Festa di Sant’Agata. Liberazione dall’occupazione Alberoniana

Festa di Sant’Agata. Liberazione dall’occupazione Alberoniana

Festività a
San Marino

5 febbraio

Sant’Agata

San
Marino Oggi, speciale 5 febbraio

 

Il 5
febbraio 1740 si conclude l’intervento a San Marino del card. Giulio
Alberoni. Un episodio che è frutto del continuo stato di guerra che
caratterizza la prima metà del Settecento europeo. Le guerre hanno come
campo di battaglia la penisola italiana. Fra i protagonisti principali
della scena politica internazionale, oltre ai Borboni di Francia e di
Spagna, ci sono gli Asburgo d’Austria. Gli Asburgo non disponendo di una
flotta e di porti importanti per acquisire terre oltre gli oceani (come
stanno facendo Inghilterra, Francia, Spagna, Olanda), ogni qual volta
riescono a tamponare l’avanzata turca a oriente, rivolgono gli occhi sui
vicini d’occidente. In primo luogo, scontrandosi coi Borboni, prendono
di mira gli staterelli della penisola italiana (les provinces de
l’Italie sont les Indes de la Cour de Vienne
).

Gli
Asburgo, in quanto titolari della corona imperiale, rivendicano l’alta
sovranità su tutti i territori (feudi) governati da famiglie che, in
origine, abbiano ricevuto tale concessione da un imperatore, magari
secoli e secoli prima. Così quando nel 1737 si estingue a Firenze la
famiglia dei Medici, gli Asburgo si appropriano del Granducato di
Toscana affidandone il governo a un ramo collaterale, i Lorena. Nella
notte fra l’1 e il 2 aprile 1738 truppe tosco-imperiali,
unilateralmente e senza alcuna apparente giustificazione
, scavalcano
l’Appennino e invadono Carpegna, luogo dello Stato della Chiesa,
governato dai Carpegna, una famiglia feudataria che ha sempre messo alla
base della sua fortuna un diploma di investitura imperiale. Ed a
Carpegna quelle truppe rimangono. Anzi corre voce che andranno avanti.
Urbino informa Roma che dalla Toscana potrebbero arrivare migliaia di
soldati per prendere … S. Leo lontano da Carpegna sei miglia, e S.
Marino Repubblica
. La corte papale si allarma. Teme che la prossima
mossa degli Asburgo possa essere veramente la Repubblica di San Marino,
un luogo interno allo Stato della Chiesa che però da tempo si dà un’aria
di indipendenza
. Per cui si mette subito all’opera per anticipare
gli Asburgo. Viene steso un progetto mirante ad affermare
inequivocabilmente la sovranità dello Stato della Chiesa sul Titano.
Progetto che fa leva precipuamente sulle divisioni interne dei
sammarinesi di cui a Roma si sono avuti molti riscontri. Alcune
segnalazioni sono arrivate direttamente da una fazione interna che
contesta il governo della Repubblica. Altre sono state ricevute dalla
curia vescovile di Pennabilli che dopo l’entrata in crisi della famiglia
Carpegna ha assunto, di fatto, nel Montefeltro anche un ruolo di
vigilanza politica per conto della Santa Sede.

Dentro la Repubblica di San Marino davvero c’è molta tensione. Il
Consiglio, col pretesto della mancanza di elementi idonei a ricoprire la
carica, sta rallentando come mai in precedenza la nomina di nuovi
consiglieri, lasciando vacanti moltissimi seggi. Nel 1739 i seggi
vacanti sono addirittura una trentina, cioè la metà del numero
statutario, 60. In pratica la Repubblica è in mano a tre famiglie
(Belluzzi, Bonelli, Gozi), con legami di parentela fra loro. Inoltre –
altro forte motivo di dissenso – si continua a non nominare consiglieri
fra gli abitanti dei castelli ‘soggetti’ (castra subdita),
Fiorentino, Montegiardino, Faetano e Serravalle, acquisiti nel 1463.
Alla guida della contestazione c’è Pietro Lolli (nobile, ex consigliere,
ex reggente), aiutato dall’esterno (Pennabilli e non solo) col rilascio
nominativo ai singoli contestatori di patenti ecclesiastiche che li
proteggano dalla persecuzione del tribunale (laico) della Repubblica.

