repubblica. Altre sono state ricevute dalla curia vescovile di Pennabilli che dopo l’entrata in crisi della famiglia Carpegna ha assunto, di fatto, nel Montefeltro anche un ruolo di vigilanza politica per conto della Santa Sede.
Dentro la Repubblica di San Marino davvero c’è molta tensione. Il Consiglio, col pretesto della mancanza di elementi idonei a ricoprire la carica, sta rallentando come mai in precedenza la nomina di nuovi consiglieri, lasciando vacanti moltissimi seggi. Nel 1739 i seggi vacanti sono addirittura una trentina, cioè la metà del numero statutario, 60. In pratica la Repubblica è in mano a tre famiglie (Belluzzi, Bonelli, Gozi), con legami di parentela fra loro. Inoltre – altro forte motivo di dissenso – si continua a non nominare consiglieri fra gli abitanti dei castelli ‘soggetti’ (castra subdita), Fiorentino, Montegiardino, Faetano e Serravalle, acquisiti nel 1463. Alla guida della contestazione c’è Pietro Lolli (nobile, ex consigliere, ex reggente), aiutato dall’esterno (Pennabilli e non solo) col rilascio nominativo ai singoli contestatori di patenti ecclesiastiche che li proteggano dalla persecuzione del tribunale (laico) della Repubblica.
Papa Clemente XII, dovendo recuperare in tutta fretta la sovranità sul Titano minacciata dagli Asburgo, decide di far leva proprio sulla contestazione interna. Il 26 settembre 1739 incarica il card. Giulio Alberoni, che da alcuni anni amministra la Romagna e da qualche mese è in contatto coi contestatori sammarinesi, di portarsi ai confini della Repubblica e lì aspettare che gli venga incontro la massima parte della popolazione per accoglierlo come liberatore. Dopo di che procederà alla accettazione formale dei sammarinesi fra i sudditi della Santa Sede. Il tutto senza clamore. Senza alcun atto di forza. Deve risultare davanti al mondo intero e, in primo luogo, agli Asburgo che si tratta di una dedizione spontanea.
Il card. Alberoni non può opporsi alla richiesta del papa. Il suo incarico di governo in Romagna è scaduto da tempo. È in regime di prorogatio. Ha bisogno che il papa gli trattenga a Roma il cardinale – già nominato – che prenderà il suo posto, di modo che egli possa completare alcuni lavori pubblici sui fiumi attorno a Ravenna, a cui tiene moltissimo.
Alberoni è uomo di grande esperienza politica e, nonostante i 75 anni, ancora molto attivo. Politicamente è schierato dalla parte dei Borboni di Spagna e contro gli Asburgo. Gli Asburgo aspettano da una ventina d’anni l’occasione per vendicarsi di uno sgarro subito quando il Cardinale era alla guida della Spagna: la flotta spagnola finanziata dall’intera cristianità per attaccare i Turchi, era stata adoperata per sottrarre agli Asburgo la Sardegna e la Sicilia.
Il 17 ottobre 1739 il card. Alberoni con un seguito di una decina di persone, fra cui alcuni sammarinesi della fazione di Lolli, entra al mattino presto in Repubblica, anche se ai confini non ha trovato nessuno. Giunto a Serravalle è accolto, in chiesa, dal parroco con un gruppo di fedeli. Il parroco a nome di tutti i serravallesi chiede il passaggio fra i sudditi della Santa Sede. Alberoni accoglie la richiesta e promette che non avranno a pentirsi della scelta. Quindi, accompagnato da alcuni di loro, prosegue per Borgo dove – a detta dei seguaci di Lolli – lo avrebbe atteso una grande folla di contestatori proveniente dalle varie località della Repubblica. Questa folla lo avrebbe poi accompagnato su fino in Città e quindi al Palazzo Pubblico. Invece a Borgo la piazza è vuota. Tuttavia Alberoni non desiste. Lascia lì il calesse e, quasi solo, in tutta fretta sale a dorso di mulo verso la Città, entra per la porta di San Francesco e prende alloggio a Palazzo Valloni.
A Palazzo Valloni poco dopo arrivano salendo da Borgo – in Borgo erano giunte in ritardo! – una ventina di persone di Fiorentino, guidate dal parroco e da un prete della famiglia Ceccoli. Alcune hanno in mano un’arma.
