Volontariato istituzionalizzato
Marino Cecchetti
È noto l’apporto al contrasto al Coronavirus offerto dai volontari. I quali, sotto diverse sigle, hanno contribuito validamente a superare le criticità. Il loro servizio si è aggiunto a quello basilare del personale sanitario specie nell’assistenza a domicilio. L’apporto dei volontari, nella nostra piccola realtà, non sarà di certo sfuggito anche agli ‘osservatori’ dell’Università di Bologna e dello Spallanzani di Roma, venuti fra noi per l’occasione. Nonostante i cambiamenti non tutti positivi avvenuti negli ultimi decenni, la comunità sammarinese ha ancora, nel profondo, una forza di coesione che potrebbe essere meglio canalizzata verso il bene comune a partire – perché no? – da un più concreto individuale apporto anche per affrontare altre problematiche, cioè non solo le emergenze che ovviamente rimarrebbero in primo piano.
Nel 1995, attraverso l’Annuario della Scuola Secondaria Superiore appena ripristinato, fu lanciata una proposta che, oggi, susciterebbe forse qualche reazione se non altro perché maturò, quella volta, all’interno di una riflessione sulla droga.
Questa la proposta di allora. “Valutare l’opportunità di attivare una struttura organizzativa che risponda al duplice fine di educare i giovani alla solidarietà e, nello stesso tempo, di far fronte alle necessità sociali altrimenti insoddisfatte”.
Di fatto un ‘volontariato istituzionalizzato’ su un sottostante socio-educativo. Tutti i giovani a partire da una certa età (18-20 anni), potrebbero mettere a disposizione un certo numero di giornate all’anno (5-10) per un congruo numero di anni (da 3 a 5)”. Non certo per prepararsi alla difesa militare come avviene in Svizzera.
Oggi, nell’epoca dei social, si conoscerebbero subito le reazioni a una proposta del genere.