Procedimenti prescritti, San Marino vince il ricorso. Non dovrà risarcire

Procedimenti prescritti, San Marino vince il ricorso. Non dovrà risarcire

Rassegna Stampa – Decisione controversa della Grand Chambre con sette giudici dissenzienti. Non riscontrate violazioni ma la Corte si dice preoccupata per la grave disfunzione e per le 800 prescrizioni

ANTONIO FABBRI – Un bel sospiro di sollievo per San Marino che ha centinaia di procedimenti prescritti per inerzia, in diversi dei quali erano presenti parti civili. Un bel sollievo anche, e soprattutto verrebbe da dire, per l’Italia, che di procedimenti prescritti in cui sono presenti le parti civili ne ha molti, molti di più e non è un caso che si fosse “affiancata” all’Avvocatura dello Stato di San Marino nel ricorso alla Grand Chambre, a Strasburgo, dopo che la Seconda sezione Cedu aveva invece dato ragione ai ricorrenti a maggioranza. La Grand Chambre, invece, ha ribaltato, non senza pareri dissenzienti, la decisione della seconda sezione Cedu, non riscontrando violazioni quanto alla incidenza sulle pretese delle parti civili dei procedimenti penali prescritti in istruttoria. Ha però manifestato preoccupazione per gli 800 procedimenti prescritti.

La ricostruzione dei fatti Il ricorso è scattato dalla denuncia “delle vittime di presunti reati che partecipano a un procedimento penale che per l’inerzia del giudice inquirente ha portato alla prescrizione di tali reati e quindi alla mancata pronuncia sulle loro pretese civili”, ricostruisce la Grand Chambre infatti “il procedimento penale a cui i tre ricorrenti hanno partecipato come parti lese è stato interrotto dopo che il giudice inquirente assegnato ai loro casi non ha preso alcuna iniziativa, con conseguente prescrizione delle accuse. I ricorrenti hanno lamentato che a causa dell’inazione delle autorità non potevano far giudicare le loro rivendicazioni civili nel procedimento penale”, riporta il riassunto del caso.

La prima sentenza della Seconda sezione Cedu Con sentenza del 18 ottobre 2022, la Seconda sezione della Corte Edu ha ritenuto, con quattro voti contro tre, che vi era stata violazione dell’articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in quanto ai ricorrenti era stata negata la trattazione delle loro rivendicazioni civili. La Corte aveva dato ragione ai ricorrenti sottolineando che “in circostanze così estreme, interamente imputabili alle autorità giudiziarie a causa della loro totale inattività, non ci si può aspettare che i ricorrenti propongano un’azione civile separata, tanto più che tale azione sarebbe (…) probabilmente difficile da provare dato il tempo trascorso” e in assenza di una pronuncia penale. Quindi San Marino era stato condannato a pagare un risarcimento complessivo di 15mila euro. Il Governo sammarinese ha fatto ricorso alla Grande Chambre, prima volta per San Marino, contestando la decisione e sostenendo non esserci state violazioni per le parti civili rappresentate a Strasburgo dagli avvocati Rossano Fabbri e Marino Federico Fattori. L’udienza davanti alla Grande Camera sul caso è stata celebrata il 12 luglio 2023. Il principio fissato dalla Seconda sezione Cedu rilevava come l’inerzia dell’inquirente avesse portato alla prescrizione del reato e, di conseguenza, avesse penalizzato le parti lese che avevano chiesto la costituzione di parte civile e, dunque, una pronuncia penale legata alla loro richiesta di risarcimento. Questa la decisione impugnata dal Titano è finita al vaglio della Grande Camera.

Il vaglio della Grande Camera La Grand Chambre ha vagliato la questione basandosi su alcuni punti: “Il ricorrente deve avere un diritto civile sostanziale riconosciuto dal diritto interno; il legislatore nazionale deve aver dotato la vittima di un reato di un diritto di azione per far valere tale diritto civile nel procedimento penale giudiziario contestato e nella fase pertinente dello stesso; le vittime dovevano dimostrare chiaramente l’importanza che attribuivano alla garanzia del diritto civile in questione; l’articolo 6 si applicherebbe solo se il diritto civile perseguito nel procedimento penale non fosse attivamente perseguito parallelamente presso un altro tribunale; il procedimento penale doveva essere decisivo per il diritto civile in questione. In altre parole, il procedimento penale deve incidere sulla componente civile”.

