Intervento di Luca Lazzari in Consiglio Grande e Generale 22 ottobre 2014

Intervento di Luca Lazzari in Consiglio Grande e Generale 22 ottobre 2014

Bene Comune si magnifica 

Sulle dimissioni di Claudio Felici da segretario alle finanze, com’era prevedibile, la coalizione Bene Comune sta tentando di fare attecchire una narrazione eroica di sé: ogni atto, ogni accadimento è oggetto di elogio e celebrazione. 

Vediamo allora di capire se davvero vanno tributati dei meriti alla coalizione Bene Comune. 

Punto primo. Governo e maggioranza, certo, possono rallegrarsi per la rimozione della procedura rafforzata moneyval e per l’uscita dalla black list, quel che non possono fare è compiacersene, non possono per una ragione molto precisa: la responsabilità degli ammonimenti che hanno leso così gravemente la dignità della Repubblica ricade sulla stessa generazione politica – non mi riferisco ai singoli – ancora al comando, la stessa nata sotto il segno del gattismo che oggi ha la presunzione di guidare e determinare il nuovo corso. E ancora: a che cosa si deve l’allineamento agli standard internazionali se non proprio alle misure coercitive disposte dall’Italia e dagli organismi sovrastatuali? Non pacche sulle spalle, dunque, ma biasimo per i rimandi, l’imprudenza e le resistenze alle sollecitazioni per una maggiore trasparenza. 

Punto secondo. Per quel che riguarda la disoccupazione al momento dobbiamo farci bastare l’annuncio sui 600 nuovi posti di lavoro del segretario Antonella Mularoni, di cui ancora però non v’è traccia. Altro non abbiamo. 

Punto terzo: la messa in sicurezza del bilancio e la tenuta dello stato sociale. Chiunque abbia un minimo di conoscenza della materia sa che le finanze pubbliche fanno acqua da tutte le parti, che il debito reale supera il mezzo miliardo di euro, che le riserve valutarie sono esaurite e che presto la scarna consolazione elargita il 27 d’ogni mese potrebbe essere messa in forse. Sullo stato sociale poi pende la spada di un ulteriore scudo fiscale da parte dell’Italia (voluntary disclosure), che potrebbe mettere in serissima difficoltà gli istituti bancari sammarinesi, i quali – lo sottolineo con molta preoccupazione – si reggono in piedi sui 380 milioni dei fondi pensione (gli ultimi soldi veri rimasti, facciamo in modo di non perdere anche questi). 

Da ultimo, ma non per ultimo, la trasformazione del sistema. Durante una delle lezioni del bel festival tenutosi la scorsa settimana sul rapporto tra il denaro e la storia, ho potuto ascoltare un’espressione che sembra riferirsi proprio alla situazione sammarinese. È questa: “procuratevi amici con la disonesta ricchezza” (perché la ricchezza è sempre disonesta). Ovvero, investite il vostro denaro in qualcosa per cui voi non dobbiate perderlo, impiegatelo acquistando qualcosa che non possa andare a male. È l’insegnamento più grande che possiamo raccogliere dagli errori dell’ultimo ventennio, un insegnamento che però sembra non riuscire a farsi strada nelle coscienze di chi ha la guida del Paese. Si continua, infatti, a ragionare unicamente di grandi e indefinite operazioni – finanziarie, industriali o commerciali che siano – mentre si lasciano all’abbandono le risorse presenti nel Paese, nei giovani, nei disoccupati, nelle persone di buona volontà; così come si continua nel portare avanti inopportuni abboccamenti con faccendieri e imprenditori di ogni risma. 

La narrazione eroica di Bene Comune su Bene Comune è dunque una narrazione contraffatta. 

Le dimissioni di Claudio Felici 

Ma veniamo più da vicino all’oggetto del comma, alle dimissioni di Claudio Felici da segretario alle finanze. Come hanno giustamente ricordato diversi colleghi, l’aula del consiglio grande e generale non è un’aula di giustizia. È al giudizio politico che intendo attenermi. 

