La caduta dell’Impero d’Occidente, appunti su questo tempo assurdo, con alcune note a margine

La caduta dell’Impero d’Occidente, appunti su questo tempo assurdo, con alcune note a margine

Riceviamo e pubblichiamo 

“‘Kublai Kan ascoltava i resoconti di Marco Polo, senza sollevare le ciglia…

Erano le sere in cui un vapore ipocondriaco gravava sul suo cuore.

Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite. Per certo non esiteranno più. Perché ti trastulli in favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto i corvi che lo beccano, quanto i bambù che crescono concimati dal suo liquame. Perché non mi parli di questo?…

 Polo sapeva secondare l’umor nero del sovrano: Sì, l’impero è malato, e quel che è peggio, cerca di assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora si intravedono ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane…”.

Questo brano è tratto dal capitolo quarto de ‘Le città invisibili’, pubblicato da Italo Calvino nel 1975; ogni volta che rileggo questo libro, ogni pagina, ogni riga, mi toccano profondamente, perché contengono una profezia del futuro che sconcerta. E vi riconosco verità e suggestioni del tempo in cui viviamo.

È così dunque? ‘L’impero’ è malato? L’impero d’occidente, la sua civiltà e le basi su cui si fonda sono giunti all’apice della loro decadenza e marciscono sotto il peso di una barbarie che sembra avanzare e stravolgere tutto?

Federico Rampini nel suo saggio “Il suicidio occidentale”, afferma che stiamo mettendo in atto un’autodistruzione sistematica. Parla prima di tutto di disarmo culturale, sostiene che è l’Occidente stesso la causa della propria sconfitta ideologica e morale, non solo per la scarsa preveggenza politica, ma anche per il continuo autoflagellarsi: non abbiamo più valori da proporre ma solo crimini da espiare … afferma il giornalista; ormai domina una censura feroce contro chi non aderisce al politicamente corretto: solo le minoranze etniche e sessuali hanno diritti da far prevalere. E ancora: le nuove forme di fascismo, i ribellismi di massa, l’antiscienza, rientrano nella patologia di una civiltà che odia sé stessaAltrove avanza un ordine mondiale alternativo, quello di Xi Jinping e Vladimir Putin. L’Ucraina rischia di essere solo un assaggio di quel che potranno fare … 

D’altra parte, l’idea della libertà, compresa quella d’opinione, rappresenta il cardine della nostra civiltà e si basa sul presupposto illuminista secondo cui siamo tutti esseri pensanti e razionali che formano la loro opinione attraverso il dialogo.

Certo con dei limiti: sicuramente non può essere riconosciuta, ad esempio, la libertà di applicare la tortura, neppure in tempo di guerra …

E riguardo alla libertà d’espressione sono forse accettabili la negazione della Shoah, della scienza, o anche più semplicemente, la violazione, con atti o con parole, della dignità umana? Eppure nel contesto attuale finiscono con il trovare spazio anche queste forme di intolleranza o di violenza verbale.

Nel secolo scorso il filosofo Popper ha teorizzato il paradosso della tolleranza: una collettività che si basa su una tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata ad essere stravolta e poi dominata da frange intolleranti che ha lasciato si sviluppassero liberamente al suo interno. La conclusione di Popper è che allora l’intolleranza nei confronti degli intolleranti è d’obbligo proprio per preservare la natura di una società libera e tollerante … 

Dunque le nostre leggi liberali ci si starebbero ritorcendo contro, indebolendoci a dismisura e la soluzione starebbe nel limitare gli spazi di libertà, soprattutto d’espressione?

Sicuramente la società russa e quella cinese non sembrano doversi porre il problema, lì i limiti posti alla libertà personale e d’opinione sembrano essere molti di più … è questo che li rende regimi forti anche nei confronti dell’occidente?

Ogni guerra, oltre che uno scontro in campo militare, geopolitico ed economico è anche un conflitto di culture, di valori contrapposti.

In una grigia giornata del 24 febbraio scorso questo fenomeno primitivo, barbarico, disumano, si è manifestato di nuovo, a due passi da casa nostra. 

Ci siamo risvegliati con i boati dei bombardamenti che risuonavano in TV, presi dall’angoscia e dal timore di essere coinvolti. 

