Derivati, San Marino contro Barclays di Mara Monti

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Derivati, San Marino contro Barclays
di Mara Monti

Sottoscrivere titoli derivati con rating tripla A, ovvero con rischio di credito pari a zero e scoprire successivamente che quei Cdo (Collateralised debt obbligations) al quadrato erano titoli con una probabilità di insolvenza del 25 per cento. C’è anche questo nell’atto di citazione con cui la Cassa di Risparmio di San Marino ha chiamato in giudizio il colosso bancario inglese Barclays Bank Plc , lamentando perdite per 170 milioni di euro (65 milioni già accantonati e 105 milioni per lucro cessante) che sarebbero state provocate dalla vendita, avvenuta tra il 2004 e il 2005, di complessi prodotti strutturati per 450 milioni di euro. Contattata in serata Barclays ha declinato ogni commento.

Nell’atto depositato ieri presso la High Court of Justice di Londra, la Cassa di Risparmio di San Marino, si legge in un comunicato stampa, chiede di essere risarcita per i danni causati «dalla condotta abusiva di Barclays» nella strutturazione e vendita di cinque credit linkes notes e tre Cdo, ovvero collateralised debt obbligazions. Dietro queste obbligazioni strutturate, una complessa struttura finanziaria collegava 183 Abs (assed backed securities) e altri 18 derivati a loro volta garantiti da 50 titoli corporate per un totale di oltre mille emittenti coinvolti.

Dopo avere consultato periti esperti in prodotti derivati, i legali sono arrivati alla conclusione che alla Cassa di Risparmio di San Marino sarebbero stati rifilati titoli «estremamente e inutilmente rischiosi e non idonei alla banca» in cambio di un finanziamento di 700 milioni a favore di una sua controllata specializzata nel credito al consumo, come si legge nell’atto di citazione che il Sole 24 Ore ha potuto consultare.

La storia inizia proprio da qui, da quel finanziamento alle due controllate dell’istituto sanmarinese, Carfin e PlusValore, entrambe con sede a Bologna. È il 2003 quando Barclays viene contattata dalla Cassa di Risparmio per un finanziamento da erogare alle sue controllate, operazione resa necessaria per l’impossibilità per l’istituto sammarinese di accollarselo avendo superato il limite di concentrazione del rischio imposto dalla Banca centrale del piccolo Stato.

Per aggirare l’ostacolo, l’istituto anglosassone propone, in alternativa alla cartolarizzazione, il meccanismo dei patrimoni destinati che in caso di insolvenza protegge il finanziatore, in questo caso Barclays, dalle pretese di altri creditori. Già, ma chi paga nel caso in cui il contratto non venga rispettato? Qui entrano in gioco i prodotti strutturati. Una prima tranche da 200 milioni di euro di credit default swap, sottoscritti dalla Cassa, serve per coprire l’eventuale perdita della controllate: in caso di insolvenza, è la Cassa quale detentrice dei titoli a sostenere i costi. Un circolo vizioso che non risolve il problema dei limiti di concentrazione del rischio all’origine dei problemi dell’istituto di San Marino.

Ai credit default swap si aggiunge una seconda tranche da 250 milioni di Cdo collateralised debt obbligations al quadrato, anche questi sottoscritti dalla Cassa, derivati estremamente complessi che al rischio insolvenza delle società di credito al consumo assommano quelli di numerosi titoli corporate tra i quali General Motors, Hertz, Delphi, Bombardier, Union Caribe.

Al momento della sottoscrizione, questi Cdo al quadrato vennero venduti con un rating tripla A al pari di un titolo di Stato, ma con un rendimento superiore a quello di un BoT: secondo i calcoli dei periti della banca il rendimento incorporava una perdita probabile che oscillava tra il 23,5% e il 26% del nozionale, lontano quindi dal rischio zero rappresentato dal rating tripla A.

Che qualcosa non andava la banca sammarinese se ne accorse quando a partire dal 2005 i Cdo legati al titolo General Motors insieme a quelli del settore automotive cominciarono a subire pesanti perdite: la loro sostituzione divenne inevitabile, ma secondo la banca invece di migliorare la qualità del portafoglio l’operazione portò a una perdita di circa 27 milioni di euro.

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