San Marino. Don Gabriele Mangiarotti: “La mancanza di punti di riferimento”

San Marino. Don Gabriele Mangiarotti: “La mancanza di punti di riferimento”

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione a cura di Don Gabriele Mangiarotti.

Capita di incontrare riflessioni – ma soprattutto domande – che ci interpellano in maniera pungente, e ci spingono a trovare risposte convincenti. Continuando la lettura dell’interessante testo di Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, mi sono imbattuto in questa serie di pensieri. Mi paiono un utile esercizio per non cadere nella trappola di una comunicazione che è spesso ingannevole.

«“Oggigiorno è molto più semplice programmare il sistema di monitoraggio veicolare per non consentire l’accensione dell’auto e segnalare dove poterla pignorare”. Che barba. Ma aspettate un momento. “Molto più facile” per chi? Si riferisce, naturalmente, a quel “noi” che ora può osservare cose che prima del capitalismo della sorveglianza non erano osservabili, ed eseguire azioni che prima del capitalismo della sorveglianza non erano possibili. La prosa rilassata e semplice … è una sorta di ninna nanna che fa sembrare banali le osservazioni, tanto semplici da non meritare forse neanche un commento. Ma [in questo] scenario, che cosa accade al conducente? Che succede se c’è un bambino nell’auto? E se arriva una tempesta? E se bisogna prendere un treno? O fermarsi all’asilo mentre si va al lavoro? E se c’è una mamma in terapia intensiva a un ospedale lontano chilometri? O un bambino che aspetta di essere preso a scuola?

Non molto tempo fa, [queste] banalità … venivano considerate scenari da incubo…

Chi recensì il libro … inevitabilmente si soffermò sui tetri “scenari da incubo” della sorveglianza computerizzata, forme di controllo da fantascienza che “in tanti temeranno e rifiuteranno”. Malgrado la moltitudine di scenari … sul lontano 2000, quel viaggio “nell’impensabile” era visto da molti come un modo per prepararsi “al peggio” in un terrificante “incubo fatto da forme di controllo sociale”. Eppure ora lo stesso incubo viene presentato come un’entusiasmante pietra miliare nella storia dei trionfi del capitalismo della sorveglianza. [Chi ha scritto queste cose] ci offre i suoi aggiornamenti senza rendersi minimamente conto di quanto sia controverso quel che dice, a dispetto della repulsione e dello stupore che queste cose causavano pochi decenni fa. Come ha fatto l’incubo a diventare una cosa banale? Dove sono finite la nostra meraviglia e la nostra indignazione?

Lo scienziato politico Langdon Winner si occupò di questo tema nel suo fondamentale libro del 1977 Autonomous Technology. La sua risposta? “Ci mancano dei punti di riferimento.” Winner descrisse minuziosamente i modi in cui la nostra esperienza della “tecnologia” confonde “la nostra visione, le nostre aspettative e la nostra capacità di giudicarla in modo intelligente. Categorie, discussioni, conclusioni e scelte che sarebbero state scontate in altre epoche, non lo sono più.”» [Ibid. p. 233]

Come è stato possibile? Ci mancano dei punti di riferimento. Ecco la grande questione.

In questi tempi capita spesso di sentire, anche da parte dei giovani, che sarebbero necessari luoghi di incontro, occasioni di ritrovo, spazi liberi di comunicazione. E si chiede di destinare aree dismesse per ricreare una nuova possibilità di ritrovare una socialità perduta, colpa, pare del mondo dei social che più che realizzare occasioni di incontro rende sempre più drammatica la solitudine, dando spazio a quegli influencer che deludono, dopo averci illuso abbondantemente.

Un tempo la Chiesa era l’occasione e lo strumento per questo riferimento. E quanti hanno il ricordo dell’Oratorio, delle vacanze organizzate dalle parrocchie, come dei momenti di quel confronto che ha abituato alla convivenza e al rispetto delle persone, pur nella diversità, nel tempo, delle loro scelte.

Penso che sia giunto il momento di riprendere questa consuetudine all’incontro e al confronto, e mi auguro che l’occasione delle elezioni (sia a San Marino che per l’Europa) aiuti tutti a ritessere quei rapporti di dialogo di cui sentiamo il bisogno.

Tempo fa, alla radio bavarese, Ratzinger ricordava: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molto degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. In contrasto con un periodo precedente, verrà vista molto più come una società volontaria, in cui si entra solo per libera decisione. In quanto piccola società, avanzerà richieste molto superiori su iniziativa dei suoi membri individuali… Ma … la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito Santo che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da Movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso, perché dovranno essere eliminate la ristrettezza di vedute settarie e la capacità pomposa. Si potrebbe predire che tutto questo richiederà tempo».

La Chiesa potrà ritornare ad essere «punto di riferimento»? Credo che se questo accadrà potrà essere anche quel volano che – nella fedeltà alla nostra storia generata da un santo – farà riaccadere quel cammino di autenticità e di libertà così insidiato oggi ma così necessario per tutti, ed anche così auspicato da chi ha a cuore la ripresa della nostra vita comune.

Ritengo fermamente che l’esperienza cristiana, così come Ratzinger ha indicato nella sua riflessione del 1969 e che Papa Giovanni Paolo II ha suggerito come forza trainante, sarà quel «supplemento d’anima» di cui tutti, laici e credenti, abbiamo bisogno.

don Gabriele Mangiarotti

 

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