Agli ascoltatori più attenti non sarà sfuggito che nei necrologi, soprattutto dei democristiani, si è insistito molto sulle gesta e sulle prodezze del fu segretario di stato alle finanze. L’elenco è questo: riforma tributaria, imposta straordinaria sugli immobili, spending review, titoli del debito pubblico, interventi a sostegno del risparmio (ovvero delle banche), condono fiscale, Istituto per la finanza pubblica (il marchingegno per la svendita del patrimonio pubblico sabotato da una parte delle opposizioni). 

Tutti questi provvedimenti hanno una traduzione precisa: inasprimento fiscale, tagli alla spesa pubblica, finanziamenti a fondo perduto alle banche, disequità sociale, aumento del debito pubblico. In questo senso, l’omaggio di Bene Comune all’«elemento perturbante» – «elemento perturbante» è la strana definizione che lo stesso Claudio Felici ha voluto usare riferendosi a sé stesso –, dicevo l’omaggio di Bene Comune all’«elemento perturbante» è apparso più come un esorcismo col quale comunicare agli elettori: “fate bene attenzione, perché è lui, è lui l’autore dei provvedimenti contro i quali siete scesi in piazza, e ce ne stiamo liberando”. Se ne stanno liberando, è vero, ma la sua eredità politica non viene messa in discussione. 

Al di là delle battute, si capisce bene come il mio personale giudizio politico su Claudio Felici – per quel poco che possa contare – è estremamente negativo. 

Nonostante ciò, gli riconosco di essere un uomo del fare, un uomo capace di intervenire sulla realtà, di trasformare la realtà. Purtroppo però (purtroppo per tutti, per il suo partito, purtroppo per il Paese) Claudio Felici ha smesso di guardare alla politica come ad una missione, la sua gestione della segretaria alle finanze io credo verrà ricordata come una sfida personale, come un esercizio tecnico, incapace di creare qualsivoglia coinvolgimento nella popolazione se non quello della contrarietà. Quel che posso dire è che il generale della sinistra sammarinese forse avrebbe meritato di essere sconfitto sul campo di battaglia politico anziché finire avvelenato dalle inchieste giudiziarie. 

Le soluzioni allo stallo 

Con le dimissioni di Claudio Felici sono saltati gli equilibri di maggioranza. Si deve allora ricorrere a una soluzione istituzionale. 

Qui apro una parentesi: voglio rilevare la condizione di stallo determinata dalla legge elettorale e la difficoltà di tutte le forze politiche, anche di quelle che hanno più fortemente voluto la legge, a stare dentro un modello bipolarista; qualcuno potrebbe sostenere che è una difficoltà educativa, io invece sostengo che è un’inutile e dannosa violenza alla nostra cultura proporzionalista; pertanto dichiaro la mia disponibilità a una sua modifica. 

Quali sono dunque le soluzioni possibili? La legge elettorale prevede o il rimpasto o le elezioni anticipate; fuori dalla legge le soluzioni possono essere molteplici a partire dall’allargamento della maggioranza, fino ad arrivare a un governo paritetico, a un governo della reggenza, eccetera. Certo è che stiamo parlando di soluzioni che hanno tutte il grande limite dell’autoreferenzialità e che si portano dietro un certo tatticismo di convenienza. C’è da dire che fino ad oggi hanno funzionato bene, ma hanno funzionato bene perché il Paese marciava per conto suo mentre la politica poteva anche permettersi – per rubare la battuta a un altro ex comunista – “di star qui a pettinare le bambole”. 

Partendo dal presupposto che la soluzione non va cercata nel palazzo e che in ordine alle alleanze politiche i colori non contano più ma conta chi davvero vuole bene a questo Paese, in questa fase l’errore più grande che a mio parere si rischia di commettere è di convincersi che sia sufficiente sostituire un politico a un altro perché le cose si aggiustino. Stolfi o Podeschi vent’anni fa può darsi fossero degli uomini non peggiori dell’uomo che sono io oggi o molti di voi. Bisogna comprendere che certe pratiche e certi fenomeni sono stati la conseguenza diretta di una condizione sistemica che va analizzata e corretta. Un noto proverbio recita “è l’occasione che fa l’uomo ladro”: bisogna dunque impedire che sia l’occasione a presentarsi, perché è facile criticare le malefatte e inneggiare alla legalità quando si è esclusi dalla gestione di quello che da sempre è l’unico vero potere dell’ordinamento sammarinese, e cioè il potere esecutivo. 

