Tassa ai frontalieri. Sentenza Collegio Garanti

Tassa ai frontalieri. Sentenza Collegio Garanti

REPUBBLICA DI SAN MARINO
COLLEGIO GARANTE DELLA COSTITUZIONALITÀ DELLE NORME
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SENTENZA 28 MARZO 2011 N.5
Nel nome della Serenissima Repubblica di San Marino
Il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme
nel Sindacato di Legittimità Costituzionale n.0001 dell’anno 2011 promosso in via diretta da membri del Consiglio Grande e Generale
sentita la relazione del membro del Collegio Garante Prof. Avv. Carlo Bottari nell’Udienza Pubblica del 9 marzo 2011
– uditi l’Avv. Silvia Cecchetti e l’Avv. Alfredo Manzaroli per i ricorrenti;
– udito l’Avvocato dello Stato Sabrina Bernardi per lo Stato;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
FATTO
Con ricorso depositato presso l’ufficio di Cancelleria del Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme in data 7 febbraio 2011, 27 membri del Consiglio Grande e Generale (signori Fiorenzo Stolfi, Denise Bronzetti, Marino Riccardi, Mauro Chiaruzzi, Giuseppe Maria Morganti, Claudio Felici, Marco Tomassoni, Stefano Macina, Iro Belluzzi, Gian Carlo Capicchioni, Enzo Colombini, Ivan Foschi, Francesca Michelotti, Vanessa Muratori, Alessandro Rossi, Giovanni Lonfernini, Pier Marino Mularoni, Paolo Crescentini, Paride Andreoli, Simone Celli, Silvia Cecchetti Federico Pedini Amati, Germano de Biagi, Alessandro Mancini, Alfredo Manzaroli, Pier Marino Menicucci, Nicola Selva) hanno promosso in via diretta, ai sensi dell’art. 12, comma primo, della Legge Qualificata 25 aprile 2003, n. 55, la verifica di legittimità costituzionale dell’art. 56 della L. 22 dicembre 2010 n. 194, in riferimento agli artt. 4, 13 e 14 della Dichiarazione dei Diritti dei Cittadini e dei Principi Fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese, nonché all’art. 14 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (di seguito, « CEDU »).
Le censure di incostituzionalità hanno ad oggetto, in particolare, il comma primo della disposizione citata, che ha sostituito l’ottavo comma dell’art. 9 della L. 13 ottobre 1994 n. 91, nel modo che segue: « I soggetti fiscalmente residenti a San Marino che producono reddito da lavoro dipendente possono portare in detrazione dall’imposta una somma predeterminata annualmente con decreto delegato a titolo di spese inerenti la produzione di tale reddito ».
A dire dei ricorrenti, la novella legislativa, prevedendo la possibilità di operare una detrazione d’imposta limitatamente ai « soggetti fiscalmente residenti a San Marino », determinerebbe una illegittima disparità di trattamento nei confronti dei lavoratori non residenti nella Repubblica di San Marino (i cosiddetti « frontalieri »), che « non possono più usufruire della detrazione, con il risultato di subire una tassazione superiore a quella dei loro colleghi ».
Si è costituito in giudizio lo Stato, ai sensi dell’articolo 9, comma 3, della Legge Qualificata n.55/2003, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo di dichiarare inammissibile e comunque infondata nel merito la questione di legittimità costituzionale proposta.

All’udienza pubblica i ricorrenti e l’Avvocatura dello Stato hanno insistito nelle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

 

DIRITTO
I ricorrenti ravvisano che la limitazione del beneficio della detrazione per le spese inerenti alla produzione del reddito da lavoro dipendente ai soli lavoratori fiscalmente residenti a San Marino integri una lesione del principio di eguaglianza, del principio del concorso alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva, e del principio di imparzialità della pubblica amministrazione.
La norma sospettata d’incostituzionalità si porrebbe in contrasto anche con l’art. 20 dell’Accordo di Cooperazione ed Unione Doganale tra la Repubblica di San Marino e la Comunità Economica Europea che prevede: « Ciascuno Stato membro concede ai cittadini sammarinesi che lavorano sul suo territorio un regime privo di qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità rispetto ai suoi cittadini per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione. La Repubblica di San Marino concede lo stesso regime ai cittadini degli Stati membri che lavorano sul suo territorio ». Le previsioni dell’Accordo, cui è stata data esecuzione nel territorio della Repubblica con Decreto Reggenziale 3 marzo 1993 n. 34, prevarrebbero sulla norma interna in contrasto, in virtù dell’art. 1 della Carta dei Diritti.
I ricorrenti affermano poi la violazione dell’art. 14 della CEDU, che postula che il godimento dei diritti riconosciuti debba essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sull’origine nazionale o posizione sociale.

