L’informazione di San Marino. Audizione D’Addario: “Io il nome del commissario Buriani non l’ho mai fatto”, Antonio Fabbri

L’informazione di San Marino. Audizione D’Addario: “Io il nome del  commissario Buriani  non l’ho mai fatto”, Antonio Fabbri

Contraddizioni, ritrattazioni, cambi di versione, confusione del testimone chiave

Audizione di D’Addario: “Io il nome del commissario Buriani non l’ho mai fatto” Sentito anche l’ex vice direttore Cis Gianatti come teste assistito. Presidente Commissione di inchiesta Giovagnoli: il verbale del governo non era segreto Giornalisti accusati di aver pubblicato una cosa pubblica

ANTONIO FABBRI – Io il nome del commissario Buriani non l’ho mai fatto, nemmeno in commissione di inchiesta” “Io il commissario non l’ho mai visto in banca”. “Fermo restando che io il commissario non l’ho mai visto né in banca né con Daniele Guidi… non l’ho mai visto in compagnia di loro. Ma come ho detto in Commissione, che è stato anche lì costruito un castello, io non ho detto in Commissione che ho sentito Guidi che parlava con Buriani che doveva arrestare Podeschi… io sono andato in Commissione per esprimere le mie opinioni...”.

Queste sono solo alcune delle affermazioni di ieri mattina, nella pubblica udienza, del cosiddetto “testimone chiave”, Federico D’Addario, sulle cui dichiarazioni si impernia buona parte del castello accusatorio contro il Commissario della legge Alberto Buriani, a giudizio nei procedimenti riuniti assieme all’ex Segretario di Stato Simone Celli e a direttore e caporedattore di questo giornale, accusati di aver fatto il loro lavoro per avere fatto il loro lavoro pubblicando una notizia tra l’altro, è stato confermato proprio ieri da una testimonianza, pubblica. Sulla famosa telefonata sentita da D’Addario che ha dato origine anche al fascicolo dietro denuncia di Claudio Podeschi contro Buriani – fascicolo che, si è appreso ieri, è stato archiviato – anche lì il testimone chiave ha ritrattato o comunque precisato: “Io non ho detto ‘ho sentito Guidi che parlava con Buriani’ . Io ho detto ‘ipoteticamente parlava con qualche commissario della legge”, ha affermato D’Addario. Poi per il resto, dal cosiddetto “testimone chiave”, supposizioni, riferimenti per sentito dire, ricostruzioni non chiare, circostanze riferite da terzi di cene o di amicizie in una esposizione piuttosto caotica. D’Addario riporta una sola circostanza in cui avrebbe visto direttamente a una serata, una sorta di rinfresco, il commissario Buriani, nel lontano 2008, in occasione dello spoglio elettorale, nella sede di allora di Arengo e Libertà, in cui il commissario gli sarebbe stato indicato da Stefania Lazzari. Una dichiarazione che, al di là della rilevanza o meno, potrà essere riscontrata con altre testimonianze. “A parte questa circostanza… io non ho altre viste dirette. Poi se mi riferivano di cene, magari loro lo facevano anche per intimorire… ma magari non era vero niente”, ha detto D’Addario.

Poi ha detto: “Adesso io dopo la Commissione di inchiesta che mi sono ricordato il 30% e ho preso tre denunce, si figuri se vengo qui a dire tutto quello che so così ne prendo altre dieci. Si cerca il cavillo...” Così ha risposto al Procuratore del fisco che gli chiedeva conto di due affermazioni discordanti che aveva fatto in altra deposizione.

Al termine della testimonianza di Federico D’Addario è stata la volta dell’audizione di Emilio Ganatti, ex vice direttore di BancaCis. Il giudice gli ha comunicato che la sua testimonianza si sarebbe dovuta assumere con l’assistenza del suo legale, essendo egli imputato o indagato in altri procedimenti pendenti. Pertanto l’assistenza del legale era necessaria proprio a garanzia del testimone.

Qui si è innescato un siparietto singolare: Gianatti ha detto di non ricordare il nome del suo avvocato che lo difende negli altri procedimenti pendenti, tanto che glielo hanno riferito gli altri legali presenti; poi ha detto di non avere il suo numero, che gli è stato fornito da uno degli altri avvocati; ha contattato il legale, l’avvocato Simone Menghini che però in quel momento non ha risposto; allora Gianatti ha detto “però conosco l’avvocato Rossano Fabbri che è qui presente, se è disponibile…” L’avvocato Fabbri, che era in aula perché aveva accompagnato D’Addario, già suo assistito, ha dato la disponibilità e ha indossato la toga, spiegando al testimone assistito le modalità della deposizione. Modalità specificate anche dal giudice, ovvero che il testimone assistito non è tenuto a rispondere a domande che possano danneggiare la sua posizione nei procedimenti pendenti a suo carico. Di qui la necessaria assistenza del legale. Inoltre, altro dato, è che le dichiarazioni del testimone assistito non sono di per sé mezzo di prova, come le normali testimonianze, ma sono tali se trovano riscontro.