Il governo sammarinese temendo una sortita del Cardinale sul Palazzo Pubblico, convoca le milizie. Alberoni reagisce minacciando di chiamare i soldati dalla Romagna. I governanti non recedono. Anzi fanno correre la voce che è stata mandata una staffetta a Carpegna per chiedere aiuto ai soldati tosco-imperiali. Il Cardinale, temendo di finire davvero nella mani degli Asburgo, chiama 250 soldati da Verucchio e altri 250 da Rimini.
L’indomani, domenica 18, i Capitani Reggenti sono costretti a scendere a Palazzo Valloni per consegnare le chiavi dei luoghi pubblici sopra un bacile d’argento – così ha voluto il Cardinale – e firmare una atto di ‘dedizione’ della Repubblica alla Santa Sede. In effetti è un atto di resa. Di fatto la sortita di Alberoni sul Titano, diversamente dalle previsioni, ha assunto i connotati di una conquista.
Alberoni, per recuperare la situazione, cioè per far sì che, nonostante l’uso dei soldati, l’acquisizione di San Marino risulti avvenuta per dedizione, programma da subito per domenica 25 una solenne cerimonia pubblica in Pieve nel corso della quale l’intera comunità, popolo e nobiltà, dovrebbe prestare giuramento di fedeltà alla Santa Sede. In otto giorni è certo di riuscire a convincere i sammarinesi a darsi alla Santa Sede. Come? Garantendo il mantenimento di tutte le condizioni di miglior favore già in essere a San Marino rispetto agli altri luoghi dello Stato della Chiesa e aggiungendo nuovi, importanti privilegi. Insomma vantaggi economici in cambio della libertà. Farà vedere che per tutti, popolo e nobiltà, si apre una prospettiva di miglioramento, accettando di passare sotto la Santa Sede.
Per convincere il popolo, Alberoni si avvale dei parroci. Sollecita i parroci, anche con elargizioni di danaro, a presentarsi a lui, nel corso della settimana veniente, con delegazioni di fedeli delle loro parrocchie, sull’esempio di Serravalle. Per quanto riguarda la nobiltà, cioè i vecchi governanti, Alberoni comincia con l’invitare a Palazzo Valloni Giuseppe Onofri: notaio, dottore in diritto, consigliere, ex reggente, nobile. Onofri fa parte della consorteria degli ex governanti, ma al contempo è amico di Pietro Lolli, già suo cliente, e non è inviso al vescovo di Pennabilli. Insomma: un uomo assai destro, quale avea sempre saputo navigar in due acque, dice Alberoni.
Alberoni, sapendo quanto Onofri aspiri a farsi merito presso la Santa Sede per poter entrare nell’amministrazione pontificia, gli chiede di aiutarlo a convincere i suoi ex colleghi di governo a prendere realisticamente atto della necessità assoluta per Roma di affermare la sovranità sul Titano a causa del sovrastante pericolo degli Asburgo già arrivati a Carpegna. Gli rivela che lui, Alberoni, è lì per espresso ordine del papa. Al papa non si può non obbedire. Tutti. Tanto vale allora rassegnarsi tutti e andare avanti assieme. E – perché no? – sfruttare assieme la situazione. Se i nobili daranno una mano a formalizzare senza inciampi il passaggio della Repubblica sotto la sovranità della Santa Sede, potranno mantenere dentro il paese tutti i privilegi di governo di cui finora hanno goduto e fuori, cioè nell’amministrazione pontificia, si aprirà per ciascuno di essi una prospettiva di carriera rapportata al grande merito acquisito agli occhi del papa in questa circostanza.
Alberoni, lunedì 19, come gesto di buona volontà verso l’intera comunità, fa ritirare i soldati di Verucchio (odiatissimi dai sammarinesi per l’antica diatriba sui confini) e anche gran parte di quelli di Rimini.
A questo punto succede l’imprevisto. Gli ex governanti – non si sa come – riescono a entrare in possesso di una copia del testo delle disposizioni impartite al Cardinale dal papa. Dallo scritto vengono a sapere che la dedizione doveva essere del tutto volontaria. La volontarietà era indicata come conditio sine qua non. Per cui il Cardinale non avrebbe né dovuto né potuto adoperare i soldati. Gli ex governanti però non si precipitano a Palazzo Valloni a chiedere, carta in mano, il ripristino della libertà. Non sarà certo un pezzo di carta a far riprendere ad Alberoni la strada di Ravenna con la coda fra le gambe. Alberoni è stato mandato da Roma? Che sia Roma a farlo tornare indietro. Gli ex governanti fanno partire, già martedì 20, un esposto per Roma: il Cardinale è piombato sulla minuscola comunità con centinaia e centinaia di soldati, privandola della sua libertà. I sammarinesi non intendono affatto rinunciare alla libertà. Denunceranno il sopruso davanti all’universo mondo.
