LA SITUAZIONE SAMMARINESE

LA SITUAZIONE SAMMARINESE

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 LA SITUAZIONE SAMMARINESE
 
A San Marino si ha una situazione politica del tutto opposta a quella italiana: PCS e PSS al governo e PDCS (ossia la DC) all’opposizione. Tuttavia la comunità sammarinese mantiene al suo interno le strutture fondamentali di sempre, cioè quelle tradizionali, o, se si vuole, quelle proprie dei paesi occidentali o capitalisti. Non c’è una modifica sostanziale dell’ordinamento; non si assiste alla soppressione tout court delle libertà politiche e civili; non si procede nella collettivizzazione della economia. Il legame con la Russia ed il comunismo internazionale rimane a livello di attestazioni di comunanza di idealità. A San Marino tengono banco le difficoltà economiche, più che quelle politiche. Le entrate pubbliche faticano a raggiungere i 700 milioni di lire, mentre ce ne vorrebbero almeno altri 100 ogni anno per fare pari. Il debito pubblico cresce anno dopo anno, anche perché l’Italia – tutt’altro che contenta del colore politico del governo del Titano – rallenta l’adeguamento del ‘canone doganale’, cioè del rimborso forfetario dei dazi doganali per le merci provenienti da fuori dell’Italia e destinate al fabbisogno sammarinese.
Nel 1956, proprio mentre il comunismo è in difficoltà sulla scena internazionale ed il PSS per esigenze interne comincia a rivendicare un ruolo più autonomo nella coalizione di governo, il PCS reagisce – almeno sulla carta – con molta durezza. Richiama l’alleato alla comune matrice marxista e propone la risoluzione dei problemi strutturali di fondo del paese, cioè, in pratica, l’avvio della trasformazione radicale della società secondo gli schemi degli Stati del cosiddetto ‘socialismo reale’, cioè quelli siti al di là della cortina di ferro. Ecco i punti del programma: una Costituzione moderna e democratica; un rinnovamento degli organi esecutivi e giuridici; uno sviluppo dell’economia in senso collettivistico e statale. Quello che appare a prima vista un semplice sfoggio di massimalismo, è accompagnato da un fatto concreto: l’instaurazione dei rapporti ufficiali con l’URSS a livello di consolato generale. Viene aperto a San Marino un consolato russo addirittura con rango superiore a quello italiano, attivato sul Titano già alla fine dell’Ottocento. Ovviamente l’iniziativa attira le attenzioni del governo italiano. E non solo quelle del governo italiano. Il 12 luglio c’è la prima visita in Repubblica di detto console russo, con l’accompagnamento di voci di un consistente apporto finanziario sotto forma di prestiti a vario titolo al governo sammarinese.
Poi, in autunno, accadono i fatti d’Ungheria.
Verso la fine dello stesso 1956 esplode nel PSS lo scontro fra la maggioranza guidata da Gino Giacomini, assertrice del mantenimento dell’accordo di governo PSS-PCS, e la minoranza capeggiata dal segretario del partito Casali favorevole al superamento di tale formula per uscire dalla condizione di isolamento del paese. Il dr. Alvaro Casali si dimette da segretario del partito e da direttore del giornale del partito, “Il Nuovo Titano”.
 Il 4 febbraio 1957 lo stesso Casali e due suoi compagni di partito e consiglieri, il geom. Domenico Forcellini e l’avv. Giuseppe Forcellini, si dimettono dal Congresso di Stato. E prima della fine dello stesso mese i tre, unitamente ad altri due consiglieri socialisti dissidenti, Federico Micheloni e Pio Galassi, costituiscono un nuovo gruppo – un gruppo di cinque consiglieri – che, nella Sala del Consiglio, va ad occupare anche fisicamente un proprio distinto spazio, al centro dello schieramento parlamentare.                              
Il 24 marzo la frattura all’interno del PSS è annunciata pubblicamente dai dissidenti in un comizio, frequentatissimo, nel Teatro Titano. Il giorno successivo scatta l’espulsione di Casali dal PSS.
Il 14 aprile viene fondato il PSDIS.
Il governo, benché fin da febbraio ormai potesse contare soltanto su 30 consiglieri, di fatto, per mesi, in Consiglio non si è trovato in grosse difficoltà nel far approvare le leggi o le deliberazioni sottoposte all’esame dell’aula. Nemmeno, però, contro i dissidenti sono state organizzate manifestazioni miranti a impedirne, come più volte minacciato, l’ingresso nella Sala del Consiglio. In sostanza la dissidenza rimane a lungo in mezzo al guado. Ad esempio nel Consiglio del 18 marzo, al momento dell’elezione dei nuovi Capitani Reggenti, i dissidenti non propongono dei loro candidati magari in accordo con l’opposizione. Né votano all’unisono con la maggioranza. Si distinguono scrivendo sulla scheda solo uno dei due nomi proposti dalla maggioranza: quello del candidato socialista, Giordano Giacomini, e non quello del comunista, Primo Marani.

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