Sono decine le guerre in atto nella terra degli uomini, da un luogo all’altro del continente: dal Kurdistan al Nepal, dalla Palestina alla Siria, dall’Africa all’America Latina… ma sembriamo non accorgercene.

Questa volta però ne abbiamo avvertito l’orrore perché appunto, ci riguarda da vicino.

Eppure nella stessa Ucraina il conflitto in realtà è aperto dal 2014, e sembra abbia già causato fino ad ora 13.000 morti. 

E quello che più sgomenta di questa ennesima guerra, di tutte le guerre, non è solo che l’occidente non ha saputo far nulla per impedirla (nonostante gli organismi autoprotettivi internazionali che si è dato, nonostante l’unione istituzionalizzata dei popoli europei) ma è l’ombra scura degli interessi economici che aleggia dietro di essa, a partire dalla produzione e dalla vendita di armi. 

E mentre Biden (ma il suo paese è ancora credibile come sceriffo dell’umanità?) rilanciava il nuovo scontro di civiltà del Terzo Millennio questa volta non più contro l’Islam radicale, ma contro il dittatore, il criminale di guerra, il macellaio, a sua volta Putin rispediva le accuse al mittente, rincarandole (“ha forse dimenticato il presidente americano, tra gli altri, i precedenti in Iraq?” …). E al linguaggio da nuova guerra fredda che Biden ha usato a Varsavia, Putin rispondeva, a soli 70 km di distanza, col bombardamento, di Leopoli … 

Perché alla fine per Putin l’Ucraina è, e deve restare, una provincia russa e Zelensky lo preoccupa molto poco: per lui è solo un suddito; Putin la sua guerra la sta portando avanti contro Biden, quello che cerca è un ridimensionamento degli equilibri di potenze. Gli accordi di Yalta sono ormai lontani e superati. Vuole rimettere in discussione tutto e sa che al suo fianco troverà la Cina. 

Vale lo stesso per Biden: ha armato un paese dell’est europeo prima degli stessi europei e non vuole la pace fino a quando non avranno prevalso gli interessi americani…

D’altra parte anche la narrazione ideologica che il presidente russo porta avanti, nel tentativo di attribuire un significato più alto alla sua logica di aggressore, è quella di una battaglia identitaria antiglobalista, (anche se la globalizzazione ha rappresentato per lui fino a questo momento una notevole fonte di profitti) …

Putin ripudia i valori dell’occidente materialista, sostenendo principi morali e spirituali che invece appartengono ancora alla Santa Madre Russia…

E il capo del Cremlino usa non solo le armi della guerra ma anche e soprattutto quelle dell’economia a sostegno dei sui fini: ultima sfida la richiesta di pagare in rubli le risorse russe destinate all’Europa, rovesciando così la prospettiva di chi pensava di indebolire l’economia del suo paese deprezzandone la moneta.

Da più parti si sostiene che l’isolamento, anche economico a cui è stato sottoposto fin qui il presidente russo (molte sanzioni erano già in vigore dal 2014, cioè da quando lo stesso ha invaso la Crimea ed ha appoggiato la rivolta del Donbass) e la provocazione del posizionamento delle truppe della stessa Nato in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, dopo il summit di Varsavia nel luglio 2016, esacerbata dalle richieste dell’Ucraina, hanno causato la reazione spropositata di Putin.

Così spuntano, inevitabilmente, anche interpretazioni psicologiche del personaggio.

Non sono le masse che fanno la storia – ha scritto su La stampa il filosofo francese Michel Onfray – ma un grande uomo infelice”, ripercorrendo le umiliazioni subite da Putin nella sua storia personale prima (figlio di un cuoco di Stalin …) in quella politica poi. E, nel riproporre la teoria dell’eterno ritorno, l’analogia con l’imbianchino Hitler diventa d’obbligo. 

Gli europei d’altra parte, non hanno quasi mai, sempre secondo il filosofo, saputo cogliere e sostenere le aperture che Putin all’inizio avrebbe mostrato verso l’Occidente, spingendolo fra le braccia della Cina e verso un progetto euroasiatico. 