E qui veniamo a quella che io considero una delle riforme strutturali più importanti: la riforma dei poteri del congresso di stato. 

La riforma dei poteri del congresso di stato 

Come in un gioco di epoca vittoriana ho provato a immaginarmi quella che potrebbe essere la giornata tipo di un membro del congresso di stato: prima incontra un proprio elettore che ha una certa questione da sottoporgli, poi riceve la telefonata di un dirigente pubblico che vuole essere rassicurato sulla soluzione più corretta da adottare nel suo ufficio, poi si intrattiene a colloquio con un uomo d’affari ungherese che cerca una banca per i suoi 5 miliardi di dollari, poi fa una ramanzina all’ingegnere che ha progettato la rotatoria che secondo lui si non si riesce a prendere bene con l’auto, poi tiene un discorso alle Nazioni Unite, poi si prodiga a trovare lavoro a un disoccupato, poi dispensa qualche patrocinio agli instancabili organizzatori di eventi, poi vola all’estero con l’aereo privato di un ambasciatore per visitare una casa da gioco, poi firma la delibera per l’assegnazione di una licenza dal valore di milioni di euro, poi, poi, poi. 

Ecco che cos’è il congresso di stato: un’istituzione antiquata e principesca che tutto può sulle vite dei sammarinesi. È il congresso di stato che ha innescato il clientelismo, è il congresso di stato che ha attuato la spoliazione della collettività, è il congresso di stato che ha esercitato il ricatto sugli elettori, è il congresso di stato, in definitiva, che ha impedito l’affermarsi dello stato di diritto. E che cos’è lo stato di diritto? È la risposta a un bisogno data a tutti indistintamente, nello stesso modo. Lo stato di diritto è il contrario dello stato di grazia. Lo stato di grazie è lo stato in vigore a San Marino, dove la risposta a un bisogno avviene per via personale e dove o ci si rende sudditi e si accetta la svendita della massima espressione di libertà, che è il voto e senza il quale la democrazia rappresentativa non è più niente, oppure ci si condanna all’emarginazione (e questa è l’opzione di chi decide di difendere fino in fondo la propria dignità di cittadino). 

La rigenerazione della politica e la rigenerazione sociale 

Proprio sulle responsabilità che avrebbero avuto non i governanti ma i governati, c’è in corso un forte dibattito nel Paese. Un po’ ovunque si possono leggere o ascoltare considerazioni di questo tipo: “per ogni corruttore c’è un corrotto”, “i politici meno galantuomini sono da sempre i più votati”, “tutti hanno mangiato nello stesso piatto”, eccetera. Trovo sia un argomento non solo poco interessante – di opportunisti ne è pieno il mondo – ma anche dannoso. Abbiamo sbagliato e ce lo dobbiamo dire. Ma se vogliamo risollevarci, se vogliamo ritrovare la dignità di noi stessi, dobbiamo iniziare a rivolgerci l’un l’altro anche per quello che siamo stati e che non riusciamo più ad essere. 

In questo, un esempio importante viene da monsignor Turazzi. Non sono cattolico e perseguo una visione laica dello Stato, però la sobrietà, le parole buone del nostro nuovo Vescovo, i suoi riferimenti a Don Milani – una figura per me fondamentale – il suo stare nel solco tracciato da Papa Francesco, devo ammetterlo, mi hanno toccato e mi hanno fatto pensare che forse il vero grande male da sconfiggere non sta nei partiti o nelle istituzioni, ma nelle nostre teste, ed è la solitudine. Non perché non ci sia più occasione di stare con gli altri, ma perché si è perso il senso dello stare con gli altri. Lo sì è perso dentro un’interpretazione individualistica dell’esistenza che ci porta continuamente a pensare: come posso sfruttare colui che mi è vicino, in che modo posso raggirarlo, che cosa devo temere da lui, qual è la merce di scambio che potrebbe interessargli? 

Insieme a quella che monsignor Turazzi chiama la rigenerazione della politica bisognerebbe iniziare ad avviare una rigenerazione sociale, senza la quale tutto risulterebbe sterile 

Luca Lazzari

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