San Marino. Tangentopoli napoletana, condannati marito e moglie

San Marino. Tangentopoli napoletana, condannati marito e moglie

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Dalla tangentopoli napoletana soldi sul Titano. Condannati marito e moglie

Antonio Fabbri. 

I soldi, oltre due miliardi di vecchie lire, sono quelli frutto di quella che è stata definita la tangentopoli napoletana degli anni novanta. Tra gli indagati di quelle vicende, in parte ancora oggi pendenti davanti al tribunale di Napoli, Vito Parisi, ingegnere consulente dell’azienda sanitaria partenopea oltre che libero professionista. Secondo l’accusa una parte dei denari frutto di truffa, associazione a delinquere e corruzione per truccare gli appalti della sanità napoletana, erano finiti a lui in quegli anni, e Parisi li aveva portati a San Marino. Diversi versamenti in contanti, l’ultimo nel 2000, effettuati dalla moglie. Poi le movimentazioni di quei denari e il trasferimento di una parte di questi in Svizzera. Trasferimenti e occultamento di denaro ritenuto sporco, quindi, durati fino al 2015, quando le somme sono state poste sotto sequestro dagli inquirenti. 

Tutti movimenti che nelle ricostruzioni dell’Aif, l’Agenzia di Informazione Finanziaria, sono dettagliati ed hanno motivato il rinvio a giudizio e il processo per riciclaggio a carico dello stesso Vito Parisi, 72 anni, e della moglie, Virginia Grimaldi (71). Ieri si è quindi svolta l’ultima udienza davanti al giudice Gilberto Felici.

Le dichiarazioni dell’imputato Si è proceduto ad ascoltare le dichiarazioni spontanee dell’imputato, Vito Parisi, presente al processo. L’Ingegnere ha rigettato le accuse e rimarcato che, dai procedimenti italiani è sempre, uscito prosciolto, seppure in un caso per prescrizione.  “Non ho mai percepito alcuna tangente – ha detto – Già all’epoca mio stipendio era di circa 6 milioni e mezzo al mese. Lavoravo anche privatamente in modo forsennato. Avevo un’ampia disponibilità economica. Tra l’altro ho avuto un cognato che all’epoca era vice capo di polizia  e poi incaricato presso varie prefetture. Non solo, mia figlia ha sposato il figlio di un Pm di Napoli, un certo Mancuso. Per questo se da un lato non avevo la necessità, in ogni caso non mi sarei mai adattato a fare certe cose”, ha detto Parisi. Di seguito le conclusioni del processo che ha visto la condanna a 4 anni e 6 mesi ciascuno per entrambi gli imputati.

Le conclusioni del Pf Il procuratore del fisco Roberto Cesarini ha evidenziato come, in relazione a reati presupposti, sia stata pienamente raggiunta la prova logica che collega quei denari ai reati oggetto di diversi procedimenti italiani. “E’ logico ricollegare quei denari ad una provenienza illecita per chi dagli anni 90 è stato imputato per falsità ideologica in atti pubblici, falsità materiale, reati contro patrimonio, è finito arrestato per reati contro la pubblica amministrazione. A ciò si unisce la concomitanza dei versamenti con quelle condotte e le imputazioni in Italia. Anche perché se si ha la certezza della liceità delle somme,  come sostiene l’imputato, e si decide di volerle trasferire a San Marino, non si viaggia con i contanti ma semmai si deposita un assegno, peraltro accompagnato da della documentazione adeguata considerato che si tratta di rapporti con enti pubblici. Ma niente di tutto questo è stato fatto”, ha detto il Pf.