Allo stesso modo, a suo tempo, non avrebbero (sempre gli europei, francesi in testa) saputo leggere la portata del progetto di glasnost e di perestroika di Gorbaciov, che avrebbe potuto allargare l’Europa e la sua civiltà dall’Atlantico agli Urali, preferendo invece simpatizzare nel corso del colpo di stato del 1991, con Eltsin, uomo alcolizzato e corrotto, dando per scontato, già dal 1989, che dopo la caduta del muro di Berlino la guerra fredda fosse finita e nessun pericolo venisse più da est …

Insomma un occidente arrogante e nello stesso tempo malato, incapace ed inetto, starebbe favorendo la rinascita degli imperi russo, ottomano, cinese. 

Sta avanzando dunque un ordine mondiale alternativo?

Questo conflitto ha l’intento di cambiare la Storia

Certo le avvisaglie sono molte. Basti pensare al ruolo di mediatore di pace assunto dal presidente turco Erdogan, che si sostituisce ai diplomatici occidentali nelle trattative sulla guerra in corso in Ucraina (E le accuse di genocidio del popolo curdo? E il presunto collaborazionismo con gli Jihadisti? ). 

Non è casuale neppure la terminologia utilizzata dalla stampa: lo zar Putin, il sultano Erdogan, l’imperatore Xi Jinping … 

Ma intanto, mentre si continua a permettere la carneficina, ognuno porta avanti i propri interessi: le nazioni occidentali forniscono armi al conflitto, Erdogan grazie alle sanzioni europee a Mosca fa affari d’oro; il ministro degli esteri russo Lavrov vola a Pechino e afferma: “Noi e la Cina amici senza limiti per un nuovo ordine”. 

Inoltre: quali giochi stanno sostenendo a margine Cina e India, astenutesi a febbraio sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU contro l’invasione dell’Ucraina? … 

E mi sembra si sia evidenziato anche un altro problema: è ancora legittimo accomunare Europa e Stati Uniti nella definizione di Occidente? Hanno veramente ancora gli stessi interessi da perseguire?

Il trittico inedito di vertici di Nato, G7 e Consiglio europeo, quali frutti ha dato? Sono stati giorni carichi di contraddizioni; certo è che Europa e USA non hanno fin qui viaggiato proprio di comune accordo: da una parte gli anatemi di Biden sulla necessità di portare avanti la guerra, almeno fino alla destituzione del capo del Cremlino, come unica soluzione alla fine del conflitto; Biden che sabota i fragili negoziati di pace con l’invio all’Ucraina di armi d’attacco sempre più sofisticate e micidiali. Con l’intento evidente di infiammare il conflitto.

Dall’altra parte le telefonate dei premier Macron, Scholtz e Draghi a Putin … Cosa quantomeno strana: quando mai i capi di stato di paesi in guerra si telefonano mentre forniscono armi agli avversari? E come mai queste stesse telefonate vengono fatte separatamente dai leader europei? 

 

Quesiti, domande, incertezze. 

 

Sarebbe, potrebbe … uso continuamente il condizionale perché come tante persone comuni, fatico, in questa palude di informazioni contrastanti, a trovare delle risposte nette, ad abbracciare una tesi: si interpongono sempre dei ma, dei però … Il bene ed il male ormai sono dovunque, sembra non esserci più una linea di demarcazione.

Tuttavia, anche se ormai la tendenza più diffusa è quella di osservare con sempre maggior distacco e cinismo una realtà dai contorni troppo sfumati e imprecisi, quando si tratta di pace e di guerra tutti, proprio tutti, sentiamo di poterci esprimere. 

 

Sono tanti i volti, i problemi di questa fase storica, spesso correlati. Ma se continuiamo ad analizzare tutti i gli elementi di questo conflitto, ci accorgiamo che un ruolo di rilievo lo hanno avuto e lo hanno i social network.

Si pensi alla chiusura da parte di Putin di Facebook e Instagram, dopo la dichiarazione di META, che consentiva i “due minuti d’odio contro gli invasori”. 

La verità è che, dopo aver oscurato le testate indipendenti a Mosca, mettendo il bavaglio anche ai social network Putin ha colto un’occasione unica per cancellare tutte le fonti di libera informazione. 

Perché attraverso i social la guerra si insinua nella vita di tutti, con le notizie in tempo reale, la propaganda, le richieste d’aiuto, il giornalismo esercitato direttamente dalle città invase …

E a chi pensa che i nostri ragazzi, cresciuti, si dice, sui social californiani, siano privi di conoscenze ed empatia, consiglio di leggere i commenti sulla guerra (che in molti di loro hanno scoperto proprio su Tik Tok) e che hanno inviato in centinaia a Repubblica@Scuola; ne riporto alcuni:

 

“Solo l’idea di una terza guerra mondiale fa rabbrividire. Siamo stati educati ai dialoghi sulla pace e ora ci ritroviamo nell’incertezza”.