Le dette censure d’illegittimità costituzionale non appaiono, ad avviso di questo Collegio, meritevoli di accoglimento.

 

*****
1) In linea generale, il principio di eguaglianza, quantunque debba ritenersi esteso agli stranieri allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili, trova delle limitazioni in relazione a particolari situazioni giuridiche connesse alla diversità dei rapporti esistenti tra lo Stato e il cittadino e lo Stato e lo straniero, per cui non può escludersi che tra cittadino e straniero, benché uguali nella titolarità di certi diritti fondamentali, esistano differenze di fatto e di posizioni giuridiche tali da giustificare razionalmente un diverso trattamento nel godimento di tali diritti, che il Legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità.
La differenza basilare, esistente di fatto tra il cittadino e lo straniero, consiste nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e temporaneo. Da detto legame la dottrina ha tradizionalmente desunto una definizione di cittadinanza come condizione giuridica che, nello stesso tempo, attribuisce facoltà e impone doveri, definizione la cui eco si avverte chiaramente proprio in una delle norme assunte dai ricorrenti a parametro della verifica di legittimità costituzionale.
L’art. 13, comma primo, della Carta dei Diritti, infatti, statuisce: « I cittadini hanno l’obbligo di essere fedeli alle leggi ed alle istituzioni della Repubblica, di partecipare alla sua difesa e di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».
I ricorrenti, quindi, tralasciano il fatto che l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva è imposto non a tutti, bensì ai soli cittadini, non configurandosi, da questo punto di vista, come pedissequa applicazione del generale principio di uguaglianza di cui all’art. 4 della Carta dei Diritti.
In particolare, per quanto qui strettamente interessa, se la norma certamente non preclude al Legislatore di estendere l’imposizione fiscale anche agli stranieri che svolgono attività produttiva di reddito nella Repubblica di San Marino, non offre, d’altro canto, appiglio per affermare che lo stesso Legislatore, quando deroghi al principio dell’universalità dell’imposizione, attribuendo determinati benefici a coloro che si trovino in una certa situazione, debba farlo in modo identico per i lavoratori residenti nella Repubblica e per quelli non residenti.
2) A riprova della validità di tale rilievo, si consideri la disposizione del comma quarto dell’art. 9 della L. n. 91 del 1984, (« Le detrazioni d’imposta per carichi di famiglia sono rapportate ai mesi dell’anno e non competono ai soggetti passivi non residenti »), mai censurata d’incostituzionalità, sebbene limitativa di un beneficio fiscale in ragione della residenza nel territorio della Repubblica del soggetto passivo d’imposta.
Né vale, in contrario, il richiamo dei ricorrenti all’art. 20 dell’Accordo Doganale con la Comunità Economica Europea, che fa divieto di discriminare i lavoratori in base alla nazionalità, relativamente alle condizioni di lavoro ed alla retribuzione, ma non assicura ad essi assoluta parità (e reciprocità) di trattamento fiscale.
Ed, invero, nel caso in esame non vi è alcun differenziazione, sotto il profilo giuridico, del trattamento retributivo riservato ai lavoratori, atteso che ciascun lavoratore matura la medesima retribuzione lorda, mentre il differente trattamento fiscale incide esclusivamente sul netto della retribuzione.
A ciò si aggiunga che la differenziazione del trattamento fiscale non è riferita alla nazionalità del lavoratore, bensì alla sua residenza o meno nel territorio della Repubblica di San Marino: infatti, in applicazione della disposizione legislativa oggetto di sindacato un lavoratore cittadino sammarinese non residente in San Marino non potrebbe fruire della detrazione al pari del lavoratore cittadino italiano non residente; parimenti, un cittadino italiano residente a San Marino e che ivi lavori usufruisce della medesima detrazione riservata al cittadino sammarinese residente.
La giurisprudenza interna evocata dai ricorrenti chiarisce ulteriormente la portata della norma, precisando, in relazione alla disciplina del collocamento al lavoro, che detta normativa « non comprende alcun differente trattamento dei lavoratori sulla scorta della sola e mera nazionalità: infatti i lavoratori stranieri residenti sul territorio accedono alle liste di avviamento al lavoro in condizioni di esatta e perfetta parità di trattamento con i cittadini. […] I lavoratori cittadini dell’Unione Europea, soggetti all’Accordo di cooperazione e unione doganale, non soffrono di alcun diverso trattamento in quanto stranieri, bensì in quanto non residenti sul territorio della Repubblica, Repubblica che, vale la pena di ricordarlo, non ha aderito ad alcun accordo internazionale prevedente la libertà di stabilimento delle persone ovvero la libertà di circolazione dei lavoratori (come, ad esempio, l’art. 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea) » (Commissario della Legge, dott. G. Felici, sentenza 5 agosto 2009, nella causa civile di lavoro n. 4/2008).
