Nuovi Capitani Reggenti. Ingresso dei nuovi Capitani Reggenti

Nuovi Capitani Reggenti. Ingresso dei nuovi  Capitani Reggenti

Festività a
San Marino

1° aprile

Ingresso dei
nuovi Capitani Reggenti

Relinquo vos
liberos ab utroque homine: la sovranità della Repubblica di San Marino
viene dal Santo Marino  

Relinquo vos liberos ab utroque homine è scritto in tutta
evidenza sul libro che il Santo tiene in mano al centro della parete
principale della Sala del Consiglio, come sintesi del testamento da cui
ha origine la comunità sammarinese.

Detta sintesi è stata pubblicata per la prima volta nel 1717. In un
periodo della storia caratterizzato da un continuo stato di guerra fra i
regnanti europei che hanno eletto l’Italia a campo di battaglia
permanente. Borboni ed Asburgo mirano ad ingrandire i loro domini
insediandosi direttamente o attraverso rami cadetti negli Stati in cui
sia venuta meno la dinastia locale.

Gli Asburgo, titolari della corona imperiale, si arrogano i diritti che
una volta erano propri degli imperatori dell’epoca medioevale.
Rivendicano la sovranità su tutti i feudi con investitura imperiale
ovunque siano finiti a seguito delle successive vicende della storia e
si arrogano il diritto di disporne a piacimento in caso di estinzione
della famiglia feudataria.

Solo i papi tentano in Italia di opporsi con una certa fermezza agli
Asburgo. Nello Stato della Chiesa sopravvivono una miriade di feudi,
alcuni dei quali hanno alla base un diploma di investitura imperiale,
altri papale, altri ancora – i più? – double face. I papi, di
quando in quando – e non su tutti i feudi – hanno fatto dei controlli:
ma limitatamente alla legittimità del diploma di investitura. Senza, in
pratica, discriminare troppo fra investitura papale o imperiale. Ora la
situazione si fa pericolosa. Lo Stato della Chiesa potrebbe
letteralmente andare in frantumi. Fiutato il vento della storia,
potrebbero rivolgersi a Vienna non solo i feudi imperiali o presunti
tali, ma anche quelli di incerta origine o quelli che non sono mai
riusciti a dare un fondamento giuridico al loro status o
qualunque luogo che, mettendosi dalla parte del più forte, volesse
cogliere l’occasione per tentare di acquistare una qualche forma di
autonomia.

Per chi guarda le cose dall’interno dello Stato della Chiesa, governato
dal papa, sembra davvero di essere riprecipitati nel Medioevo: ogni
luogo torna ad essere conteso fra imperatore e papa. Con una differenza
però: adesso all’attacco c’è l’imperatore. Canossa si è rovesciata. Non
è più il papa a mettere in difficoltà l’imperatore sciogliendo i
feudatari di questi dal giuramento di fedeltà, ma è l’imperatore che
sconvolge l’ordine costituito nella fragile penisola italiana e nel
dominio stesso del papa, imponendo ai feudatari di ritornare all’antica
soggezione prevista nei diplomi di investitura originari.

Nel 1708 gli Asburgo si prendono Comacchio, a scapito dello Stato della
Chiesa, contro le proteste del papa, Clemente XI, che tenta di opporsi,
invano, anche con un esercito racimolato nei suoi domini con un enorme
sforzo finanziario. La Santa Sede nel 1548 aveva acquisito al dominio
diretto, per devoluzione, il ducato di Ferrara, appena estintasi la
famiglia d’Este, che lo governava su investitura papale. E,
nell’occasione, aveva acquisito pure Comacchio, luogo interno a quel
ducato. Secondo Vienna, Comacchio sarebbe dovuto restare fuori perché a
governarlo era sì la stessa famiglia d’Este, ma in base a una
investitura imperiale ricevuta assai prima di quella, papale, relativa
al ducato.