Papa Clemente XII, dovendo recuperare in tutta fretta la sovranità sul
Titano minacciata dagli Asburgo, decide di far leva proprio sulla
contestazione interna. Il 26 settembre 1739 incarica il card. Giulio
Alberoni, che da alcuni anni amministra la Romagna e da qualche mese è
in contatto coi contestatori sammarinesi, di portarsi ai confini della
Repubblica e lì aspettare che gli venga incontro la massima parte
della popolazione per accoglierlo come liberatore. Dopo di che procederà
alla accettazione formale dei sammarinesi fra i sudditi della Santa
Sede. Il tutto senza clamore. Senza alcun atto di forza. Deve risultare
davanti al mondo intero e, in primo luogo, agli Asburgo che si tratta di
una dedizione spontanea.

Il
card. Alberoni non può opporsi alla richiesta del papa. Il suo incarico
di governo in Romagna è scaduto da tempo. È in regime di prorogatio.
Ha bisogno che il papa gli trattenga a Roma il cardinale – già nominato
– che prenderà il suo posto, di modo che egli possa completare alcuni
lavori pubblici sui fiumi attorno a Ravenna, a cui tiene moltissimo.

Alberoni è uomo di grande esperienza politica e, nonostante i 75 anni,
ancora molto attivo. Politicamente è schierato dalla parte dei Borboni
di Spagna e contro gli Asburgo. Gli Asburgo aspettano da una ventina
d’anni l’occasione per vendicarsi di uno sgarro subito quando il
Cardinale era alla guida della Spagna: la flotta spagnola finanziata
dall’intera cristianità per attaccare i Turchi, era stata adoperata per
sottrarre agli Asburgo la Sardegna e la Sicilia.

Il
17 ottobre 1739 il card. Alberoni con un seguito di una decina di
persone, fra cui alcuni sammarinesi della fazione di Lolli, entra al
mattino presto in Repubblica, anche se ai confini non ha trovato
nessuno. Giunto a Serravalle è accolto, in chiesa, dal parroco con un
gruppo di fedeli. Il parroco a nome di tutti i serravallesi chiede il
passaggio fra i sudditi della Santa Sede. Alberoni accoglie la richiesta
e promette che non avranno a pentirsi della scelta. Quindi, accompagnato
da alcuni di loro, prosegue per Borgo dove – a detta dei seguaci di
Lolli – lo avrebbe atteso una grande folla di contestatori proveniente
dalle varie località della Repubblica. Questa folla lo avrebbe poi
accompagnato su fino in Città e quindi al Palazzo Pubblico. Invece a
Borgo la piazza è vuota. Tuttavia Alberoni non desiste. Lascia lì il
calesse e, quasi solo, in tutta fretta sale a dorso di mulo verso la
Città, entra per la porta di San Francesco e prende alloggio a Palazzo
Valloni.

A
Palazzo Valloni poco dopo arrivano salendo da Borgo – in Borgo erano
giunte in ritardo! – una ventina di persone di Fiorentino, guidate dal
parroco e da un prete della famiglia Ceccoli. Alcune hanno in mano
un’arma.

Il
governo sammarinese temendo una sortita del Cardinale sul Palazzo
Pubblico, convoca le milizie. Alberoni reagisce minacciando di chiamare
i soldati dalla Romagna. I governanti non recedono. Anzi fanno correre
la voce che è stata mandata una staffetta a Carpegna per chiedere aiuto
ai soldati tosco-imperiali. Il Cardinale, temendo di finire davvero
nella mani degli Asburgo, chiama 250 soldati da Verucchio e altri 250 da
Rimini.

L’indomani, domenica 18, i Capitani Reggenti sono costretti a scendere a
Palazzo Valloni per consegnare le chiavi dei luoghi pubblici sopra un
bacile d’argento
– così ha voluto il Cardinale – e firmare una atto
di ‘dedizione’ della Repubblica alla Santa Sede. In effetti è un atto di
resa. Di fatto la sortita di Alberoni sul Titano, diversamente dalle
previsioni, ha assunto i connotati di una conquista.