“Tra l’altro – ha aggiunto – se sono somme lecite, che bisogno c’è di farle passare dalla Svizzera? Questa ricostruzione logica porta a ritenere non credibili le motivazioni sulla provenienza lecita di queste somme. Non si venga a dire che la liceità sarebbe attestata dal fatto che nel ‘pacco’ c’erano le mazzette di denaro legate con fascette con il nome della banca”. Poi il Pf ha letto alcuni passaggi delle imputazioni di uno dei procedimenti italiani. “Parisi era responsabile settore tecnico dell’azienda sanitaria ed è stato accusato assieme ad altri perché ‘si associavano tra loro per delitti di corruzione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, con stabile organizzazione e predisposizione di mezzi e condivisione degli utili per l’indebito affidamento di appalti a imprenditori che avessero loro dato somme di denaro’. C’erano queste consulenze, parola che da noi suscita sempre dei dubbi, e Parisi riusciva a fare tutto senza mai comparire”, ha detto il Pf che ha citato alcuni passaggi di una sentenza sulla vicenda della cosiddetta “tangentopoli napoletana”, sentenza nella quale viene evidenziato come “il dibattimento ha occupato un lungo lasso di tempo. L’inizio delle indagini risale al ’95 e ha svelato una realtà di corruzione pluriennale e diffusa”. Quindi il Pf ha concluso chiedendo la condanna a 4 anni e 3 mesi per Virgina Grimaldi e a 5 anni per Vito Parisi.

La difesa Diametralmente opposta la posizione della difesa sostenuta dall’avvocato Maurizio Simoncini. “Il Pf ha dipinto un quadro fantasmagorico. Siamo accusati di riciclaggio, ma non abbiamo le prove dell’accusa. Si invoca la prova logica e chi è accusato deve provare che la provenienza dei beni ritenuti oggetto di riciclaggio è lecita. A mio giudizio è una prova diabolica e prima dell’11 settembre, probabilmente, se avessimo sentito che chi è accusato deve provare la sua innocenza, ci saremmo alzati tutti sulla sedia. Giudici in primis”, ha rimarcato l’avvocato Simoncini. “Sottolineo comunque che le  sentenze lette dal Procuratore del Fisco non riguardano il mio assistito, che è uscito da quei processi. Ad oggi Parisi è incensurato. Non si possono quindi ricostruire chissà quali accuse!”

Soprattutto la difesa ha puntato sul fatto che all’atto dei primi versamenti il reato di riciclaggio a San Marino ancora non esisteva, non era stato introdotto.  “Nel momento in cui i fatti si verificano il reato di riciclaggio non esiste, perché è stato introdotto nel 1998. Per l’irretroattività della legge penale, quindi, non può essere contestato. Nel 1993 il reato di riciclaggio non esisteva, quando Grimaldi portò i soldi a San Marino. Da questo traggo anche la nullità del decreto di rinvio a giudizio. Le successive condotte riguardano post factum di un reato che non esiste. Stiamo discutendo del nulla”, ha detto l’avvocato Simoncini che in via principale ha quindi chiesto l’assoluzione “perché il fatto non costituiva reato all’epoca della condotta contestata dei primi due versamenti risalenti al ’93 e assoluzione perché non consta del fatto per versamento dell’agosto del 2000. In subordine chiedo di assolvere perché non risulta abbastanza la colpabilità”. Anche perché, ha sostenuto la difesa, “quei denari sono frutto di delle attività di famiglia e della vendita di cinque dipinti. Soldi leciti insomma”.

La sentenza Il giudice Gilberto Felici, dopo circa un’ora e mezza di camera di consiglio, ha emesso la sentenza. Stabilita la condanna per entrambi i coniugi imputati a 4 anni e 6 mesi di prigionia, 6000 euro di multa e 2 anni di interdizione dai pubblici uffici e diritti politici. Condanna anche alla confisca delle somme sequestrate pari a 604.132,27 oltre alla confisca per equivalente di beni o altre utilità nei confronti di Virgina Grimaldi fino alla concorrenza di 536.280,89 euro. Condanna inoltre al pagamento delle spese di giustizia. L’avvocato Simoncini ha già annunciato ricorso in appello.

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