Antonio Fabbri, L’informazione di San Marino: accordo col Veneto, fondi neri Galan

Antonio Fabbri, L’informazione di San Marino: accordo col Veneto, fondi neri Galan

L’Informazione di San Marino

Ecco i passaggi, le modalità per la creazione di fondi neri e le banche nelle quali vennero versati in funzione delle false fatture

L’accordo San Marino – Veneto favorì il sistema di creazione di fondi neri

Arrivarono direttamente dal Titano e dalla Bmc Broker i 900mila euro portati dalla Minutillo agli uomini di Galan per il pagamento della tangente che servì per l’appovazione definitiva del Mose

Antonio Fabbri

Fondi neri per pagare le mazzette
creati proprio attraverso
la Bmc Broker di San Marino.
Bmc che, nel proprio acronimo,
ha, coincidenza o meno, l’iniziale
del cognome dei primi tre
indagati nell’indagine Chalet,
Baita, Minutillo e Colombelli.
Operazione Chalet da cui è poi
scaturita l’indagine sulla tangentopoli
veneta. Dei tre – che in
quell’inchiesta per frode fiscale
e false fatturazioni hanno patteggiato
un anno e 10 mesi Baita,
un anno e quattro mesi Minutillo
e Colombelli con pene sospese
– l’ex console non è indagato
nell’ultima inchiesta sul Mose,
ma il suo nome compare parecchie
volte nell’ordinanza.
Infatti il sistema collaudato per
la creazione di fondi destinati
alla corruzione, secondo gli inquirenti
veneti, passava proprio
per il Titano. Stando alle carte
il ruolo di San Marino in questa
vicenda è non tanto e non solo
per il riciclaggio di fondi neri,
quanto per la stessa creazione
di un “fondo cassa” nascosto ai
controlli da destinare alle dazioni
illecite per ottenere appalti e
favori.

I fondi neri e l’influenza
determinante dell’accordo
San Marino-Veneto

Leggendo l’ordinanza il sistema
è chiaro e parte da lontano,
sfruttando la complicità, involontaria
si spera, delle intese
che varcano il confine. Si legge
infatti nell’ordinanza firmata dal
gip Alberto Scaramuzza: “La
Bmc Broker entrò in contatto
con la Mantovani Spa nel 2004,
a seguito di stipula di Protocollo
Commerciale tra Regione Veneto
e Repubblica di San Marino”.
Ne seguì una “collaborazione
tra i due operatori economici nel
campo del financial projects e
della realizzazione di opere di
reciproco interesse”. Gli inquirenti
sottolineano che la Bmc
Broker ebbe rapporti, oltre che
con Piergiorgio Baita vertice
aziendale, anche con gli uffici
preposti della Mantovani e con
aziende satellite.

I rapporti tra Bmc e Mantovani
si riscontrano nelle posizioni
scandagliate dalla guardia di
Finanza che nel 2011 ha ottenuto la collaborazione delle autorità
amministrative sammarinesi. E’
emerso che tutte le fatture relative
al rapporto Mantovani-Bmc
Broker risultavano presentate
presso l’Ufficio Tributario di
San Marino e da questo regolarmente
vidimare. Per gli inquirenti
questo è un “primo indice
di un’effettiva avvenuta utilizzazione
a fini fiscali di queste
fatture”. Ed è per questo che nel
primo filone di indagine sono
stati contestati reati di natura
fiscale. Anche perché le ulteriori
indagini hanno attestato “in maniera
incontrovertibile”, si legge
nell’ordinanza, che quelle fatture
erano state emesse per operazioni
in tutto o in parte inesistenti.
Fatture false, insomma, utilizzate
per giustificare il passaggio di
denaro dalla Mantovani ai conti
nelle banche sammarinesi della
Bmc Broker. Di qui l’evoluzione
dell’inchiesta con l’ultima
ordinanza sull’utilizzo ai fini di
corruzione di quei fondi.