 Alberoni, per recuperare la situazione, cioè per far sì che, nonostante
l’uso dei soldati, l’acquisizione di San Marino risulti avvenuta per
dedizione, programma da subito per domenica 25 una solenne cerimonia
pubblica in Pieve nel corso della quale l’intera comunità, popolo e
nobiltà, dovrebbe prestare giuramento di fedeltà alla Santa Sede. In
otto giorni è certo di riuscire a convincere i sammarinesi a darsi alla
Santa Sede. Come? Garantendo il mantenimento di tutte le condizioni di
miglior favore già in essere a San Marino rispetto agli altri luoghi
dello Stato della Chiesa e aggiungendo nuovi, importanti privilegi.
Insomma vantaggi economici in cambio della libertà. Farà vedere che per
tutti, popolo e nobiltà, si apre una prospettiva di miglioramento,
accettando di passare sotto la Santa Sede.

Per
convincere il popolo, Alberoni si avvale dei parroci. Sollecita i
parroci, anche con elargizioni di danaro, a presentarsi a lui, nel corso
della settimana veniente, con delegazioni di fedeli delle loro
parrocchie, sull’esempio di Serravalle. Per quanto riguarda la nobiltà,
cioè i vecchi governanti, Alberoni comincia con l’invitare a Palazzo
Valloni Giuseppe Onofri: notaio, dottore in diritto, consigliere, ex
reggente, nobile. Onofri fa parte della consorteria degli ex governanti,
ma al contempo è amico di Pietro Lolli, già suo cliente, e non è inviso
al vescovo di Pennabilli. Insomma: un uomo assai destro, quale avea
sempre saputo navigar in due acque
, dice Alberoni.

Alberoni, sapendo quanto Onofri aspiri a farsi merito presso la Santa
Sede
per poter entrare nell’amministrazione pontificia, gli chiede
di aiutarlo a convincere i suoi ex colleghi di governo a prendere
realisticamente atto della necessità assoluta per Roma di affermare la
sovranità sul Titano a causa del sovrastante pericolo degli Asburgo già
arrivati a Carpegna. Gli rivela che lui, Alberoni, è lì per espresso
ordine del papa. Al papa non si può non obbedire. Tutti. Tanto vale
allora rassegnarsi tutti e andare avanti assieme. E – perché no? –
sfruttare assieme la situazione. Se i nobili daranno una mano a
formalizzare senza inciampi il passaggio della Repubblica sotto la
sovranità della Santa Sede, potranno mantenere dentro il paese tutti i
privilegi di governo di cui finora hanno goduto e fuori, cioè
nell’amministrazione pontificia, si aprirà per ciascuno di essi una
prospettiva di carriera rapportata al grande merito acquisito agli occhi
del papa in questa circostanza.

Alberoni, lunedì 19, come gesto di buona volontà verso l’intera
comunità, fa ritirare i soldati di Verucchio (odiatissimi dai
sammarinesi per l’antica diatriba sui confini) e anche gran parte di
quelli di Rimini.

A
questo punto succede l’imprevisto. Gli ex governanti – non si sa come –
riescono a entrare in possesso di una copia del testo delle disposizioni
impartite al Cardinale dal papa. Dallo scritto vengono a sapere che la
dedizione doveva essere del tutto volontaria. La volontarietà era
indicata come conditio sine qua non. Per cui il Cardinale non
avrebbe né dovuto né potuto adoperare i soldati. Gli ex governanti però
non si precipitano a Palazzo Valloni a chiedere, carta in mano, il
ripristino della libertà. Non sarà certo un pezzo di carta a far
riprendere ad Alberoni la strada di Ravenna con la coda fra le gambe.
Alberoni è stato mandato da Roma? Che sia Roma a farlo tornare indietro.
Gli ex governanti fanno partire, già martedì 20, un esposto per Roma: il
Cardinale è piombato sulla minuscola comunità con centinaia e centinaia
di soldati, privandola della sua libertà. I sammarinesi non intendono
affatto rinunciare alla libertà. Denunceranno il sopruso davanti
all’universo mondo.

Mentre l’esposto viaggia per Roma attraverso i monti (con la complicità
delle autorità pontificie di Urbino, ostili ad Alberoni), gli ex
governanti, uno ad uno, si presentano a Palazzo Valloni davanti al
Cardinale per chiedergli la benevolenza di accoglierli fra i sudditi
della Santa Sede, scusandosi per il ritardo. E lo ringraziano in
ginocchio fin con le lacrime agli occhi
per le paterne generose
profferte di cui sono stati fatti partecipi dal collega Onofri.

