Qual è la soglia minima per non fare affondare il nostro Paese?
Passo sul confine di Gualdicciolo
mediamente una volta a settimana. Non potevo credere ai miei occhi quando ho
visto i cartelli dei frontalieri che incitano al boicottaggio contro San Marino.
E’ come sputare nel piatto dove
si mangia. San Marino ha offerto a tutti loro un lavoro, una sicurezza
economica e molte altre cose che, probabilmente, non hanno nel loro Paese.
Altrimenti non sarebbero qui.
La questione frontalieri continua
a montare. Ma non è tutta colpa loro. C’è chi lavora senza sosta per alimentare
una contrapposizione che non c’è, per alimentare lo scontro sociale a danno del
Paese che tutti dicono di amare e rispettare, e che invece si tenta di
affondare con ogni mezzo.
Non si può leggere in altro modo
l’incitamento alla rivolta fiscale, allo sciopero di consumi e perfino alle
manovre sottobanco per recuperare quel privilegio che è stato eliminato dalla
busta paga. E così può accadere che il dipendente sammarinese a 1600 euro al mese
deve aiutare il frontaliere che ne prende 3000… e che poi recupera il mancato
abbattimento in sede di denuncia dei redditi.
Il danno e la beffa.
Non sarebbe più giusto andare in
6000 davanti a Montecitorio per ripristinare quella franchigia che l’ultima
finanziaria italiana ha cancellato? O meglio ancora, la firma dell’accordo
sulla doppia imposizione fiscale? Se si va a manifestare sul Pianello, le grida
non arrivano fino a Roma…
Ma l’interrogativo è un altro:
qual è la soglia minima per non danneggiare il nostro Paese?
Se lo sono chiesto i sindacati, i
lavoratori, le forze politiche, i giornali, gli industriali, i maître à penser
della domenica, che ogni giorno dipingono
scenari di guerra?
Fare boicottaggio, aizzare la
protesta civile serve a mantenere il posto di lavoro, lo stipendio, la
produttività delle imprese? Serve ad invertire una crisi che in Italia ha fatto
aumentare del 45% la cassa integrazione? E se è in crisi il Paese che ci
circonda, noi possiamo dormire fra due guanciali?
La crisi c’è, è fuor di dubbio,
altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di una finanziaria che mettesse le mani
in tasca ai cittadini e ai frontalieri. E’ questo che fa male, perché è
esattamente il contrario dei privilegi a gogò che sono stati elargiti sempre,
senza discriminazioni. Ma la strada è obbligata: o impariamo a pagare le tasse,
tutti quanti, o si deve licenziare…
Come si esce dalla crisi? Prima
di tutto con una grande senso di responsabilità. Come quello che hanno
dimostrato le aziende che non hanno mollato e che non sono andate in Italia
(dove la situazione è molto peggio). Anche grazie a loro, dal 2009 al 2010, i
lavoratori sono scesi di appena 160 unità. Non solo, ma per effetto di vari
meccanismi amministrativi, la contribuzione è aumentata di un milione di euro.
E allora, i messaggi non sono
tutti negativi, anzi. Bisogna andarli a leggere correttamente e avere davvero
la voglia di risalire la china.
L’altro parte di senso di
responsabilità deve venire dalla politica, portando a compimento in brevissimo
tempo il pacchetto di riforme che dovrà ridisegnare l’economia, ma anche
l’identikit del nostro Paese (come ha già fatto il pacchetto trasparenza). E
cioè: la riforma tributaria, della previdenza, del lavoro, della PA. Si
comincerà nel Consiglio di aprile, ma contestualmente devono venire avanti i
progetti. Chi ne ha si faccia avanti, perché solo con le lamentazioni non si va
da nessuna parte.
Angela Venturini
Coordinatore USDM