L’osservazione può, per inciso, essere sviluppata con riferimento al tema della differenziazione dei regimi fiscali delle retribuzioni in base alla residenza.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, a partire dalla sentenza « Shumacker » (14 febbraio 1995, causa C-279/93), afferma, in questa prospettiva, che la situazione dei residenti e quella dei non residenti in un dato Stato membro non sono di regola analoghe, in quanto presentano differenze oggettive per quanto attiene sia alla fonte dei redditi sia alla capacità contributiva personale o alla presa in considerazione della situazione personale e familiare (v., in particolare, sentenza 18 marzo 2010, causa C-440/08, sentenza 22 marzo 2007, causa C-383/05, Talotta, Racc. pag. I-2555, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata, e 16 ottobre 2008, causa C-527/06, Renneberg, Racc. pag. I-7735, punto 59).
Sempre secondo la Corte di Giustizia, in presenza di un vantaggio fiscale il cui il godimento venga rifiutato ai non residenti, può ravvisarsi una discriminazione quando non sussiste alcuna obiettiva diversità di situazione tale da giustificare una disparità di trattamento tra le due categorie di contribuenti.
La disparità di trattamento, tuttavia – se sussistente – viene valutata esclusivamente in base al divieto di « restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro », di cui all’art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 43 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), che non è stato evocato, né avrebbe potuto esserlo, nel caso di cui si discute.
3) L’art. 14 della CEDU, invocato dai ricorrenti, stabilisce che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione.
Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si ricava il principio che l’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU (« Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende ») deroga al principio di protezione dei beni protetti da detto Protocollo, al fine di consentire un ampio esercizio della potestà impositiva degli Stati.
L’orientamento ermeneutico prevalente afferma che l’obbligazione tributaria deve essere considerata come appartenente « all’ambito » del diritto pubblico e di conseguenza non è coperta dalla nozione di diritti ed obblighi di natura civile riconosciuti dalla CEDU.
Si veda, in proposito, la sentenza « Ferrazzini » (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Camera Grande, 12 luglio 2001, ric. 44459/98, Ferrazzini c. Italia) con cui la Corte ha ribadito che la materia fiscale fa parte ancora del nucleo duro delle prerogative della potestà pubblica, poiché la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività resta predominante. Dato che la Convenzione e i suoi Protocolli devono essere considerati congiuntamente, la Corte reputa, altresì, che l’articolo 1 del Protocollo n. 1, relativo alla protezione della proprietà, non rechi pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per assicurare il pagamento delle imposte.
Per tali ragioni, il divieto di discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU non assurge al rango di parametro per la verifica del corretto esercizio della discrezionalità del Legislatore nazionale in campo tributario.
4) Appare, infine, privo di rilievo il richiamo dei ricorrenti alla pretesa lesione del dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in quanto la pubblica amministrazione è tenuta all’applicazione delle leggi vigenti e a conformare il proprio comportamento alle stesse.

E’ inammissibile, perciò, il sindacato di legittimità costituzionale dell’art. 56 della L. 194 del 2010, in relazione all’art. 14 della Carta dei Diritti.

 

P.Q.M.

 

Il Collegio garante della Costituzionalità delle Norme
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56 della L. 22 dicembre 2010, n. 194, sollevata in riferimento agli artt. 4 e 13 della Dichiarazione dei Diritti dei Cittadini e dei Principi Fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese, nonché all’art. 14 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56 della L. 22 dicembre 2010, n. 194, sollevata in riferimento all’art. 14 della Dichiarazione dei Diritti dei Cittadini
e dei Principi Fondamentali dell’Ordinamento Sammarinese.

Manda

 

ai sensi dell’art. 14, della L.Q. n. 55/2003 alla Cancelleria per la notifica ai ricorrenti e allo Stato e per la trasmissione alla Reggenza

 

San Marino, 28 marzo 2011/1710 d.F.R.
Il Collegio Garante
Prof. Augusto Barbera (Presidente)
Prof. Carlo Bottari (Membro effettivo – Relatore – Redattore)
Avv. Giovanni Nicolini (Membro supplente)

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