Mentre l’esposto viaggia per Roma attraverso i monti (con la complicità delle autorità pontificie di Urbino, ostili ad Alberoni), gli ex governanti, uno ad uno, si presentano a Palazzo Valloni davanti al Cardinale per chiedergli la benevolenza di accoglierli fra i sudditi della Santa Sede, scusandosi per il ritardo. E lo ringraziano in ginocchio fin con le lacrime agli occhi per le paterne generose profferte di cui sono stati fatti partecipi dal collega Onofri.
Il Cardinale non ha motivo di non credere alla sincerità di tali attestazioni. Per cui ritiene che l’impresa sia ormai praticamente conclusa. Scrive a Roma che l’impresa è conclusa. Rimane solo la formalità della cerimonia del giuramento pubblico previsto per domenica 25 in Pieve.
In vista di tale cerimonia Alberoni si mette subito all’opera per dare un nuovo assetto alla amministrazione della comunità, compreso il rifacimento del Consiglio, da riportare, col consenso di tutti, al numero statutario dei suoi componenti, 60. Sarà il nuovo Consiglio a giurare, domenica 25, consigliere dopo consigliere, fedeltà alla Santa Sede in rappresentanza di tutti i sammarinesi, toccando il Vangelo aperto sulle sue ginocchia, di fronte a illustri ospiti stranieri già invitati come testimoni.
Per rifare l’amministrazione ed il Consiglio, Alberoni si serve di Giuseppe Onofri, ormai suo alter ego.
Onofri procede in modo che i consiglieri in carica vengano confermati ed i nuovi (una trentina) siano scelti – li sceglie lui! – fra gli abitanti del ‘distretto vecchio’ (escludendo ancora una volta quelli dei castra subdita). Alberoni lascia fare. Quei consiglieri devono solo giurare, domenica 25 in Pieve, fedeltà alla Santa Sede. Nient’altro. Che siano vecchi o nuovi, che abitino a Montegiardino o nelle Piagge che differenza fa? L’atto politico cui sono chiamati a dare il loro apporto, il giuramento, è anche l’ultimo. Dopo il giuramento, tutte le funzioni politiche del luogo passeranno a un governatore nominato dalle autorità pontificie, così come avviene altrove.
Mercoledì 21 sul far della notte arriva a Roma l’esposto dei sammarinesi. Giunge a mons. Melchiorre Maggio, sammarinese e personaggio di rilievo della curia romana. Maggio si precipita in casa del card. Corsini, nipote del papa. Poi andrà anche dal papa in persona. Metterà in allarme l’intera curia. Roma, viene a sapere dai sammarinesi che cosa è realmente accaduto sul Titano. Il loro esposto, partito martedì 20 per staffetta, è arrivato prima delle lettere-relazioni di Alberoni spedite sabato 17 e domenica 18 per posta ordinaria.
La corte romana, nell’apprendere che Alberoni ha adoperato i soldati per piegare i sammarinesi, va in fibrillazione. Teme l’intervento sul Titano delle truppe tosco-imperiali. Immediatamente decide di addossare ad Alberoni tutta la responsabilità dell’operazione. Avverte le corti estere, a partire da quelle di Firenze e Vienna, che Alberoni ha aggredito San Marino solo per un astio personale verso i sammarinesi, mentre avrebbe dovuto – questi erano gli ordini del papa – aiutarli a ritrovare la concordia civile.
Roma ordina ad Alberoni di recedere dall’operazione. L’ordine, però, non parte subito. È spedito solo sabato 24 e addirittura per posta ordinaria. Invece i sammarinesi residenti a Roma adoperano la staffetta per avvertire i loro concittadini del Titano dei nuovi sviluppi della situazione e stimolarli a resistere. Già nella giornata di sabato 24 Onofri può presentarsi davanti ad Alberoni e, sia pure in termini cortesi ma fermi, avvertirlo delle novità di Roma e chiedergli di sospendere la cerimonia dell’indomani. Il vecchio Cardinale non crede alle sue orecchie. Giudica Onofri un millantatore (oltre che un vigliacco traditore). È giunta tant’oltre la sua cecità – scrive Alberoni subito in una lettera a Roma – da farmi proporre di assumere io stesso l’impegno di restituire al Paese l’antica libertà! Alberoni non riesce a dar spazio dentro di sé al sospetto che Roma lo abbia scaricato. Egli si è mosso da Ravenna non certo di testa sua. È stato spinto, costretto, ricattato da Roma. Ha in tasca un ordine scritto ufficiale, un Breve, firmato dal papa. È entrato in Repubblica nella veste di Delegato Apostolico. Come può non andare avanti se non riceve un nuovo ordine dal papa?
