Caso Balsamo, la Corte di Strasburgo dà ancora ragione a San Marino

Caso Balsamo, la Corte di Strasburgo dà ancora ragione a San Marino

Caso Balsamo, la Corte di Strasburgo dà ancora ragione a San Marino

Sentenza significativa perché in quel caso erano stati confiscati 2,1 mln nonostante l’assoluzione delle imputate

Nel caso delle sorelle Balsamo arriva la parola fine anche da Strasburgo che conferma come le decisioni sammarinesi siano state corrette. Nel Tribunale sammarinese in primo grado le due sorelle erano state condannate ed era stata disposta la confisca. In appello la condanna penale per le sorelle era stata annullata per insufficienza di prove circa l’elemento psicologico del reato, ma era stata confermata la confisca, sulla base del principio, internazionalmente riconosciuto, che il crimine non può pagare, considerato che si trattava di denaro di provenienza illecita dell’attività delittuosa del padre delle due ragazze. Sulla base dell’assoluzione i legali avevano fatto ricorso al giudice per i rimedi straordinari che, però, aveva rigettato il ricorso e confermato la precedente sentenza di appello.

Così la confisca di 2.150.000 euro riconosciuti di provenienza illecita da furto e ricettazione di materiale ferroso, reati per i quali era stato condannato il padre delle ricorrenti, Cosimo Balsamo, era diventata definitiva. Viene confermata ancor più oggi che la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo conferma che il Tribunale di San Marino ha agito correttamente. Il ricorso alla corte di Strasburgo era stato fatto perché le ricorrenti lamentavano che, nonostante l’assoluzione, era stata applicata la misura della confisca.

Secondo le ricorrenti si erano violati due principi fondamentali: quello che senza condanna non debba esserci sanzione e quello secondo cui, applicando una sanzione in caso di assoluzione, sarebbe venuta meno la presunzione di innocenza. In entrambi i casi la corte ha dichiarato il ricorso infondato. Infatti, secondo una giurisprudenza internazionale consolidata, la misura della confisca non è configurabile soltanto come sanzione, ma anche come misura di prevenzione affinché denaro di provenienza illecita non torni in circolo in funzione del principio che il crimine non può pagare. Pertanto, se è applicata quale misura di prevenzione, circostanza che non è esclusa dall’articolo 147 del codice  penale, quello relativo alla confisca, appunto, è possibile, come nel caso specifico, che la confisca stessa non sia necessariamente legata alla condanna. Per lo stesso motivo, quindi, non vi è violazione della presunzione di innocenza, considerato che nel caso specifico la confisca non va vista come una condanna accessoria per chi è stato assolto, bensì come una misura di prevenzione.

In entrambi i casi il ricorso alla Corte è stato dichiarato infondato e irricevibile.

Per un altro punto, relativo alla tutela del diritto di proprietà previsto dall’articolo 1 del protocollo aggiuntivo, pur essendo stato dichiarato ammissibile il ricorso, la Corte, dopo aver vagliato nel merito la questione, ha dichiarato che non vi è stata alcuna violazione della norma. In tale caso si sosteneva che la confisca avrebbe violato il diritto di proprietà delle ricorrenti sostenendo che la misura veniva applicata perché ne veniva riconosciuta la provenienza illecita e non il futuro utilizzo.

La Corte ha tuttavia rilevato come le ricorrenti non abbiano provato la liceità di quei denari né la loro futura destinazione, per i quali, semmai, vi era prova della illecita provenienza. “Lo scopo della confisca è eliminare tali fondi dalla circolazione ulteriore nell’economia” , ha ribadito Strasburgo. Infatti la Corte ha aggiunto che gli Stati “devono avere un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda il mezzo appropriato per applicare misure di controllo dell’uso” di denaro riconosciuto di provenienza illecita.

La Corte ha poi evidenziato che il tribunale nazionale ha “offerto ai richiedenti una ragionevole opportunità di sottoporre il loro procedimento a contraddittorio”, al fine di dimostrare la liceità di quelle somme.

Dimostrazione che, però non c’è stata. Per questo la Corte ha concluso che la confisca non ha violato il diritto di proprietà ed equità.

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