“Rendiamo la nostra vita un viaggio inclusivo”

“Rendiamo la nostra vita un viaggio inclusivo”

Riceviamo e pubblichiamo 

Si parla tanto di inclusivity e diversity ma poi “si finisce sempre per immaginarsi un mondo a nostra immagine e somiglianza”, questa la riflessione di un manager mentre discutevamo di inclusività nel mondo del lavoro.

In effetti quasi sempre l’inclusivity è unidirezionale e la diversity annullata dentro il così detto mondo “normale” o anche semplicemente il “proprio” mondo.

Pochi i casi di scambi bidirezionali, che danno pari dignità al mondo diversamente abile, ovvero a quello meno numeroso, perché alla fine è di numeri che si tratta.

Penso che la festività del Natale renda attuale il tema. Il Natale veicola un messaggio di accoglienza: gli esseri umani si preparano ad accogliere Gesù il Cristo, che per la tradizione Cristiana è il figlio di Dio fatto uomo; parimenti, la Pasqua trasmette un messaggio di speranza nella resurrezione.

Non sono poi così sicuro che la normalità esista in natura; di certo, tra gli esseri umani, esistono gruppi di individui con interessi simili. E in effetti le società sono organismi complessi fatti di interazioni (tra singoli o gruppi di individui) che generano vischiosità e polarizzazioni che spesso si trasformano in attriti, che facilmente diventano conflitti.

Il conflitto più noto è quello per assicurarsi le risorse, intese come beni “scarsi”, ovvero non sufficienti per tutti gli individui, o perlomeno non allocabili in quantità soddisfacente per tutti.

A poco conta dire che forse sarebbe più corretto affermare che siamo tutti “diversamente normali” e che la diversità unisce e favorisce la comprensione, favorisce l’accoglienza di diversi punti di vista e così facendo promuove l’innovazione.

È noto che l’apertura, lo scambio, genera crescita economica e sociale, poiché sposta in avanti la frontiera della conoscenza frantumando le cristallizzazioni della realtà individuale e collettiva, quest’ultima intesa come moltiplicazione dei contenuti semplificati della realtà singola.

Purtroppo, il lobbying è per sua natura focalizzato unicamente in difesa di interessi particolari. Naturalmente sono i gruppi più organizzati e numerosi che attraverso il loro networking riescono a influenzare le decisioni della politica.

Da qui l’importanza delle Associazioni e della cooperazione tra loro: insieme si va più lontano.

Ce lo ha insegnato John Nash, geniale matematico e premio Nobel per l’economia nel 1994. La cooperazione è una scelta razionale che consente sempre un risultato (payoff) superiore rispetto a quello generato dalla competizione; il miglior risultato si ottiene quando ogni giocatore farà la cosa migliore per sé stesso e per gli altri (equilibrio di Nash).

Magnifico il film “A Beautiful Mind” (2001) dove il personaggio di Nash era interpretato da Russell Crowe.

Nash per un lungo periodo della sua vita ha sofferto di schizofrenia, eppure con i suoi studi ha rivoluzionato l’economia e in particolare la teoria dei giochi, ovvero la teoria delle scelte razionali in condizioni di interdipendenza.

Ma non è di economia che voglio parlare, anche se la scienza economica fondandosi sullo studio delle scelte individuali è strettamente interconnessa con le scienze sociali e dovrebbe fungere da bussola per orientare le scelte dei policy makers, giacché è sempre una questione di allocazione / distribuzione delle risorse (scarse).

Mi vorrei soffermare sul tema della diversità e sul fatto che persone diversamente abili devono perennemente rincorrere il mondo “normale” e ciò, oltre ad essere sbagliato ed umiliante, è sconveniente (stupido!) per la società nel suo complesso.

La sostenibilità sociale passa ineludibilmente attraverso l’inclusione, ovvero il riconoscimento e la valorizzazione della diversità; “[…] ti do un consiglio bastardo, rammenta sempre chi sei, gli altri lo faranno, ti vedranno sempre per quel che sei […]” diceva il nano Tyrion Lannister (l’attore Peter Dinklage) a Jhon Snow, il figlio bastardo di Casa Stark, nella serie televisiva Game of Thrones.