***

 

Il
caso Comacchio potrebbe ripetersi pari pari, ancora a scapito dello
Stato della Chiesa, nel Montefeltro. Più volte, nel Medioevo, papi e
imperatori hanno scelto di rincorrersi lungo le sue valli. La Santa
Sede, nel 1631, ha acquisito al dominio diretto il ducato d’Urbino a
seguito dell’estinzione della famiglia dei Della Rovere (succeduta ai
Montefeltro) che lo governava su investitura papale. Dentro il ducato
d’Urbino, fin dalla sua origine, c’era il Montefeltro. I Della Rovere,
succedendo ai Montefeltro, avevano ereditato da questi un doppio titolo:
duchi di Urbino su investitura papale e conti di Montefeltro su
investitura imperiale. Ora l’impero, come già nel caso di Comacchio,
potrebbe rivendicare la sovranità sul Montefeltro, in quanto, in
origine, feudo imperiale.

Il
luogo più noto del Montefeltro è San Leo, la fortezza nella quale
l’imperatore Ottone I strinse d’assedio nel 963 re Berengario. Più in
alto, verso l’Appennino, Carpegna, in mano da sempre alla famiglia dei
Carpegna. Il conte Francesco Maria Carpegna,quando appaiono i primi
proclami degli Asburgo, iscrive il suo feudo (quello di
Carpegna-Castellaccia) fra i feudi imperiali. Benché Carpegna sia ormai
chiaramente, indubitabilmente un luogo interno allo Stato della Chiesa.
Benché lo zio del conte Carpegna sia un cardinale: Gaspare Carpegna. E
benché questo Cardinale ricopra la carica di vicario del papa, cioè sia
l’alter ego di quello stesso Innocenzo XII che sta tentando di parare
con ogni mezzo le ingerenze degli Asburgo nello Stato della Chiesa.

***

San Marino? La Repubblica di San Marino è un luogo interno allo Stato
della Chiesa, una terra che si autoamministra come i feudi. Il suo
status
, secondo i sammarinesi, è un’eredità del Santo Marino, da
essi invocato come autore e protettore della loro libertà. I papi, di
fatto, hanno sempre tollerato ed accettato che i sammarinesi si
autoamministrassero in piena autonomia, non mancando di quando in quando
di mostrare la loro benevolenza con la concessione di nuovi privilegi.
Singolare ad esempio la generosità di papa Clemente XI, il quale esonera
nel 1708 San Marino dal pagamento della cosiddetta Tassa del
Milione, introdotta per finanziare l’arruolamento di un esercito per
difendere Comacchio invaso dagli Asburgo. San Marino è l’unico luogo
all’interno dello Stato della Chiesa a godere di questa esenzione.

Pure gli Asburgo rispetteranno San Marino?

Se
gli Asburgo decidessero di sottrarre allo Stato della Chiesa il
Montefeltro, così come hanno fatto per Comacchio, il destino di San
Marino sarebbe irrimediabilmente segnato. Difficilmente, infatti, San
Marino potrebbe riuscire a non seguire la sorte di tutti gli altri
luoghi del Montefeltro. E sarebbe una fine definitiva. Infatti, anche se
il Montefeltro venisse in seguito restituito ai papi, certamente i papi
ne avrebbero poi approfittato o per estinguere la Repubblica o almeno
ridurne il livello di autonomia.

Gli Asburgo, indipendentemente dalla acquisizione del Montefeltro,
potrebbero arrivare a mettere le mani sulla Repubblica di San Marino
attraverso Carpegna. La famiglia Carpegna, titolare di una investitura
imperiale, dalla fine del Cinquecento va esibendo, come prova materiale
di tale investitura, una pergamena a firma dell’imperatore Ottone I in
cui sono elencati i luoghi oggetto, appunto, della investitura. Ebbene
nell’elenco figurano anche Fiorentino, Pennarossa e Casole, che
appartengono sicuramente alla Repubblica. Anche se il diploma ottoniano
è notoriamente falso, dice un sammarinese del Settecento, insomma
Apocrifo, … una Cartaccia fatta da un Impostore
, non ci si può
illudere che gli imperiali non lo vogliano applicare, potendo
affiancargli un altro diploma, il Diploma della forza. Tutti i
luoghi che figurano nel diploma di investitura dei Carpegna, più altri
ad libitum, potrebbero essere incamerati dagli Asburgo, nel caso
che i Carpegna si estinguessero.

