Il declino non è il destino. L’informazione di San Marino,   Gabriele Mangiarotti

Il declino non è il destino. L’informazione di San Marino,   Gabriele Mangiarotti

GABRIELE MANGIAROTTI. Un amico editore mi ha inviato un bel testo, di prossima uscita, sul tema della fine della cristianità. Si tratta di una acuta riflessione su quanto sta accadendo nel nostro mondo culturale, e che illumina sulla situazione nella quale stiamo vivendo.

Ad un certo punto mi ha colpito questa affermazione, che riporto: «La Chiesa è eterna per i cattolici: ci sarà sempre un gruppo di fedeli, sia pure sparuto, a costituirla.

Ma la cristianità è qualcosa di completamente diverso. Si tratta della civiltà ispirata, ordinata, guidata dalla Chiesa.

Sotto questo aspetto possiamo dire che la cristianità è durata sedici secoli, dalla battaglia del fiume Frigido, nel 394, fino alla seconda metà del XX secolo, con il successo dei sostenitori dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG). Le cosiddette riforme sociali sono essenziali per capire l’inizio e la fine. Infatti questa è davvero una civiltà, in altre parole: un certo modo di vivere, una visione dei confini tra il bene e il male.»

E l’autrice di questo pensiero, Chantal Delsol, fa finire questa epoca quasi bimillenaria con l’approvazione dell’aborto. Mi è subito venuto in mente quanto stiamo vivendo a San Marino, ove la battaglia contro la vita, rivestita dalla affermazione di battaglia per i diritti civili e per l’uscita dal “Medioevo”, sembra avere conquistato per tutti il diritto a vivere in un’epoca in cui il cristianesimo non costituisce cemento e fondamento della convivenza.

Anche se forse può valere, almeno dialogando con molte persone preoccupate per la nuova deriva nella Repubblica, l’osservazione di Nietzsche a proposito della «morte di Dio»: «A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”».

Se leggiamo i fatti che accadono, e non solo tra noi, certo dobbiamo riflettere per capire se siamo davvero a una fine, se si intravvede un nuovo inizio, o se la confusione nella quale ci troviamo sia solo indizio di un caos senza ragioni né vie d’uscita.

La guerra in Ucraina ha mosso tra noi una certa gara di solidarietà e di accoglienza, la lotta delle donne iraniane ci ha mostrato che un certo mondo di oppressione può essere contrastato (e speriamo sconfitto), l’enfasi su Halloween (e un certo fastidio per la sua promozione commerciale) ci fa cercare un modo di capire di che cosa si tratta, per cui possiamo realizzare un diverso modo di divertirsi, mentre poi vediamo fenomeni di intolleranza (penso all’occupazione della Sapienza, non paga di avere impedito a Papa Benedetto di parlare in quel contesto, ed ora baluardo di faziosità incapace di dare ragioni serie, oltre che slogan) che sorprendono per lo schematismo ripetitivo che realizzano.

Rassegnati o protagonisti?

Quanto accade mette sicuramente in gioco la creatività di ciascuno, e questo a me fa pensare che c’è sempre una via d’uscita, e che la storia non è frutto del determinismo. La libertà è sempre la risorsa più grande.

Ma c’è una condizione, rimanere desti, non acquiescenti, responsabili.

Ce lo ricorda J. Ratzinger, con queste chiare e commosse parole: «La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell’anima, che non si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta la sofferenza che devastano la terra. È un’insensibilità che preferisce non percepire tutto ciò; si tranquillizza col pensiero che tutto, in fondo, non è poi tanto grave, per poter così continuare nell’autocompiacimento della propria esistenza soddisfatta. Ma questa insensibilità delle anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che per la potenza incombente del male dà potere al Maligno nel mondo. Di fronte ai discepoli assonnati e non disposti ad allarmarsi, il Signore dice di se stesso: «La mia anima è triste fino alla morte». È questa una parola del Salmo 43,5 nella quale risuonano espressioni di altri Salmi.» [J. Ratzinger, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme…, pp. 172-173]

Ecco allora quello che possiamo fare e domandare: «Signore, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare; la forza ed il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare; e la saggezza di conoscerne la differenza.»

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