San Marino. La riflessione di don Gabriele Mangiarotti su “Libertà di pensiero vs censura”

San Marino. La riflessione di don Gabriele Mangiarotti su “Libertà di pensiero vs censura”

Riceviamo e pubblichiamo

Mi è capitato di leggere la bella biografia di Dietrich von Hildebrand scritta dalla seconda moglie, Alice. Ella racconta questo episodio dell’infanzia di colui che – uno tra i più importanti filosofi del Novecento – ebbe un rilevante ruolo nella battaglia contro l’ideologia nazista e antisemita.

«All’età di quattordici anni [Dietrich von Hildebrand], mentre passeggiava con la sorella Nini, lei cercò di convincerlo che i valori morali erano puramente relativi, dipendevano dal tempo, dal luogo e dalle circostanze in cui gli uomini si trovavano. Con sua grande sorpresa, il fratello contestò energicamente il suo punto di vista e offrì un’intera serie di argomenti per dimostrare che si sbagliava. Un po’ turbata da questo attacco, Nini cercò di riconquistare il suo ascendente su di lui quando, tornando a casa, chiamò in soccorso il padre “Pensi, padre, Dietrich si rifiuta di riconoscere che tutti i valori morali sono relativi”.

“Nini” rispose il padre, “non dimenticare che ha solo quattordici anni”.

Il ragazzo, irritato, rispose: “Padre, se non ha argomenti migliori della mia età da offrire contro la mia posizione, allora la sua stessa posizione deve poggiare su basi molto fragili”.»

Così Josef Ratzinger commenta questo episodio: «Questo piccolo episodio, probabilmente non raro in ogni famiglia, rivela qualcosa di fondamentale sul carattere di Dietrich von Hildebrand. Ci dice anche qualcosa sul modo in cui il relativismo morale deve fare appello alla forza dell’autorità per trionfare; in una parola, su come il relativismo morale finisce nel totalitarismo

Ho ricordato queste parole leggendo sui social sammarinesi questo pensiero, a proposito del comunicato della Associazione “Uno di noi” in cui si ricordava che 17 bambini abortiti in un anno significa perdere una classe intera già a partire dalla prima elementare del 2029: «Senza ivg facevi una classe, e quante se ne sarebbero fatte senza contraccezione o senza istruzione femminile o facendo decidere al prete? Sarà un bel giorno quando queste uscite integraliste non troveranno ospitalità nei media e nel discorso pubblico».

Certo, quando non hai ragioni serie puoi solo invocare la censura, il silenzio sui media, il rifiuto della visibilità mediatica. Accade spesso, è accaduto anche tra noi, e a volte è pure il “fuoco amico” che chiude spazi di comunicazione.

Quanta è la paura della verità, del libero confronto, del cercare le ragioni degli altri e del desiderio di comunicare le proprie! Benedetto XVI parlava della «dittatura del relativismo», Papa Francesco ci esorta a non essere preda delle «colonizzazioni ideologiche», e qui, nell’«Antica terra della libertà» c’è chi invoca la censura e l’ostracismo per chi porta pensieri diversi.

Pensiamo però a quali pensieri si vorrebbe mettere il bavaglio: quando una società è riuscita a imporre alle madri la convinzione che l’uccisione del bimbo nel grembo materno è u suo sacrosanto diritto e che coloro che lo negano fanno «discorsi da trogloditi» (sempre sui social sammarinesi), allora vale quanto già S. Teresa di Calcutta affermava: «Se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi tra di loro?». (S. Teresa alla consegna del Nobel per la pace, nel 1979).

Per noi la questione dell’aborto non è risolta da una legge che lo permette, da una educazione di stato che lo rende pratica accessibile, senza connotati morali, dalla creazione di consultori in cui non c’è spazio per chi promuove la vita, anche se capace pure di indicare risorse per il bene dei nascituri.

Noi ci riconosciamo in quello che papa Francesco ha detto recentemente, in difesa di ogni bambino, sempre: «Cari Ambasciatori, la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto… In ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati.»

Noi non abbiamo paura della verità e nemmeno del confronto. E siamo disposti alla testimonianza, come oggi, nel mondo intero, tanti nostri fratelli cristiani stanno dimostrando.

don Gabriele Mangiarotti

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