Sversamenti nel Rio San Marino da azienda del Titano, Cassazione conferma condanna

Sversamenti nel Rio San Marino da azienda del Titano, Cassazione conferma condanna

Una sanzione complessiva per quasi 55mila euro, ma indirettamente la sentenza mette in luce anche gli annosi problemi della rete fognaria sammarinese.

ANTONIO FABBRILa vicenda risale al 2017 ed è arrivata fino alla Cassazione italiana con la pubblicazione, il 30 maggio scorso, della sentenza numero 21034. I fatti contestati riguardano due episodi di sversamento nel torrente San Marino del gennaio e maggio del 2017.

I fatti contestati Dalla ricostruzione contenuta nella sentenza della Cassazione emerge che una ditta e il suo legale rappresentante erano accusati di avere “versato nel torrente San Marino cose atte a offendere e imbrattare le persone, trattandosi di rifiuti provenienti sia da scarichi di natura industriale, perché contenenti alluminio, borio, bario, rame ferro, zinco, piombo, nichel e cromo, sia di natura domestica, come desumibile dall’alta concentrazione di eschericia coli”. Il versamento dei reflui nel torrente attraverso uno scarico in “difetto assoluto di autorizzazione, aveva causato l’alterazione cromatica e olfattiva delle acque del rio San Marino e in parte del fiume Marecchia, dove il torrente sfocia.

Era stata riscontrata anche moria di pesci. Per questi fatti il tribunale di Rimini aveva condannato, con sentenza del 21 ottobre 2021, la ditta e il suo amministratore a complessivi 54.600 euro, disponendo inoltre la confisca dello scarico.

La Cassazione, esaminati ricorsi di ditta e amministratore, li ha dichiarati infondati di fatto confermando quelle condanne.

I motivi di ricorso e il rigetto della Corte E’ dai motivi di ricorso dell’azienda e del suo amministratore che, al di là del rigetto nel caso specifico, si evince ancora una volta l’annoso problema della rete fognaria sammarinese. Dai vari motivi di ricorso emerge che, secondo le difese, non sarebbe stata presa in sufficiente considerazione dal tribunale di Rimini “la presenza di reflui domestici nelle acque del torrente San Marino”. Reflui domestici che, “secondo gli esiti degli esami chimici e batteriologici”, risultano “di gran lunga superiori a quelli industriali, di poco superiori ai limiti di legge, con la conseguenza che i reflui di cui era stata riscontrata la presenza nel corso d’acqua avrebbero dovuto essere ricondotti al sistema fognario pubblico, in concomi- tanza con eventi meteorici”. La difesa aveva anche sottolineato che nonostante la moria di pesci, non vi erano tuttavia state offese o molestie alle persone, come richiamato nella previsione del codice penale.

La Corte di Cassazione ha tuttavia rimarcato che l’articolo 674 del codice penale italiano (“Getto pericoloso di cose”), “è un reato di pericolo per la cui integrazione non occorre un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l’attitudine a cagionare effetti dannosi” e che “nel concetto di “molestia”, vanno ricomprese tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo alla persona, situazioni che siano di turbamento della tranquillità e del modo di vivere quotidiano e producano un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività di lavoro e di relazione”, ha scritto la Cassazione, rigettando il ricorso e rimarcando che nel caso di specie si sia “trattato dello scarico di acque altamente tossiche e maleodoranti, avvenuto in luogo pubblico e protrattosi per oltre 10 km nel torrente San Marino, fino alla confluenza con il fiume Marecchia, con evidente pericolo anche per la salute delle persone che eventualmente fossero venute a contatto con tali acque”.

La Corte rigetta anche l’osservazione secondo cui non sarebbe stata sufficientemente indagata l’effettiva provenienza dei reflui inquinanti, considerato che anche la rete fognaria pubblica confluirebbe nel torrente. La Cassazione rileva che la ditta riversava nel torrente “mediante stabili tubazioni collegate alle grondaie e alle caditoie presenti nel piazzale dello stabilimento industriale, laddove venivano stoccati anche i lavorati” e che “le acque che venivano recapitate tramite tali tubazioni presentavano sostanze pericolose e inquinanti, di natura tipicamente industriale”. Oltre a questo anche gli altri motivi di ricorso non sono stati ritenuti accoglibili dalla Cassazione, in parte inammissibili e in parte infondati, con la conseguente conferma della sentenza.

Caso che fa riflettere Questa vicenda, in particolare nelle osservazioni della difesa relative alla rete fognaria pubblica, fa riflettere e pone ancora una volta l’annoso problema delle fogne sammarinesi, ma più in generale dello sversamento di reflui e liquami nei corsi d’acqua del Titano che, inevitabilmente, scendendo a valle compromettono la salubrità dell’ambiente fluviale anche oltre confine. Annoso problema, mai risolto, che ciclicamente torna ad occupare le cronache, per la schiuma nei corsi d’acqua, la colorazione dei ruscelli dei più disparati colori o la moria dei pesci, oltre ad alimentare gli attriti e le polemiche tra le zone confinanti e il Titano.

 

Articolo tratto da L’Informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 23

 

 

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