Il politicamente corretto serve a poco, spesso è solo pietismo. Se è vero che “le parole trascinano i concetti” e bisogna maneggiarle con cura, è invero che contano i fatti e la diversità si vede, si respira, e alle volte toglie il fiato.

Al riguardo personalmente trovo interessante il punto di vista dei padri dei ragazzi disabili. Massimiliano Verga autore del libro “ZIGULÌ” (2012) rivolgendosi al figlio (Moreno) dice: “siamo fatti male dentro. Ci hanno fatto con gli scarti. No, non parlo di te questa volta. Penso agli occhi di chi ci guarda quando siamo a spasso.”.

L’attore Paolo Ruffini porta in giro per l’Italia dal 2018 lo spettacolo Up & Down con una compagnia di sei attori disabili (di cui cinque con la sindrome di Down e uno autistico) e racconta: “I ragazzi con sindrome di Down hanno una confidenza con la felicità che a me spesso manca”.

E in effetti anche in questo sono meravigliosamente diversi.

Anche se le cose stanno cambiando, purtroppo la disabilità è ancora oggi qualcosa di pauroso, qualcosa da nascondere. Per non parlare della solitudine delle famiglie che devono affrontare un terremoto, che dura tutta la vita: nessuno ti aiuta, non sai come fare.

In un mondo dove tutto è apparentemente perfetto, velocissimo ed effimero, dove l’apparenza conta più della sostanza e diventa ipocrisia, dove spesso i giovani sembrano avere smarrito la capacità di “soffrire”, vogliono tutto e subito, è ancora più forte il timore di non essere conformi agli stereotipi.

In questa dimensione la disabilità è qualcosa di disturbante, perché è esattamente il contrario è del modello sociale prevalente. La disabilità è dannatamente vera. Richiede: resilienza, preparazione e amore per la vita.

Ma se vale la regola che siamo spaventati da ciò che non conosciamo, allora la soluzione è conoscere e avvicinarsi.

Ma poi normali rispetto a chi?

Tra (giochi di) guerra e (sogni di) pace due atroci conflitti si stanno consumando e non sono i soli, sono solo i più noti.

La cronaca racconta di tragedie caratterizzate da uomini che non controllano i loro malevoli istinti.

Le relazioni umane appaiono sempre più disfunzionali, polarizzate tra lo stalking e il ghosting, due facce della stessa medaglia, che esprimono l’incapacità di relazionarsi affettivamente con gli altri.

Ricordo che da ragazzino mi fecero leggere Le Petit Prince (Il Piccolo Principe, 1943) forse il precursore dell’educazione sentimentale oggi tanto acclamata ma non realizzata.

Il racconto di Antoine de Saint-Exupéry con la sua semplicità spiega il valore delle relazioni umane, la responsabilità che ne deriva, diventi (figurativamente) allo stesso tempo creditore e debitore dell’altro in un legamene che si fonda anche sulla scoperta delle reciproche idiosincrasie: “[…] È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante […] Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa […]”.

E allora facciamo in modo che la “nostra rosa” sia il tempo che dedichiamo ad accogliere la diversità, ad imparare da lei.

Esiste un luogo che più di ogni altro abbatte i muri e le diversità: il TEATRO.

Il teatro, a mio parere una delle più potenti espressioni della creatività umana, è luogo dove le barriere si abbattono ed è possibile avvicinare universi che sembrano distanti semplicemente perché la comunicazione rispetta logiche diverse.

Ho avuto la possibilità di conoscere il Teatro Sordo, divertente e sorprendente, così come spettacoli teatrali quali il citato “Up & Down” e “BINARI” della compagnia riminese Alcantara, in quest’ultimo recitano ben’ 26 persone diversamente abili.

“BINARI” rappresenta la rielaborazione fantastica di un percorso che tocca il vissuto di ogni persona, al centro la poeticità del vivere, che ognuno porta dentro di sé attraverso un viaggio a tutto tondo verso una meta non prestabilita, metafora della vita.

FACCIAMO IN MODO CHE LA NOSTRA VITA SIA UN VIAGGIO INCLUSIVO.

Cristian  Ceccoli

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