I bonifici nelle banche
sammarinesi
e i prelievi lampo

La ricostruzione della creazione
della provvista di fondi neri
viene esemplificata nella prima
ordinanza, quella del caso
Chalet di febbraio 2013, richiamata
anche dal provvedimento
dell’altro ieri. In quella indagine
emergeva il quadro delle movimentazioni.
Il 19 luglio del 2005
la Mantovani fece un bonifico
a favore di Bmc pari a 450mila
euro sul suo conto aperto presso
la San Marino International
Bank (ex Banca del Titano) e lo
stesso giorno Colombelli passò
a prelevare poco più di 445mila
euro. La trafila si ripeté anche il
16 novembre del 2005: bonifico
della Mantovani da 500.671
euro e prelievo per contante
da parte di Colombelli cinque
giorni dopo, il 21 novembre, di
400.537 euro. Il 16 maggio del
2006 fu la volta di un bonifico
di pochi spiccioli, se rapportato
alla mole di denaro solitamente
movimentata, da 56mila euro
effettuato dalla Mantovani
Spa sul conto di Bmc presso la
Cassa di Risparmio. A questo
bonifico seguì, il giorno dopo 17
maggio, l’immediato prelievo di
contanti da parte della allora dipendente
di Colombelli, Vanessa
Renzi. Prelievo di poco più di
48mila euro. Il 9 novembre di
quell’anno, altro bonifico dalla
Mantovani sul conto della Bmc,
questa volta , presso la Banca
Agricola Commerciale: il bonifico
fu di poco più di 330mila
euro e il prelievo di contanti allo
sportello da parte del console Colombelli fu, sei giorni dopo il
15 novembre 2006, di 298.300
euro. Sempre sul conto presso
la Bac arrivò da Mantovani a
favore di Bmc Broker il bonifico
dell’11 giugno 2007 da 300mila
euro. Ne furono prelevati in
contanti da Colombelli, due
giorni dopo, 270mila. Ancora
alla Banca Agricola Commerciale
il 18 luglio del 2008 arrivò
da Mantovani un bonifico per
Bmc di 375mila euro. Cinque
giorni dopo, il 23 luglio, il console
prelevò contanti per 330mila
euro. Sempre da Mantovani
Spa sul conto di Bmc, questa
volta aperto presso la Banca
Commerciale Sammarinese, arrivò,
il 10 febbraio 2010, un bonifico
da 676.671,85 euro. Dal
giorno successivo la cospicua
provvista cominciò a svuotarsi
fino ad un prelievo complessivo
di 575.000 euro. Di questi l’11
febbraio 2010, Colombelli prelevò
500.000 euro in contanti,
mentre 15mila furono prelevati
dalla sua segretaria, Katia Francesconi,
il 12 febbraio. Queste
operazioni, riportate a titolo
esemplificativo nella prima
ordinanza del Gip, sono solo
alcune delle oltre 400 movimentazioni
di questo tipo effettuate
in sei anni e rilevate nell’ambito
dell’indagine Chalet. Tutti movimenti
effettuati con lo stesso
sistema della ricezione del bonifico
e il quasi contestuale prelevamento
allo sportello di denaro
contante.

Il collegamento diretto
tra i soldi sul Titano
e le tangenti a Galan

L’ultima ordinanza del Gip Scaramuzza,
con le richieste dei Pm
Paola Tonini, Stefano Ancilotto
e Stefano Buccini, collega la
creazione di questi fondi neri
alle tangenti ed evidenzia il
perché le mazzette sono state
pagate. Uno degli episodi riportati,
con tanto di riscontri degli
inquirenti negli interrogatori, è
quello raccontato da Piergiogio
Baita. Riguarda il pagamento di
900.000 euro a Giancarlo Galan,
tramite richiesta di Renato
Chisso, assessore alle grandi
opere della giunta regionale, per
l’approvazione in Commissione
di salvaguardia del progetto
definitivo del sistema Mose. E
infatti “in base ad un accordo
corruttivo”, cita l’ordinanza, fu
approvato senza ostacolo alcuno
il progetto definitivo di tutta
l’opera.
Baita in questo interrogatorio
del 28 maggio 2013 di che complessivamente
la maxitangente
fu da 1,8 milioni. 900mila li
consegnò direttamente Baita al
Consorzio Venezia Nuova in più
soluzioni e servirono per ottenere
il “Via”, il documento di valutazione
di impatto ambientale.
Poi Baita specifica che gli altri
900 mila euro sempre per Galan,
sono stati consegnati in tre fasi
ad altrettanti soggetti che all’ex
governatore del Veneto facevano
riferimento. 300mila euro
furono consegnati dallo stesso
Baita a Luciano Neri. Mentre i
restanti 600mila euro “trattandosi
di retrocessione alla Mantovani
di somme provenienti a loro
volta dalla Bmc Broker di San
Marino”, vennero consegnati da
Claudia Minutillo: 300mila a Federico
Sutto e 300mila a Renato
Chisso che, si legge nell’ordinanza,
pressava per conto del
suo governatore, per ricevere
la mazzetta che è servita per
l’approvazione definitiva senza
alcun ostacolo del Mose.

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