Il
Cardinale non ha motivo di non credere alla sincerità di tali
attestazioni. Per cui ritiene che l’impresa sia ormai praticamente
conclusa. Scrive a Roma che l’impresa è conclusa. Rimane solo la
formalità della cerimonia del giuramento pubblico previsto per domenica
25 in Pieve.

In
vista di tale cerimonia Alberoni si mette subito all’opera per dare un
nuovo assetto alla amministrazione della comunità, compreso il
rifacimento del Consiglio, da riportare, col consenso di tutti, al
numero statutario dei suoi componenti, 60. Sarà il nuovo Consiglio a
giurare, domenica 25, consigliere dopo consigliere, fedeltà alla Santa
Sede in rappresentanza di tutti i sammarinesi, toccando il Vangelo
aperto sulle sue ginocchia, di fronte a illustri ospiti stranieri già
invitati come testimoni.

Per
rifare l’amministrazione ed il Consiglio, Alberoni si serve di Giuseppe
Onofri, ormai suo alter ego.

Onofri procede in modo che i consiglieri in carica vengano confermati ed
i nuovi (una trentina) siano scelti – li sceglie lui! – fra gli abitanti
del ‘distretto vecchio’ (escludendo ancora una volta quelli dei
castra subdita
). Alberoni lascia fare. Quei consiglieri devono solo
giurare, domenica 25 in Pieve, fedeltà alla Santa Sede. Nient’altro. Che
siano vecchi o nuovi, che abitino a Montegiardino o nelle Piagge che
differenza fa? L’atto politico cui sono chiamati a dare il loro apporto,
il giuramento, è anche l’ultimo. Dopo il giuramento, tutte le funzioni
politiche del luogo passeranno a un governatore nominato dalle autorità
pontificie, così come avviene altrove.

Mercoledì 21 sul far della notte arriva a Roma l’esposto dei
sammarinesi. Giunge a mons. Melchiorre Maggio, sammarinese e personaggio
di rilievo della curia romana. Maggio si precipita in casa del card.
Corsini, nipote del papa. Poi andrà anche dal papa in persona. Metterà
in allarme l’intera curia. Roma, viene a sapere dai sammarinesi che cosa
è realmente accaduto sul Titano. Il loro esposto, partito martedì 20 per
staffetta, è arrivato prima delle lettere-relazioni di Alberoni spedite
sabato 17 e domenica 18 per posta ordinaria.

La
corte romana, nell’apprendere che Alberoni ha adoperato i soldati per
piegare i sammarinesi, va in fibrillazione. Teme l’intervento sul Titano
delle truppe tosco-imperiali. Immediatamente decide di addossare ad
Alberoni tutta la responsabilità dell’operazione. Avverte le corti
estere, a partire da quelle di Firenze e Vienna, che Alberoni ha
aggredito San Marino solo per un astio personale verso i sammarinesi,
mentre avrebbe dovuto – questi erano gli ordini del papa – aiutarli a
ritrovare la concordia civile.

Roma ordina ad Alberoni di recedere dall’operazione. L’ordine, però, non
parte subito. È spedito solo sabato 24 e addirittura per posta
ordinaria. Invece i sammarinesi residenti a Roma adoperano la staffetta
per avvertire i loro concittadini del Titano dei nuovi sviluppi della
situazione e stimolarli a resistere. Già nella giornata di sabato 24
Onofri può presentarsi davanti ad Alberoni e, sia pure in termini
cortesi ma fermi, avvertirlo delle novità di Roma e chiedergli di
sospendere la cerimonia dell’indomani. Il vecchio Cardinale non crede
alle sue orecchie. Giudica Onofri un millantatore (oltre che un
vigliacco traditore). È giunta tant’oltre la sua cecità – scrive
Alberoni subito in una lettera a Roma – da farmi proporre di assumere
io stesso l’impegno di restituire al Paese l’antica libertà
!
Alberoni non riesce a dar spazio dentro di sé al sospetto che Roma lo
abbia scaricato. Egli si è mosso da Ravenna non certo di testa sua. È
stato spinto, costretto, ricattato da Roma. Ha in tasca un ordine
scritto ufficiale, un Breve, firmato dal papa. È entrato in Repubblica
nella veste di Delegato Apostolico. Come può non andare avanti se non
riceve un nuovo ordine dal papa?

