Pierangelo Sapegno, La Stampa, con Giuseppe Morganti

Pierangelo Sapegno, La Stampa, con Giuseppe Morganti

Il governo del Titano assicura: entro l’autunno ritorneremo nella lista bianca

PIERANGELO SAPEGNO

INVIATO A SAN MARINO

Aveva ragione Morganti, non è un paese inventato. Al confine uno ci finisce quasi contro. L’Atlante e l’Azzurro, due grandi centri commerciali, 4 o 5 piani sbattuti sulla strada. Nessuna banca.
Nessuna finanziaria. E subito dopo, non è che ci sono 200 banche e 4 capanne come nei Caraibi. Ma qualche ufficio con neanche una segretaria, il fax e 4 società offshore lo troveremo anche qui, a San Marino, nel mondo dorato dei paradisi fiscali, un impero che attraversa gli oceani e nasconde i soldi. Il giro d’affari dei paradisi è di circa 1800 miliardi di dollari l’anno. Il 40 per cento riguarda capitali provenienti dalla criminalità organizzata, traffico d’armi compreso; il 45 da «pianificazione fiscale», eufemismo che sta per furto al fisco, derivanti da società multinazionali, ma anche da persone fisiche, uomini d’affari e star dello spettacolo; il 15 da corruzione e saccheggi politici. Le società offshore sparse sul pianeta sono 680.000; i trust 1.200.000; le banche con agenzie nei paradisi circa 10.000. In questo mondo dei soldi nascosti, San Marino è solo un puntino, arroccato quassù a 30 chilometri da Rimini. Ha trentamila abitanti e 13 banche con 60 filiali, che vuol dire una filiale ogni 500 persone. E la bellezza di 58 finanziarie. Secondo Giuseppe Morganti, ex capo di Stato a San Marino e adesso leader dell’opposizione, gli istituti di credito del Titano hanno depositi per 12,5 miliardi di euro l’anno, come una nostra finanziaria. Difatti, questi soldi sono quasi tutti italiani.

Il primo problema però, come dice Marco Arzilli, segretario di Stato all’Industria e Commercio, è che qui «non c’è solo questo. Abbiamo un paese reale, con industrie che danno lavoro: non possiamo perderlo per proteggere un mondo che sta finendo». Da una parte ci sono 15 mila persone che lavorano in imprese che hanno anche 3-400 dipendenti («E seimila di loro sono frontalieri italiani», specifica Morganti). Dall’altra, c’è il paradiso fiscale con le sue assurdità. Un quotidiano locale, La Tribuna Sanmarinese, ha appena scoperto una srl che proponeva tranquillamente su Internet pacchetti completi comprendenti società offshore di vario tipo abbinate a ufficio e conti correnti bancari a San Marino, per tutti i gusti e per tutti i prezzi. E solo due mesi fa, il 2 febbraio, il governo aveva revocato la licenza alla società immobiliare «Affari d’oro» che sempre su Internet prometteva la vendita di appartamenti e ville ai non residenti, millantando speciali autorizzazioni dello Stato.

«Noi non possiamo negare che dagli Anni 80 in avanti i capitali seri qui non sono più arrivati», ammette Morganti. Ed è vero che invece sono arrivati i soldi del riciclaggio e dell’usura, il denaro sporco della camorra e della ’ndrangheta: «Si potrebbe quantificare così, il 60-65 per cento evasione fiscale, il 25 malavita, il 10 corruzione». Il problema che si pone ora è questo: vorrà San Marino rinunciare a tutti questi soldi? Gabriele Gatti, segretario di Stato alle finanze, ripete di sì. Assicura persino che «entro l’autunno firmeremo la revisione della convenzione 2002 sulla doppia imposizione, recependo il modello Ocse 2005. Noi vogliamo riportare al più presto San Marino nella lista bianca. Può darsi che poi ci siano alcune fughe di capitali, ma questo è il prezzo da pagare per avere un’economia più sana». Il pressing dell’Ocse però è continuato. I giornali svizzeri all’inizio di marzo hanno pubblicato una lista nera di 40 Paesi non cooperativi, preparata per il G20 da Londra: e fra questi c’era San Marino. L’organizzazione di Parigi chiede a questi Paesi di aderire all’articolo 26 del codice di relazioni internazionali cui gli Stati devono attenersi nello scambio di «informazioni di carattere fiscale».


Semplicemente, significa che nessuno potrebbe più nascondere i soldi sporchi, e neppure quelli dell’evasione. Antonella Mularoni, segretario di Stato agli Affari esteri, prende carta e penna e scrive immediatamente all’«egregio signor Gurria» (segretario generale dell’Ocse) spiegando tutto quello che ha fatto San Marino e quello che è disposto a fare per «una radicale riforma della propria normativa in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo». Jeffrey Owens, direttore del Centro Ocse per le politiche fiscali, le risponde a stretto giro di posta: tanti complimenti, «ma ciò che conta adesso è passare rapidamente alla fase di attuazione degli impegni».

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