A
rendere temibilmente concreta la minaccia degli Asburgo in zona è la
ferma determinazione con cui gli Asburgo mirano ad impossessarsi del
Granducato di Toscana, appena si intravede la fine della famiglia dei
Medici. Una volta installatisi in Toscana, è prevedibile che essi
poseranno gli occhi sulle zone contigue. A cominciare dal Montefeltro,
rivendicato non poche volte come feudo imperiale. Ad aggravare
ulteriormente la situazione ci si mettono anche i Carpegna che proprio
in contemporanea coi Medici di Firenze, pure essi faticano a procreare
figli maschi.

La
Repubblica di San Marino si sente ormai direttamente minacciata
dall’espansionismo asburgico.

 

***

 

Nel 1714 muore il card. Gaspare Carpegna, vicario, consecutivamente, di
ben cinque papi. Con lui termina il ciclo dei Carpegna nella curia
romana cominciato all’indomani della caduta del ducato d’Urbino, nel
1631, e termina pure il loro incontrastato potere nel Montefeltro
esercitato senza remore in ambito sia religioso che politico. E con lui
viene a mancare alla Repubblica di San Marino la protezione di fronte ai
papi della famiglia Carpegna. Protezione di cui aveva cominciato ad
usufruire dopo il 1631, come in precedenza aveva usufruito di quella dei
Della Rovere e ancor prima di quella dei Montefeltro. Dagli inizi del
Duecento la Repubblica ha sempre avuto un protettore in zona e
soprattutto di fronte a Roma. Ora non più. Ora si trova all’improvviso
scoperta sia in zona che di fronte a Roma.

Il
vuoto di potere che si viene a creare nel Montefeltro a seguito della
decadenza della famiglia Carpegna non viene occupato da un’altra
famiglia dominante, ma da un gruppo di uomini che avevano già un ruolo
di prestigio e istituzionale: il capitolo dei canonici di Pennabilli.
Uomini colti, abituati a lavorare assieme per una causa, quella di
Pennabilli contro San Leo per la questione della sede vescovile che si
trascina dal 1580. Uomini ben addentro negli ambienti romani e con
qualche selezionata amicizia anche in corti estere.

I
canonici pennesi hanno il dente avvelenato coi sammarinesi. Dagli inizi
del Settecento. Non appena lasciò la diocesi del Montefeltro, per
trasferirsi a Camerino, il vescovo sammarinese Bernardino Belluzzi.
Questi aveva introdotto nella diocesi del Montefeltro delle innovazioni
nel pagamento dei tributi a favore degli ecclesiastici sammarinesi (e
dell’autonomia della Repubblica) a scapito del restante clero della
diocesi. Nacque un litigio, fra Pennabilli e San Marino, che andò poi
allargandosi e traducendosi in una serie di conflitti giurisdizionali
aventi per oggetto, fra l’altro, la complessa materia delle immunità
ecclesiastiche.

I
canonici pennesi non si limitano ad allarmare Roma circa l’aria di
indipendenza che spira sul Titano, ma la spronano ad intervenire ed a
intervenire con determinazione ed urgenza per affermare
indiscutibilmente la sovranità della Santa Sede sul luogo, prima che lo
facciano gli Asburgo. Si legge in un foglio dell’epoca: la
recuperazione di questo Feudo
(cioè di San Marino) è facilissima,
perché alla comparsa improvvisa di non molte soldatesche Pontificie
bisogna, che li Sammarinesi si sottomettino, e s’arrendino, per non aver
forze da resistere
.

***

La
Repubblica di San Marino viene a trovarsi in una situazione difficile.
Ha necessità di difendersi per la prima volta, dopo i secoli del
Medioevo, dal fronte imperiale in procinto di ritornare con le sue
aquile nella Valle del Marecchia. Al contempo, su istigazione dei
canonici pennesi, potrebbe essere attaccata dalla Roma papale, di fronte
alla quale per la prima volta dopo secoli si presenta scoperta, essendo
venuto a meno anche l’ultimo suo protettore, la famiglia Carpegna.

Come farvi fronte?

Nel 1717 esce a Venezia il secondo volume di una nuova edizione di un
libro di grandissima diffusione, l’Italia Sacra. L’opera passa in
rassegna le varie diocesi. Trattando della diocesi del Montefeltro, nel
pezzo dedicato alla Repubblica di San Marino, si accenna alla vita e
agli atti del Santo Marino. Detto Santo in punto di morte si è rivolto
ai suoi seguaci con queste parole: Filii, relinquo vos liberos
utroque homine
. Come dire che la Repubblica di San Marino deve il
suo status al suo Santo. Solo al suo Santo. Perciò né imperatore
né papa hanno motivo per vantare una sovranità sul Titano, perché lo
status
del luogo non si deve a una concessione né dell’uno né
dell’altro.

 

***

 

Con il Relinquo vos liberos utroque homine, dunque, si
sostiene che San Marino è un luogo libero. Ed è libero non per
concessione del papa o dell’imperatore, ma per l’eredità ricevuta dal
Santo Marino. Il testamento del Santo è, per la comunità del Titano, il
fondamento storico-giuridico del suo status. L’equivalente di un
diploma di investitura per un feudo, rilasciato o da un papa o da un
imperatore.

Da parte imperiale nessuna reazione. Reagisce invece il fronte papale.
Ma non Roma, bensì i paladini di Roma del Montefeltro, cioè i canonici
pennesi. Questi affidano l’incarico a Padre Giovan Battista Contareni.
Per Contareni il testamento del Santo Marino pubblicato su Italia
Sacra
costituisce un tentativo – ridicolo, e comunque nullo sul
piano storico-giuridico – di scavalcare papi e imperatori, facendo
discendere l’investitura direttamente dal Cielo, cioè da dove proviene
la stessa facoltà dei papi e degli imperatori di rilasciare investiture.
Un misero, banale, furfantesco escamotage per supplire alla
mancanza di documenti che legittimino lo status di cui la
comunità del Titano gode.

.Ai canonici pennesi si associano in questa circostanza gli eruditi di
San Leo. Il loro rappresentante più autorevole, Giambattista Marini, si
dice, su questo, in accordo col Contareni.

I
giudizi, sferzanti, di Contareni e di Marini sul motto saranno
pubblicati rispettivamente nel 1753 e nel 1758, cioè dopo oltre una
trentina d’anni da quel 1717, in cui il motto venne alla luce. Ebbene i
due eruditi irridono l’anonimo autore del motto per il grossolano errore
storico in cui, a loro dire, è incorso. Ma continuano ad ignorare o
fingono di ignorare la valenza politica del motto. Valenza politica che
ha cominciato ad esplicarsi già nella prima parte del Settecento e
proprio nel Montefeltro. Come dire sotto il loro naso.

La
storia del Montefeltro, nella prima parte del Settecento, ha prodotto
tanti e tali avvenimenti quali non si verificavano più dai primi decenni
del Cinquecento quando i fiorentini dai monti ed i veneziani dal mare
avevano preso a contendersi la vallata del Marecchia divenuta il “bilìco
d’Italia” dopo la fine dei Malatesta.

Nel 1731 il papato aveva mandato il card. Carlo Maria Marini, legato di
Romagna, a prendere possesso del feudo di Scavolino-Gattara, a seguito
dell’estinzione di quel ramo della famiglia Carpegna. Proteste
dell’impero e marcia indietro del papato.

Nel 1737 l’impero aveva preso la Toscana.

Nel 1738 l’impero aveva fatto occupare da truppe tosco-imperiali non
solo il feudo di Scavolino-Gattara, ma anche quello di
Carpegna-Castellaccia dove il conte invece c’era ancora ed era vivo e
vegeto.

Nel 1739 il papato aveva spedito sul Titano il card. Giulio Alberoni,
legato di Romagna, l’uomo politico più abile di cui potesse disporre,
per procedere alla soppressione dell’autonomia sammarinese, anticipando
una supposta mossa dell’impero.

Nel 1741 l’impero aveva fatto ritirare le truppe tosco-imperiali dai
feudi di Carpegna, a seguito di un accordo col papato.

Nel giugno del 1749 l’impero di nuovo aveva occupato entrambi i feudi di
Carpegna per l’estinzione del ramo dei conti di Carpegna-Castellaccia e
nell’occasione aveva inviato una intimazione anche alla Repubblica di
San Marino, perché venissero rilasciati i castelli di Montegiardino,
Serravalle e Fiorentino, antichi possessi dei Carpegna
, sulla base
del diploma di Ottone I rilasciato ai Carpegna nel 962. San Marino aveva
reagito cavando dal suo Archivio un documento, il Placito Feretrano, da
cui risultava che i luoghi contestati (in particolare Fiorentino,
Pennarossa e Casole) appartenevano alla comunità del Titano già nell’885
ad iure sancti Marini
, cioè prima di quel 962, quando Ottone I aveva
rilasciato il famoso diploma di investitura ai Carpegna. In pratica il
Placito Feretrano aveva assunto la funzione di prova documentaria della
base storico-giuridica del Relinquo vos.

.

***

 

Il
relinquo vos dunque viene alla luce nella prima metà del
Settecento in un periodo di grande conflittualità fra papa ed
imperatore, per difendersi e dall’uno e dall’altro, per prendere le
distanze e dall’uno e dall’altro. Continuerà però ad essere diffuso dai
sammarinesi come base del loro diritto alla piena autonomia anche nella
seconda metà del Settecento quando quel conflitto ormai si è esaurito,
ed i pericoli per l’autonomia sammarinese tornano a venire da una parte
sola, quella papale. Diventa il manifesto politico con cui rivendicare
la indipendenza nei confronti dello Stato della Chiesa di cui la
Repubblica è enclave.

 Assunta ormai la valenza politica di una rivendicazione di piena
indipendenza, il motto continua ad essere diffuso dai sammarinesi anche
quando la Repubblica finisce enclave dello Stato italiano nato dal
Risorgimento. A consacrarlo solennemente e definitivamente in questo
ruolo è Giosuè Carducci, il Vate del Risorgimento, col suo discorso
tenuto sul Titano nel 1894, in occasione dell’inaugurazione del nuovo
Palazzo Pubblico.

Lo
pronuncia, quel discorso, Carducci, nella sala del Consiglio sotto lo
sguardo di un Santo Marino che giganteggia al centro di un quadro che
occupa una intera parete – la sala sembra una chiesa! – con in mano un
libro aperto ove si legge appunto il motto: Filii, relinquo vos
liberos ab utroque homine
.

L’uso del motto come rivendicazione del diritto della Repubblica alla
piena indipendenza continuerà – incredibilmente! – anche dopo. Anche nel
Novecento. Ad esempio durante il ventennio fascista, quando par venire
alla Repubblica un qualche pericolo dagli ambienti  nazionalistici delle
zone viciniori, il leader del fascismo sammarinese, Giuliano Gozi,
afferma pubblicamente e scrive e riscrive: San Marino ha il …
sacrosanto diritto … a essere libero ab utroque homine


 

.
Facendo eco, in questo, al suo avversario politico, il socialista Pietro
Franciosi, che parla correntemente, anche nel Diario, di una
Repubblica del fondatore operaio che volle lasciarla libera ab utroque
homine

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