Domenica 25 in Pieve solo pochissimi consiglieri accettano di giurare fedeltà alla Santa Sede. Nella stragrande maggioranza, sotto la regia di Onofri, per nulla intimoriti dalla presenza del Cardinale, delle autorità forestiere e dei soldati, si rifiutano e molti riaffermano pubblicamente la loro volontà e il loro diritto a governarsi in libertà. Per il Cardinale è uno smacco tremendo. Poco dopo le case dei principali contestatori cominciano ad essere saccheggiate.
La notizia di quanto sta accadendo a San Marino si propaga velocemente in Italia, in Europa. Scatta attorno ai sammarinesi la simpatia per il coraggio dimostrato in Pieve (hanno osato contestare cotanto Cardinale benché fosse attorniato il luogo da’ Soldati colle Baionette e una Squadra di trenta Birri alle Porte) e scatta pure la solidarietà per il saccheggio. La notizia della contestazione e quella del saccheggio entrano in risonanza. L’effetto è dirompente. Va in frantumi l’intero progetto della Santa Sede di riportare sotto la sua sovranità la Repubblica di San Marino.
Giovedì 29 Alberoni, dopo aver ritentato invano di farsi approvare dal Consiglio appositamente riunito, la dedizione, fa ritorno a Ravenna. Nel Palazzo Pubblico di San Marino c’è un governatore da lui stesso nominato, come in tanti luoghi della Romagna. Siccome da Carpegna le truppe tosco-imperiali non si sono mosse e non c’è alcun segno che si muoveranno in soccorso dei sammarinesi, Alberoni suggerisce alla curia papale di fare come, a Roma, si è sempre fatto in circostanze del genere: nulla. Il tempo avrebbe reso definitivo il suo operato.
I sammarinesi non accettano che a Palazzo ci sia un forestiero. Non era mai avvenuto nella loro lunga storia. Rivogliono la libertà di autogovernarsi. E quanto prima. Non possono aspettare. Il tempo non gioca a loro favore. Per una comunità così piccola è difficile continuare a mantenere a lungo l’attenzione su di sé a Roma e nel mondo. Per cui non desistono. Urlano all’universo mondo il loro diritto a vivere in libertà. Alberoni difende il suo operato attraverso le stampe? I sammarinesi non sono da meno e rispondono punto su punto, vincendo il confronto, nell’uso di quel nuovo moderno mezzo, sia per quanto riguarda l’efficacia che la spregiudicatezza.
I sammarinesi non attaccano il papa. Attaccano il Cardinale Alberoni e solo il Cardinale Alberoni. E non chiedono la libertà tout court, ma solo che si esegua l’accertamento sulla loro volontà di sottomettersi o meno alla Santa Sede, previsto negli ordini impartiti dal papa al Cardinale e che il Cardinale ha omesso di effettuare.
Roma ha bisogno di evitare che parta dal Titano una richiesta di aiuto agli Asburgo. I sammarinesi fanno capire che non chiederanno aiuto agli Asburgo se verrà inviato sul Titano una personalità, scelta dal papa stesso, per eseguire l’accertamento sulla loro volontà di darsi o no alla Santa Sede. Per Roma la proposta sammarinese, non implicando un coinvolgimento di poteri esterni allo Stato della Chiesa, è accettabile. E viene accettata.
Il 9 gennaio 1740 arriva sul Titano, inviato da Roma, mons. Enrico Enriquez. Questi interpella uno ad uno ben 300 sammarinesi, a partire dai consiglieri e dagli ecclesiastici. È costretto a riferire a Roma: con mio mal grado pur troppo fan corpo, e pur troppo desiderano la libertà. In particolare annota che la maggior parte de’ nuovi consiglieri, cioè quelli nominati da Alberoni, entrati per la prima volta in Consiglio grazie appunto ad Alberoni, ebbene anch’essi si mostrano gelosi della loro libertà e, con sua grande sorpresa, si conformano in ciò coi vecchi. Preso atto delle stato delle cose, in ottemperanza alle disposizioni ricevute da Roma, mons. Enrico Enriquez restituisce la libertà ai sammarinesi.
È il 5 febbraio 1740, giorno dedicato a Sant’Agata, da allora Compatrona della Repubblica.
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