La Repubblica
Claudia Minutillo: “Noi, gli onnipotenti del
Mose”
Parla l’assistente di Giancarlo Galan prima, lanciatissima
imprenditrice a fianco di Piergiorgio Baita, poi: “L’arresto è stata una
liberazione, soltanto allora abbiamo capito la gravità delle nostre azioni.
Rispetto al 1992 tutti dicevano che la corruzione c’era ancora e nessuno
l’avrebbe mai scardinata”
Fabio
Tonacci
PADOVA. CI SENTIVAMO onnipotenti, sì…”.
Dopo un’ora d’intervista Claudia Minutillo riassume così dieci anni della sua
vita. O meglio, delle sue due vite: assistente di Giancarlo Galan prima
(“uomo di grande intelligenza e amante della bella vita, mi ha fatto
cacciare senza nemmeno dirmelo in faccia”), lanciatissima imprenditrice a
fianco di Piergiorgio Baita, poi. Con quest’ultimo ha condiviso l’onta
dell’arresto, nel febbraio del 2013. Indagata per false fatturazioni e concorso
in corruzione. Cominciava così la tangentopoli della Laguna, e lei, da allora,
si è chiusa nel silenzio. Fino ad oggi. “Non sono una
“tangentara”, né la dark lady descritta dai giornali, concentrati
solo su dettagli stupidi e privati. Sono stata trattata in modo sessista dai
media, solo perché sono una donna”.
“Dark lady”, ma anche “Dogessa”,
“vicepresidentessa”, “Morticia”: a Venezia le sono stati
affibbiati diversi nomignoli. Aveva davvero tutto questo potere?
“Avevo potere solo perché Galan mi usava come filtro, dovevano tutti
passare da me per avere un appuntamento. Fino al 2005 sono sempre stata accanto
a lui, lavoravo 18 ore al giorno”.
Galan è accusato di aver “spremuto” Baita e il Consorzio
Venezia Nuova per ottenere milioni di euro e la ristrutturazione della casa.
Lei lo sapeva?
“Poco prima di andarmene mi ero accorta di un certo andazzo… ma non
posso entrare nei dettagli, c’è un’indagine in corso”.
Come lo ha conosciuto?
“L’ho conosciuto nel 1994 in Forza Italia, credevo nel progetto di
Berlusconi. Sono stata la sua segretaria fino al 2005 quando la moglie Sandra
Persegato ha chiesto di allontanarmi. Non sopportava che fossi io a decidere
l’agenda del marito”.
Eppure dopo poco si ritrova amministratrice delegata di Adria
Infrastrutture (gruppo Mantovani, ndr ) e nel consiglio della Pedemontana
Veneta. Come ha fatto?
“Fu Baita a cercarmi. La
Mantovani mi pagava molto bene, perché mi occupavo di
progetti importanti e perché avevo un’ottima rete di relazioni”.
Quando si è accorta del sistema delle sovraffatturazioni con cui a
Baita rimediava denaro liquido da girare a politici e amministratori?
“Subito, era lui stesso a parlarmene. Giravano tanti nomi di beneficiari,
ma di Ga- lan e di Renato Chisso (ex assessore alle Infrastrutture della
Regione Veneto, ndr ) ne ho la certezza”.
In un’intercettazione telefonica la sentiamo dire all’assessore Chisso
“alza il culo e vieni qua”. Lo comandava a bacchetta?
“È una frase che è stata fraintesa. Tra noi c’era un rapporto di
confidenza, avevo un modo molto diretto di parlare con lui”.
Lei ha parlato, durante un interrogatorio, di somme per Gianni Letta e
Giulio Tremonti. Vuole spiegare meglio?
“Era Baita che mi faceva capire che c’erano soldi che finivano a qualcuno
a Roma. Era tutto un sottinteso, però”.
Ai magistrati lei ha raccontato anche di una cena a casa di Niccolò
Ghedini, nel 2004, in cui William Colombelli, della Bmc di San Marino, avrebbe
parlato apertamente del meccanismo delle sovraffatturazioni per finanziare la
politica. Ghedini la definisce una “millantatrice”.
“Non ho fotografie, né registrazioni. Ma sono convinta di quello che dico.
Mi ricordo anche che Ghedini suggerì di non usare quella società per le cose
ufficiali della Regione, perché avrebbe potuto richiamare attenzione”.
È mai stata nella sede di San Marino della Bmc di Colombelli, “la
cartiera”, come la definiscono i pm?
“Sì, aveva un ufficio piccolo, con due stanze, due segretarie e una
fotocopiatrice. Con Adria Infrastrutture, di cui ero amministratrice, c’è stato
uno scambio di tre o quattro fatture false per 1,8 milioni di euro, non tutte
firmate da me. A volte Baita pressava per fare dei contratti urgenti, perché
qualcuno doveva incontrarsi con personaggi importanti a Roma”.
E poi il 28 febbraio dell’anno scorso i finanzieri la portano in
carcere.
“Una liberazione. Sapevamo da tempo di essere indagati, ce lo aveva detto
Baita, spiegandoci che stava cercando di intervenire attraverso Mirco Voltazza
(imprenditore padovano, ndr)”.
Perché non se ne è andata prima?
“Non ne ho avuto la forza, è stato uno sbaglio e lo ammetto. Siamo immersi
in un sistema di corruttela troppo strutturato, troppo consolidato, nella
pubblica amministrazione e nella magistratura, nella Corte dei conti e nei Tar,
fino anche al Consiglio di Stato. Ovunque funziona così. Se vuoi i lavori
pubblici, devi fare queste cose. Tant’è che i ricorsi delle gare per gli
appalti le vinceva chi pagava di più. Eravamo convinti che quello fosse l’unico
sistema possibile, che non si potesse fare diversamente. Solo quando ci hanno
arrestato abbiamo capito la gravità delle nostre azioni”.
Quando dice noi, chi intende?
“Io, Baita, Chisso, Buson, Mazzacurati e gli altri…”.
Solo dopo l’arresto avete capito. Pare una giustificazione un po’
debole…
“Il sistema, le mazzette, le buste coi soldi, ci sembravano una cosa
normale”.
Come fa a dire una cosa del genere? La Tangentopoli del 1992
se la ricorda?
“Tutti dicevano che da allora erano cambiati i metodi, ma la corruzione
nei lavori pubblici era rimasta la stessa e nessuno avrebbe mai scardinato
niente. Ci sentivamo un po’ onnipotenti, eravamo convinti di poter vincere
tutte le commesse”.
Fino a che punto è arrivata la corruzione in questo settore?
“Anche a livello sovranazionale, nelle istituzioni europee…”.
Si sente vittima o carnefice del sistema corrotto di cui parla?
“Né vittima né carnefice, sono uno dei tanti ingranaggi. Ritengo di essere
stata molto usata”.
Ora cosa fa?
“Mi dedico a un nuovo progetto che non ha niente a che vedere con i lavori
pubblici. Sto collaborando con i magistrati per far emergere tutto il marcio. E
ora voto Matteo Renzi, non l’avrei mai detto”. La terza vita di Claudia
Minutillo.