 La Grande Camera ha valutato che dei tre ricorsi, solo il terzo aveva tutti i requisiti per la discussione. Per i primi due, quindi, la Camera, accogliendo l’eccezione preliminare del Governo, ha dichiarato i ricorsi “incompatibili ratione materiae con le disposizioni della Convenzione e pertanto inammissibili”. I due ricorsi, cioè, non rispecchiando i requisiti indicati dalla Grand Chambre, non rientravano nella materia dell’articolo 6 paragafo 1 della Cedu (quello relativo, cioè alla ragionevole durata del processo) che ritenevano violato. Infatti, mentre il terzo ricorrente aveva presentato richiesta formale di costituzione di parte civile che era stata notificata alle parti interessate, le parti lese del primo e secondo ricorso si erano semplicemente riservate il diritto di partecipare a qualsiasi eventuale procedimento. Va detto che su tale punto sette giudici della Grande Camera, tra cui il giudice sammarinese Gilberto Felici, hanno verbalizzato la propria opinione dissenziente, visto che nel caso specifico i ricorrenti, vittime di lesioni, avevano esplicitamente chiesto di poter fare “giuramento di calunnia” e manifestato la chiara volontà di costituirsi parte civile nel procedimento penale. Secondo i giudici dissenzienti, dunque, anche questi due ricorsi andava- Decisione controversa della Grand Chambre con sette giudici dissenzienti. Non riscontrate violazioni ma la Corte si dice preoccupata per la grave disfunzione e per le 800 prescrizioni no dichiarati ammissibili. A quel punto per tali casi la decisione sarebbe stata inevitabilmente di violazione dell’articolo 6, poiché “il giudice inquirente incaricato di trattare i reclami non ha, di fatto, adottato alcuna iniziativa. Ne consegue, pertanto, che la grave disfunzione del sistema interno è l’unica ragione dell’archiviazione del procedimento, avendo i ricorrenti scelto di perseguire la causa civile attraverso la via penale”, hanno detto i giudici dissenzienti. Sta di fatto, comunque, che sono stati dichiarati inammissibili a maggioranza. Quanto al terzo ricorso, la Camera lo ha dichiarato ammissibile.

La valutazione nel merito del terzo ricorso ammesso Nel merito, dunque, il caso del terzo ricorrente è stato valutato in quanto poteva rientrare nella potenziale violazione dell’articolo 6. Tuttavia la “disfunzione” della prescrizione degli 800 casi tra cui quelli dei ricorrenti “non era stata l’unica o decisiva ragione alla base del mancato esame della richiesta civile”. “Il terzo ricorrente non aveva perseguito i suoi interessi con diligenza. Non aveva tentato di presentare la sua richiesta civile (separatamente o nel contesto del procedimento penale in corso) fino a pochi giorni prima della scadenza del termine di prescrizione per il presunto reato (2019), nonostante il reato fosse stato commesso tre anni e mezzo prima (2015). Inoltre, aveva reso la sua dichiarazione solo tre mesi prima che la prescrizione procedurale dell’indagine fosse aperta d’ufficio”. La Chambre aggiunge che per il terzo ricorrente “era ancora possibile” avviare un procedimento civile e “nel 2023 stava ancora valutando se avviare un procedimento civile separato”. Dunque la Camera non ha riscontrato in tale caso nessuna violazione. Ha tuttavia chiarito esserci una “grave disfunzione che affliggeva l’autorità giudiziaria investigativa di San Marino”, cioè il Commissario della legge inquirente, e “di essere particolarmente preoccupata per la grave disfunzione individuata a San Marino all’epoca dei fatti”, riferendosi alle centinaia di prescrizioni i cui strascichi si riverberano ancora oggi.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente il giorno dopo

 

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