Domenica 25 in Pieve solo pochissimi consiglieri accettano di giurare
fedeltà alla Santa Sede. Nella stragrande maggioranza, sotto la regia di
Onofri, per nulla intimoriti dalla presenza del Cardinale, delle
autorità forestiere e dei soldati, si rifiutano e molti riaffermano
pubblicamente la loro volontà e il loro diritto a governarsi in libertà.
Per il Cardinale è uno smacco tremendo. Poco dopo le case dei principali
contestatori cominciano ad essere saccheggiate.

La
notizia di quanto sta accadendo a San Marino si propaga velocemente in
Italia, in Europa. Scatta attorno ai sammarinesi la simpatia per il
coraggio dimostrato in Pieve (hanno osato contestare cotanto Cardinale
benché fosse attorniato il luogo da’ Soldati colle Baionette
e una Squadra di trenta Birri alle Porte) e scatta pure la
solidarietà per il saccheggio. La notizia della contestazione e quella
del saccheggio entrano in risonanza. L’effetto è dirompente. Va in
frantumi l’intero progetto della Santa Sede di riportare sotto la sua
sovranità la Repubblica di San Marino.

Giovedì 29 Alberoni, dopo aver ritentato invano di farsi approvare dal
Consiglio appositamente riunito, la dedizione, fa ritorno a Ravenna. Nel
Palazzo Pubblico di San Marino c’è un governatore da lui stesso
nominato, come in tanti luoghi della Romagna. Siccome da Carpegna le
truppe tosco-imperiali non si sono mosse e non c’è alcun segno che si
muoveranno in soccorso dei sammarinesi, Alberoni suggerisce alla curia
papale di fare come, a Roma, si è sempre fatto in circostanze del
genere: nulla. Il tempo avrebbe reso definitivo il suo operato.

I
sammarinesi non accettano che a Palazzo ci sia un forestiero. Non era
mai avvenuto nella loro lunga storia. Rivogliono la libertà di
autogovernarsi. E quanto prima. Non possono aspettare. Il tempo non
gioca a loro favore. Per una comunità così piccola è difficile
continuare a mantenere a lungo l’attenzione su di sé a Roma e nel mondo.
Per cui non desistono. Urlano all’universo mondo il loro diritto a
vivere in libertà. Alberoni difende il suo operato attraverso le stampe?
I sammarinesi non sono da meno e rispondono punto su punto, vincendo il
confronto, nell’uso di quel nuovo moderno mezzo, sia per quanto riguarda
l’efficacia che la spregiudicatezza.

I
sammarinesi non attaccano il papa. Attaccano il Cardinale Alberoni e
solo il Cardinale Alberoni. E non chiedono la libertà tout court,
ma solo che si esegua l’accertamento sulla loro volontà di sottomettersi
o meno alla Santa Sede, previsto negli ordini impartiti dal papa al
Cardinale e che il Cardinale ha omesso di effettuare.

Roma ha bisogno di evitare che parta dal Titano una richiesta di aiuto
agli Asburgo. I sammarinesi fanno capire che non chiederanno aiuto agli
Asburgo se verrà inviato sul Titano una personalità, scelta dal papa
stesso, per eseguire l’accertamento sulla loro volontà di darsi o no
alla Santa Sede. Per Roma la proposta sammarinese, non implicando un
coinvolgimento di poteri esterni allo Stato della Chiesa, è accettabile.
E viene accettata.

Il
9 gennaio 1740 arriva sul Titano, inviato da Roma, mons. Enrico Enriquez.
Questi interpella uno ad uno ben 300 sammarinesi, a partire dai
consiglieri e dagli ecclesiastici. È costretto a riferire a Roma: con
mio mal grado pur troppo fan corpo, e pur troppo desiderano la libertà
.
In particolare annota che la maggior parte de’ nuovi consiglieri,
cioè quelli nominati da Alberoni, entrati per la prima volta in
Consiglio grazie appunto ad Alberoni, ebbene anch’essi si mostrano
gelosi della loro libertà
e, con sua grande sorpresa, si
conformano in ciò coi vecchi
.

Preso atto delle stato delle cose, in ottemperanza alle disposizioni
ricevute da Roma, mons. Enrico Enriquez restituisce la libertà ai
sammarinesi.

È
il 5 febbraio 1740, giorno dedicato a Sant’Agata, da allora Compatrona
della Repubblica.

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