 

“Mentre scrivo queste parole migliaia di bambini, donne, uomini muoiono o scappano, mettendo in uno zaino quel che rimane della loro vita”.

 

“L’Unione europea che nel 2012 ebbe il premio Nobel per la pace appare impotente e fragile. Ma siamo sicuri che per la pace si sia fatto abbastanza?”.

 

“Sono contro ogni tipo di guerra e mi dispiace per le perdite subite da entrambe le parti, ma anche l’Ucraina ha le sue colpe nel conflitto”.

 

“Putin tiene i giovani all’oscuro, anche la scuola è condizionata. Al suo tavolone ci sono persone, ma fossero manichini non si vedrebbe la differenza”.

 

“Tutti ci chiediamo: quando torneremo alla normalità?” Ma forse la nostra normalità è fatta di problemi che si oscurano a vicenda”.

 

Quali straordinarie potenzialità possiede il web, quali opportunità di sviluppo, di diffusione delle informazioni, di scambio di opinioni, di condivisione delle conoscenze nel campo della cultura, dell’istruzione, della scienza …

Sappiamo bene anche quanto ci hanno aiutato Google Meet, Zoom e Skype e tutte le altre piattaforme nel momento peggiore della pandemia, nel lavoro e nelle relazioni. Abbiamo potuto continuare a svolgere la nostra professione, abbiamo avuto la possibilità di sentirci meno soli nella fase più buia del confinamento, di comunicare coi nostri cari lontani, sentire la loro voce, vedere i loro volti

Eppure, come accade spesso alle innovazioni che potrebbero cambiare in meglio il volto dell’umanità, anche in questo caso sembra prevalere il modo più negativo e dannoso di utilizzarle; l’uso dei “social” ad esempio, per certi aspetti si sta ritorcendo sui singoli individui, riducendoli a pupazzi che, intrappolati nella ragnatela, si agitano in modo inconsulto, con in mano le loro scatolette luminose, legati a fili invisibili, guidati da burattinai occulti e scaltri, che, dopo averli debitamente spiati, ne indirizzano i comportamenti e i pensieri, a favore unicamente del proprio profitto.

La sensazione è che ci muoviamo sempre più di frequente sulla scia di algoritmi appositamente predisposti da altri, convinti di possedere la tecnologia mentre spesso non ne siamo che gli schiavi; non siamo più capaci di porci domande, di interrogarci a fondo, di tentare la risoluzione di problemi; preferiamo ignorarli o adagiarci nell’illusione che qualcun altro ci abbia già pensato, mentre restiamo invischiati, anzi forse dovrei dire configurati, negli stessi modelli sociali e culturali. 

 

E diventiamo sempre meno veri, finendo con l’assomigliare ad ologrammi di noi stessi.

 

Mi ha lasciata sgomenta il video, uno dei tanti, condiviso su Tik Tok, e divenuto ovviamente subito virale, da un soldato ucraino che, in perfetto equipaggiamento militare, si è postato mentre balla con il sottofondo della musica di Michael Jackson: la motivazione è che voleva far sentire alla figlia, che in quel momento stava fuggendo dall’Ucraina, la sua vicinanza; almeno questo è il commento del settimanale che lo ha pubblicato.

A me è sembrato grottesco, surreale. Un’immagine da film americano che fa dimenticare la violenza e la sofferenza che sono la vera realtà della guerra. Istintivamente la mia mente ha associato queste immagini a quelle che, senza pudore, molte emittenti televisive hanno mostrato, trasformando l’informazione in intrattenimento, spettacolarizzando il dolore, oscurando così in qualche modo la natura della guerra, alla quale solo una presentazione asciutta e realistica dei fatti può dare concretezza, generando nel contempo empatia, riflessione, ribellione interiore.

 

E poi ancora il video “profondamente falso” del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in cui ordinava alle forze armate del suo Paese di deporre le armi di fronte ai militari russi, realizzato appunto con la tecnica del deepfake, che consiste nel sovrapporre o combinare immagini e video reali e preesistenti con video e immagini create artificialmente. È l’esempio del modo terribilmente pericoloso con cui può essere utilizzata la tecnologia in guerra.

Un dubbio di questo tipo è stato insinuato dai Russi accusati di genocidio dagli ucraini con la scoperta delle fosse comuni dei cittadini torturati e giustiziati di Bucha; Putin nega, ma negava anche di usare chimiche in Siria; negava l’avvelenamento degli oppositori … 

 

E anche riguardo al presidente ucraino, altre immagini e informazioni contrastanti…

 

Zelensky l’attore, che ha accumulato ricchezze esorbitanti non si sa come. La cui serie più famosa è già stata acquistata da La sette. Che ha alle spalle un team da set cinematografico che ne cura l’immagine. Zelenskj che è responsabile di questa guerra per aver provocato l’Orso Putin, magari spinto da qualche suggerimento occulto. 

E gli esperti di geopolitica ricordano a questo proposito il precedente di Bush figlio, al summit Nato di Bucarest del 2008, affermando che non avesse discusso già allora dell’ingresso nell’Alleanza di Ucraina e Georgia, Putin non avrebbe poi invaso due paesi, bombardato la Siria e occupato la Crimea… Anche perché, si afferma ancora, se uno stato come l’Ucraina vive porta a porta con la Russia non può non tenerne conto ed è stato un errore ed un’inutile provocazione cercare di uscire dalla sua sfera di influenza. Dunque è necessario mantenere l’equilibrio tra difesa e deterrenza e rassegnarsi alla perdita di qualche territorio. Perché tra le altre cose, comincia a preoccupare il numero dei profughi ucraini (più di tremila fino ad ora) sparsi in vari paesi europei, (l’Italia al momento ne ha ospitati più di 65.000, se le mie informazioni sono corrette …); torneranno nel loro paese? Quando? Perché in Ucraina le industrie sono al collasso, i campi di grano non hanno braccia che li curino, visto che gli uomini invece di impugnare gli attrezzi agricoli imbracciano mitra …  

 

Poi, per altri, c’è Zelensky l’eroe, che non abbandona il suo popolo. che sui social, in maglietta verde militare, lo esorta alla resistenza. Che si posta sorridente col segno di vittoria accanto ai militari feriti negli ospedali.  Che pubblicherà in Francia il prossimo maggio un libro con una raccolta di suoi discorsi e un suo intervento inedito, i cui profitti saranno donati al popolo ucraino e alla sua resistenza contro il nemico …  Zelensky che in video conferenza chiede aiuto ed armi agli europei perché è in gioco l’autodeterminazione di un popolo, ricordando che quest’ultima è garantita dalla Carta atlantica del 14 agosto 1942 e dalla Carta delle nazioni unite del 1945, e che chi la viola diventa fuorilegge per il diritto internazionale. 

E che trova a suo sostegno voci autorevoli, come quelle di Liliana Segre o Erri De Luca, che si sono espressi a favore del rifornimento di armi agli ucraini perché è un loro diritto, perché stanno affrontando una lotta legittima per l’indipendenza. Il presidente ucraino ribatte che qualche concessione a Putin in cambio della pace non servirà a fermarlo, come non è servito lasciargli prendere la Cecenia. E che presa l’Ucraina non si fermerebbe neanche allora. Perché il suo è ormai chiaramente un intento imperialista.

 

Ma chi è infine, dove si trova il nemico?

Parafrasando Brecth mi verrebbe da dire che il vero nemico è chiunque ordini agli uomini del suo popolo di imbracciare le armi e di andare ad uccidere altri uomini…

Certo quando ci sono aggressori e aggrediti viene spontaneo sentirsi dalla parte degli aggrediti.

 Ma nella mia mente e nel mio cuore, al di là di tante parole e giochi di potere, restano le immagini delle colonne di migliaia di profughi in fuga con i loro animali domestici in braccio; dei palazzi sventrati neri di fumo nelle città messe a ferro e fuoco; dei civili morti sotto i bombardamenti; dei cadaveri allineati senza sepoltura nella piazza di Mariupol; delle lacrime degli anziani disperati, rimasti soli e senza più nulla; dei corpi senza vita dei soldati russi e dei civili ucraini, in mezzo a mezzi militari distrutti, che costellavano l’autostrada che porta da Kharkiv verso est fino a Cuhuiv… e ora l’orrore di fosse comuni che richiamano crimini del passato che mai avremmo pensato di dover rivedere … Non immagini tratte da una fiction, ma una lacerante, assurda realtà. 

E quello che più mi ha straziato e mi strazia di questa e di tutte le guerre, sono gli sguardi dei bambini: gli occhi sperduti e senza sorriso dei piccoli profughi che hanno lasciato l’Ucraina, spesso senza i genitori e dunque possibile preda di altri criminali; i bellissimi occhi dei bambini afgani con gli arti amputati da mine antiuomo; quelli dei bambini curdi e siriani che stanno vivendo la loro infanzia nei campi profughi e, in un improvviso flashback che mi riporta indietro  nel tempo, gli occhi terrorizzati di Kim Phuc, la bambina vietnamita fotografata da un reporter americano nel 1972 mentre correva piangendo, senza nulla che la coprisse, dopo che il gas le aveva bruciato abiti e pelle, in mezzo alle esalazioni dei bombardamenti al napalm, simbolo della immane sofferenza dei bambini in tutte le guerre.

 

E non posso fare altro che piangere anche io, di dolore, ma anche di rabbia e impotenza: dunque non finirà mai l’orrore?

 

“La risposta è nel vento”, cantava anni fa un ragazzo americano.

 

Ora sentiamo che l’Italia intende versare il 2 per cento pattuito con l’Alleanza, per gli armamenti, nonostante le voci di dissenso.

E intanto i più atroci strumenti di distruzione continuano ad essere prodotti ed usati.

Leggo ad esempio di cluster bombs: munizioni a grappolo che, sparate da aerei o navi, si aprono nel momento della caduta e possono raggiungere uno spazio grande come diversi campi da calcio. Chi si trova nell’area di attacco, non fa differenza se militare o civile, viene quasi sicuramente ucciso o ferito.

 E quelle che rimangono a terra inesplose potranno fare altri morti o mutilati per decenni, specie bambini che ritrovandole le scambiano spesso per giocattoli …

La convenzione di Oslo del 2008 le proibisce, vi hanno aderito ad oggi 123 stati, ma non USA, Russia, Cina, India, Brasile; in tutto 50 paesi, che le hanno nei loro arsenali…

Poi ci sono le bombe al fosforo (il sospetto è che anche in Ucraina, come già in Siria, Putin ne stia facendo uso): ordigni terribili, dall’effetto mostruoso; tutto ciò che c’è di vivente nel raggio d’azione di una bomba di questo tipo risulta arso da dentro …

E ancora armi chimiche, armi batteriologiche, mini testate nucleari: davvero terrificante il modo in cui l’uomo sa usare la propria intelligenza al servizio della distruzione dei suoi simili …

E come non bastasse scopriamo che in Italia, a Ghedi, in prossimità di Brescia, vi sono circa una ventina di testate nucleari di proprietà statunitense … E non sono le sole: ad Aviano ce ne sarebbero almeno altre trenta. 

Un ossimoro terrificante per un popolo che nel 1987 ha chiesto e ottenuto la chiusura delle centrali nucleari. 

 

Ma non è assurdo parlare di armi legali e illegali? Qualsiasi arma è programmata per seminare distruzione e morte: di tutte dunque bisogna semplicemente abolire la produzione. 

Non solo ma, come ha tenacemente chiesto nel corso di tutta la sua preziosa vita Gino Strada, bisognerebbe finalmente dichiarare fuorilegge ogni guerra. 

 

Non si può accettare che altri esseri umani vengano massacrati; non si può aspettare che diventino ancora una volta realtà le parole dello storico romano Tacito: 

Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant: dove fanno il deserto, lo chiamano pace

 

 Anche perché questa volta per un errore di calcolo, per un momento di rabbia inconsulta, il deserto potrebbe diventare totale e definitivo. 

Bisogna fermare la guerra. Non servono nuove sanzioni né pesanti minacce; l’arma della diplomazia è l’unica che può mettere fine all’orrore, creando possibilità, condizioni, anche se dovesse trattarsi di compromessi. 

 

Davvero io non voglio rinunciare a credere in un futuro per l’umanità, ma se cerco parole di speranza e di pace, in questo momento le trovo, ancora una volta, solo nella letteratura: 

– L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà. Se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e farne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, inferno non è, e farlo durare, e dargli spazio. 

Italo Calvino, Le città invisibili, cap.IX

 

Rosanna Ridolfi

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