“L’identità cristiana sia un bene per San Marino”

“L’identità cristiana sia un bene per San Marino”

“I cattolici hanno ancora qualcosa da dire, come forza trainante?”.

Se lo domanda don Gabriele Mangiarotti, sottolineando in una lettera che, “in questi tempi in molti, anche laici, si interrogano sull’incidenza dei cattolici nel contesto sociale e culturale, lamentando, mi pare di capire, una sostanziale assenza e quindi inincidenza di fronte alle questioni decisive nel nostro tempo”.

A don Mangiarotti “pare che questa problematica non sia solo dell’oggi, ricordo di avere scritto una ‘Lettera aperta ai cattolici sammarinesi’, pubblicata nel 2016 anche sul sito della TV di Stato, a cui sostanzialmente non è stata data alcuna risposta (e l’esito del Referendum sull’aborto e la propaganda fatta anche in casa di alcuni cattolici lo dimostra ampiamente)”.

Sempre Don Mangiarotti non dimentica “la ‘Lettera aperta al Pdcs’, dopo avere appreso le loro congratulazioni per la vittoria del candidato polacco alla presidenza della Repubblica, candidato favorevole alle posizioni cosiddette progressiste nel campo dei cosiddetti diritti civili, che, almeno pubblicamente, non ha avuto nessuna risposta; e di urgenza di riflessione sulla identità di un partito che ha, nel suo nome stesso, il riferimento alla identità cristiana mi pare che ce ne sia fin troppa”.

“Ma, domandiamoci, che senso ha interrogarci sull’incidenza dei cattolici nel contesto sociale e culturale? Si tratterebbe di riconquista di un potere che si sta sgretolando? O di avere posti di prestigio nelle istituzioni pubbliche, per una equa spartizione di poltrone? Non credo proprio”, evidenzia don Mangiarotti.

Don Mangiarotti, inoltre, ritiene che “ciò che caratterizza l’identità cristiana sia un bene per tutta la società, al di là della personale appartenenza”, e “sia utile considerare alcune osservazioni di Marcello Veneziani, pubblicate qualche giorno fa: ‘Ma la Chiesa, il mondo cattolico, le scuole cattoliche, le università cattoliche, l’editoria cattolica, la comunicazione d’ispirazione cattolica, il popolo dei credenti dove sono finiti, come mai non si fanno sentire mai sulle questioni decisive e rilevanti che riguardano gli orientamenti civili e culturali, l’arte, il pensiero, la scienza e la tecnologia, la letteratura, la musica e il cinema, il politically correct, la cancel culture e l’ideologia woke? Ma anche nelle scelte della vita comune, la vita intima, le sue inclinazioni non si avverte mai un punto di osservazione religioso, prima che cattolico e cristiano…[…] è un ritirarsi, uno spegnersi, un essiccarsi della fiamma, un’accettazione di disfatta e di abbandono che ormai è in ciascuno. Non c’è mai un organismo d’ispirazione cristiana, a qualunque livello, che prenda posizione su temi, dibattiti, personaggi, aggressività e supponenza della cultura dominante. Prevale un senso di inadeguatezza e la percezione di essere comunque soccombenti, fuori luogo: dunque inutile cimentarsi, meglio mettere da parte le proprie convinzioni, o tenersele per sé, fino a privatizzare la propria fede cristiana a ridurla a un intimismo privo di porte e di finestre. Non c’è questione culturale, storica o ideale in cui si avverta la presenza di un punto di vista schiettamente cristiano e cattolico, mai un segno né di fedeltà né di originalità; … perché è faticoso oltre che creativo, saper rispondere alle controversie della contemporaneità, al narcisismo, ai coming out, ai desideri di mutare natura, sesso, corpo, età, famiglia, città che prevalgono nel frasario più diffuso del momento. Si tratta in una parola, ma che diviene fatto, scommessa e ammissione di identità, mettere in gioco il senso religioso della vita e farlo valere nelle scelte quotidiane…'”.

E ancora: “Capita spesso di accorgersi, in questi tempi, che coloro che soffrono per questa eclisse siano laici acuti (tempo fa si chiamavano ‘atei devoti’) mentre coloro che dovrebbero in prima persona impegnarsi perché la fede e la cultura cristiana ritornino a essere ‘forza trainante’ sembra che abbiano dimenticato da tempo le parole profetiche di Giovanni Paolo II: ‘Anche e particolarmente in una società pluralistica e parzialmente scristianizzata, la Chiesa è chiamata a operare, con umile coraggio e piena fiducia nel Signore, affinché la fede cristiana abbia, o recuperi, un ruolo-guida e un’efficacia trainante, nel cammino verso il futuro. Vorrei ricordare qui la precisa convinzione di papa Giovanni XXIII che l’ordine etico-religioso incide più di ogni valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale e associata nell’interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse’. La promozione dei valori morali è un fondamentale contributo al vero progresso della società'”.

“Anche nella nostra situazione l’impegno a riscoprire i valori cristiani costituisce l’urgenza più potente perché si realizzi quel bene comune che è alla radice di ogni giusta convivenza: la difesa della vita nascente e la custodia della vita terminale non sono optional frutto di un malinteso ‘fuori tempo’, ma la condizione di quel bene sociale cui tutti aspiriamo. E se ci rattrista il ricordo della dichiarazione di voto al Referendum, che consentiva ai democratico-cristiani di votare a favore o contro o astenersi, penso che le ultime vicende anche qui tra noi richiedano una ripresa forte della identità storica, e delle sue basi cristiane. Non per un confessionalismo oramai giustamente desueto, ma per una dignità della vita comune e della politica che, senza il riferimento a quei «principi non negoziabili», renderebbe la vita degli stati, secondo l’acuta definizione di s. Agostino, bande di ladri: ‘Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?’, cioè: ‘se togli la giustizia (se non praticano la giustizia) che sono i regni se non bande di ladri di grandi dimensioni? E le bande di ladri, cosa se non piccoli regni?’ e tutti sappiamo che cosa significhi, e non solo per s. Agostino, la giustizia”, manda a dire don Mangiarotti.

Per finire, don Mangiarotti riprende le parole di s. Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Loreto, che, “se accolte ancora oggi per il loro valore positivo, aprono la strada non solo alla responsabilità dei cristiani, ma al comune cammino di realizzazione di un mondo di valori che ridona fascino alla nostra ‘Antica terra della libertà’; ascoltiamole, e facciamole divenire il nostro programma: ‘Occorre superare, carissimi fratelli e sorelle, quella frattura tra Vangelo e cultura che è… il dramma della nostra epoca; occorre por mano a un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita, in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza. Ciò potrà avvenire solo a condizione che non si appiattisca la verità cristiana, e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi… È dunque necessario avere fiducia, non solo per quanto concerne la Chiesa ma anche per la vita della società, nella forza unitiva e riconciliatrice della verità che si realizza nell’amore. Vorrei dire qui: non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia [e del mondo], nel pieno rispetto anzi della convinta promozione della libertà religiosa e civile di tutti e di ciascuno, e senza confondere in alcun modo la Chiesa con la comunità politica”.

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