Comunque Gianatti ha parlato di rapporti di familiarità o di frequentazione tra Buriani e la famiglia Lazzari-Guidi. Poi ha parlato di un incontro “nello studio della dottoressa Lazzari nel febbraio 2010 al quale eravamo presenti Guidi, io, la dottoressa Lazzari e il commissario Burani”. Ha parlato di questo incontro nel quale si parlava di un rapporto ispettivo su Banca Partner e poi di quattro o cinque occasioni “ludiche” nel corso degli anni alle quali era presente anche Buriani. Poi Gianatti ha smentito una affermazione di D’Addario il quale aveva detto alla Commissione di inchiesta una circostanza che, aveva detto, gli avesse riferito Gianatti circa rapporti specifici tra Guidi e Buriani. “No assolutamente. Mai fatto rivelazioni di questo tipo a D’Addario. Stavolta si è sbagliato. Ma ho già detto che delle cose che dice D’Addario bisogna fidarsi del 60%, per il restante 40% dice cose non corrette”, ha dichiarato Giannatti.

Terminata la testimonianza di Gianatti, nel pomeriggio è stato ascoltato come testimone l’ex presidente della Commissione d’inchiesta su BancaCis, Gerardo Giovagnoli. Le difese hanno chiesto conto al presidente circa la difformità di alcune audizioni, talune assunte sotto giuramento e altre no. Chiesto quale fosse il criterio per scegliere di fare prestare giuramento o meno. Chiesto anche come mai Celli avesse domandato di essere riascoltato, ma non gli venne consentito e perché a Buriani, che chiedeva ripetutamente di essere sciolto dal segreto per spiegare di che cosa avesse parlato con Ucci e Tomasetti quando li convocò, non fu consentito di spiegare. Emerso anche che le domande fatte dalla Commissione al Commissario della legge ricalcavano pedissequamente l’esposto disciplinare fatto dalla Tomasetti contro Buriani. Su talune decisioni delicate la risposta del presidente ha tradito una certa mancanza di competenze: “Camminavamo sulle uova”, ha detto.

Poi la pubblicazione della relazione della Commissione di inchiesta con i relativi allegati. Tra questi il verbale del Congresso di Stato sul famoso riferimento di Catia Tomasetti relativo al generale Carta dei servizi segreti e ad esponenti della Commissione antimafia italiana.

Quel documento, ricorda se le è stato mai rappresentato che fosse assoggettato a qualche tipo di segretazione?”, ha chiesto l’avvocato Enrico Carattoni. “Credo di no, altrimenti non sarebbe finito qua”, cioè pubblicato all’allegato 19 della relazione della Commissione di inchiesta.

Quindi quel documento non era segreto e per questo è stato pubblicato dalla Commissione di inchiesta che, per contro, non ha pubblicato altri documenti dalla stessa acquisiti assoggettati a regime di segretezza, come dichiarato dallo stesso Giovagnoli. Insomma il presidente della Commissione testimonia che quel documento e i suoi contenuti erano pubblici, altrimenti non sarebbero stati pubblicati dalla Commissione stessa.

Da questa deposizione, dunque, emerge chiaramente l’assurdità di come direttore e caporedattore di questo giornale possano essere a giudizio per avere pubblicato una notizia pubblica.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 19

 

Replica di  Federico D’Addario (mercoledì 31 marzo)

Con riferimento alle notizie apparse in data odierna sul quotidiano “L’informazione di San Marino”, riguardanti la mia audizione quale testimone nel processo penale che vede imputati Il Commissario della Legge Alberto Buriani unitamente all’ex Segretario di Stato Simone Celli oltre ai Sig. Carlo Filippini e Antonio Fabbri rispettivamente Direttore e Redattore del suddetto quotidiano – pur comprendendo lo stato d’animo d’animo degli indagati appartenenti al giornale che peraltro, come noto, fa riferimento al centro di potere oggetto d’indagine, sono costretto a sottolineare la tendeziosità e la faziosità della ricostruzione delle mie dichiarazioni in aula. Infatti non corrisponde al vero che io abbia mai cambiato versione dei fatti o abbia mai ritrattato, come emerge dalla ricostruzione riportata dal redattore Antonio Fabbri, già imputato nel medesimo procedimento nel quale lo stesso assume anche il ruolo di giornalista, bensì la mia versione risulta la medesima di quella fornita dinnanzi all’Autorità Giudiziaria e alla Commissione Consiliare d’Inchiesta. E’ comprensibile che gli indagati per ragioni di propria utilità personale, oltre tentare di screditare il sottoscritto, come peraltro avvenuto anche per tutti gli altri testimoni, come ad esempio nei confronti della Dott.ssa Catia Tommasetti, venga definito “teste chiave”, in un processo dove in realtà le prove regine sono ben altre e più corpose. Del resto i magistrati precedentemente intervenuti a causa delle denunce da me ricevute a seguito della fuga di notizie in merito alla mia deposizione dinnanzi alla Commissione Consiliare di Inchiesta, hanno espressamente statuito che le mie dichiarazioni “hanno trovato conferma dalle deposioni testimoniali assunte” (Dott.ssa. Elisa Beccari) e che “nel corso dell’istruttoria le dichiarazioni del prevenuto hanno trovato significativo riscontro” (Dott. Francesco Caprioli). Tanto mi basta per sentirmi estremamente sereno rispetto alle modalità con cui ho espletato il mio dovere civico di dire la verità. Federico D’Addario

Controreplica di Carlo Filippini e Antonio Fabbri

Non meriterebbe risposta, tuttavia, dopo avere ascoltato la sua deposizione in tribunale e dopo aver letto la sua replica, si fatica credere che sia la stessa persona. Per il resto ognuno è libero di pensare o immaginare ciò che vuole, cosa che non ci impedirà di continuare a fare serenamente il nostro lavoro. c.f. – a.f.

 

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy