LA SCUOLA NELLA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE (TRIM, Anno IV, nn.10-12, agosto 1989-aprile1990)

LA SCUOLA NELLA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE (TRIM, Anno IV, nn.10-12, agosto 1989-aprile1990)

LA SCUOLA NELLA SOCIETA’
DELL’INFORMAZIONE

 (TRIM, Anno IV, nn.10-12, agosto 1989-aprile1990)

 Abbiamo
cominciato ad occuparci di informatica nelle nostre scuole diversi anni fa. Dopo
alcune esperienze, per così dire, preliminari, condotte da un gruppo limitato,
nel 1985 sono stati coinvolti tutti gli insegnanti, quando fu proposto al
Collegio dei Docenti di costituire un gruppo di lavoro col seguente scopo:
esaminare il fenomeno informatico in sé; valutare la opportunità o meno della
introduzione dell’informatica nella  scuola; definire i punti base di un
eventuale progetto per tale introduzione.

     Ci rendemmo
subito conto che l’informatica non era da considerare un fenomeno transitorio,
una moda, una delle tante mode dai riflessi non sempre positivi sul mondo della
scuola. Si era avvertito già da allora. Oggi più che mai si può dire che
l’informatica non è una moda: attorno a noi sta cambiando la società. E la sta
cambiando con  velocità, con ritmi che potremmo dire rivoluzionari. Qualcuno
dice che si tratta di una trasformazione epocale. Perché scomodare tale
aggettivo? in cosa consiste la trasformazione?  Nel fatto che si sta modificando
la natura del lavoro dell’uomo, del lavoro ordinario, quello generalizzato, del
lavoro comune.  

La società del
passato

Da sempre
l’uomo ha dovuto lavorare e lavorare sodo. E lavorare ha sempre voluto dire
fatica, sudore. E’ scritto nella Bibbia. E’ sempre stato così. Era così prima
che l’uomo si organizzasse in società, lo è stato dopo. Tutte le società
del­l’antichità erano strutturate in una grande massa di persone (oltre il 90%)
che faticavano e faticavano pesantemente, soprattutto nei lavori dei campi e in
una piccola, piccolissima parte che si occupava d’altro. E questo altro era in
genere “negotium”, raramente “otium”. Cioè una ri­strettissima élite lavorava
solo di testa. Dovunque. Così da noi, sulle sponde del Mediterraneo, così in
Cina o sulle Ande.

     E questo
anche fino a poco fa, anche  nella nostra Europa. Sentendo, quest’anno, parlare
di rivoluzione francese, mi ha colpito un dato: al momento dello scoppio, su 24
milioni di abi­tanti, ben 22 milioni appartenevano a famiglie di contadini,
contadini in senso stretto, non certo di quelli alla Titiro, il personaggio
virgiliano,  col flauto  tra le mani “sub tegmine fagi”.

     L’avvento
dell’industrializzazione negli ultimi due secoli

chi continua a
rovesciare e frantumare zolle, si fa significativo e  via via più grande il
numero di coloro che, negli opifici, sono addetti a trasformare materie
(organiche come il legno o inor­ganiche come un  metallo), per ricavarne
utensili, manufatti in genere, co­munque beni materiali. Ancora sudore. Anche
qui si suda perchè ci si affanna attorno a qualcosa di materiale da manipolare,
da trasformare in qual­cos’altro di materiale. La macchina, per un lunghissimo
periodo, non allevia di molto la fatica. Anzi si suda di più. L’andamento, il
ritmo del lavoro non è più scandito dai cicli della natura come nei lavori
agricoli. La macchina non distingue fra giorni feriali e festivi, fra bello e
brutto tempo. Vengono imposti all’uomo i ritmi inna­turali della macchina, ritmi
che si emble­mizzeranno  nella catena di montaggio.

Chi lavora solo
di testa fa parte di una ristretta, limita­ta, circoscritta élite, in netta
condizione di privilegio.  

La nuova società

Oggi? Se  si
analizza la popolazione attiva  di una nazione moderna facendo riferimento  non
ai consueti settori -agricoltura (2-4%), industria (35-40%) e terziario-, ma al
tipo di lavoro, si trova che oltre il 50% lavora in ufficio, fa lavoro
d’ufficio.

E il lavoro
d’ufficio, si sa, vuol dire lavoro di testa, di intelligenza. Questo significa
che la élite delle società precedenti sta diventando massa. In altre parole,
oggi è il lavoro fisico ad assumere  conno­tazioni di eccezionali­tà (non certo
di privilegio, ma di margina­li­tà, almeno culturale).

Cioè il lavoro di
testa, di intelligenza, sta diventando il lavoro ordinario nella società
moderna. Ecco perché si parla di cambiamento epocale. Nel rapporto fra individui
si fa abissale la differenza fra chi ha cultura e chi non l’ha potuta acquisire,
ma anche fra chi ha una cultura di tipo enciclopedico e chi può far leva anche
sulla creatività. Ormai le potenzialità di un’azienda, di una qualsiasi azienda
commerciale, industriale o agricola, si misurano in termini di capacità di
innovazione, di progettualità,  piuttosto che di forza lavoro tradizionale o di
quantità di prodotto. Il prezzo di un articolo è determinato, per massima parte,
dal capitale  di intelligenza investito, più che dalla spesa energetica e dal
valore del materiale intrinseco.  La stessa competizione fra nazioni diventa
competi­zione di intelligenze più che di risorse, competizione di capacità
organizzativa, capacità di sfrut­tamento della materia grigia della propria
gente più che di accumulazione di materie prime o di estensione territoriale.

     Per inciso
vorrei osservare che di qui nasce il nuovo, eccezio­nale inte­resse per la
scuola, intesa (ma guarda cosa si sente dire!) come selezionatrice di
intelligenze, fucina di intelli­genze. Altroché scuola da bruciare, come si
“sloganeggiava” una decina di anni fa!   E’ un cambiamento epocale anche in
questo senso.  

La società
dell’informazione

Oltre il 50%
della popolazione attiva dunque fa lavoro d’ufficio. Cioè un lavoro non fisico.
In ufficio ci si affanna, in genere,  su un qualcosa di non materiale: dati,
conoscenze.  Un qualcosa di immateriale che viene rappresentato, manipolato,
ricevuto e tra­smesso, venduto e comprato cioè trattato come una merce, una
merce qualunque. Una merce singolare.

E’ un lavoro
sostanzialmente nuovo. Mancano anche i vocaboli per descriverlo, questo nuovo
lavoro. Dobbiamo ricorrere a quelli della vecchia realtà, riadat­tati a  nuovo
significato: la tecno­logia diventa tecno­logia immateriale, il magazzino
diventa magaz­zino di dati (detto anche banca, archi­vio), la rete di trasporto,
di comunicazione è una rete tout court, senza ponti, asfalto o rotaie, camion o
carrozze, fatta di fili, di cavi, .. di “niente”.

     Nella
società moderna, si sa, la macchina occupa un ruolo di primo piano: si fa carico
del lavoro fisico e del lavoro ripeti­tivo, occupa, mese dopo mese, nuovi spazi
a scapito dei prestatori d’opera tradizionali. Specie nell’agricoltura,
nell’industria. E negli uffici?  Anche qui una macchina, il computer. Il
computer, assieme ad altre macchine, allevia la fatica, velocizza il lavo­ro.
Ovviamente il computer lavora quella materia prima di cui si parlava poc’anzi.
Qui la macchina non trasforma  della frutta in marmella­ta o un lingotto di
alluminio in una zanzarie­ra: macina, trasforma, costruisce, spedisce, riceve 
questo qual­cosa di imma­teriale, cioè dati, conoscenze o, come più spesso 
vengono chiamati con una parola unica, informazioni. Dietro le macchine del
primo tipo c’è la scienza fisica o, più in particolare, la scienza meccanica;
dietro il computer c’è la scienza delle informazioni o informatica
(letteralmente, trattamento automatico delle informazioni).

     In
conclusione. Stiamo assistendo a una grande rivoluzione, una rivoluzione che fa
rima con informazione. Anzi la nostra società viene ormai chiamata società
dell’informazione.  

La scuola e le sfide della
nuova società

E la scuola? La
scuola da sempre, da quando esiste  tratta, manipo­la conoscenze, in­formazioni;
il problema della comunica­zione è stato sempre cen­trale nel rapporto
insegnamentoapprendi­mento, per qualunque disciplina. Anche se in pratica la
scuola non ha fatto quasi mai uso di macchine nello svolgimento del suo compi­to
istituzionale.

     Due fatti,
dal nostro punto di vista, sono di particolare rilievo, nella società attuale.
Primo: le informazioni  hanno assunto questo ruolo di preminenza. Secondo: le
informazioni  sono trattate per via meccanica. L’uno e l’altro  potrebbero,
secondo alcuni, andare a modifi­care  nella sostanza il modo di lavorare nella
scuola o addirittura la struttura della scuola, intesa come luogo ove si
trattano informazioni.

     Accenno a
due tesi radicali. Andiamo per ordine. Nella società del passato la scuola era
pressochè l’unico luogo ove si trattavano informazioni. Oggi, essendo tutta la
società permeata di informazione, ha senso mantenere quel luogo specifico?
Qualcuno ha sostenuto che non ha più senso: ogni luogo è ormai scuola, ogni
persona può autoistruirsi senza l’intermediazione, talvolta pelosa, di strutture
ad hoc. Cioè l’autoistruzione è vista come una prospettiva concreta e
generalizzabile. Di qui il famoso invito, ormai in disuso, a “bruciare” la
scuola. Acqua passata.  Credo che sia anche superfluo dire che non siamo
d’accordo. Non è necessario neanche tirare in ballo i risvolti educativi. Si sa
che le conoscenze acquisite non in un sistema organizzato, restano, in genere,
frammentarie, isolate, spesso inutili oppure sopravvalutate. Gramsci, a questo
proposito,  aveva osservato che molte volte gli autodidatti sono inclini a
“fantasticare di paesi di cuccagna e di facili soluzioni di ogni problema”.

     Passiamo al
secondo punto: le informazioni vengono ormai sempre più spesso e più
diffusamente  trattate per via meccanica. Ciò potrebbe avere conseguenze sul
modo di far scuola o addirittura sulla struttura della scuola? Ecco un parere in
proposito. Leggiamolo assieme: “Una caratteristica fondamentale dei sistemi
educativi tradizio­nali, e di conseguenza anche di quelli attuali, è che essi
fanno perno, in misura radicale, su una persona adulta che si prende il compito
di istruire e educare per un certo periodo di tempo un certo numero di discenti:
l’insegnante. Il funzionamento, l’effi­cacia, l’efficienza del sistema educativo
dipendono in modo praticamente totale da questa persona, dalle sue qualità,
compe­tenze, motivazioni, disponibilità … … … … Un sistema educativo
adatto alle società complesse attuali richiede che l’educazione sia affidata in
misura considerevole a meccanismi o ambienti di autoeducazione , con i quali i
ragazzi possono interagire e apprendere senza il necessario intervento di un
insegnante. Le tecnologie  attuali, in particolare quelle infor­matiche, offrono
i mezzi per lo sviluppo di questi ambienti di autoeducazione” (Domenico Parisi,
Riforma della scuola, feb­braio 1988, anno 34, n.2). 

     Cioè, non
bruciamo le scuole, lasciamole dove sono. Ma senza insegnanti. Sostituiamo gli
insegnanti con le macchine.  Stiamo assistendo (ma anche questa proposta sembra
già aver perso parte del suo effetto “choccante”) a una nuova specie di
positivismo: un positivismo non più basato sulla scienza meccanicistica di fine
‘800, nè sulla enfasi logicistica  dei primi decenni del ‘900. Si tratta di un
positivismo da computer o se si vuole, con una terminologia più usuale, da
“intelligenza artificiale”. Ogni tanto succede. Quando l’uomo scopre uno
strumento o una legge nuova  o una tecnica che gli permette di risolvere una
classe di problemi a lungo vanamente aggrediti, ha la sensazione, e, almeno per
un po’,  l’il­lusione di essere ormai in grado di risolvere non solo quelli, ma
…  tutti i pro­blemi. Ora, dal fatto che il campo di applica­zione della
macchina computer sia in continua espansione, o, in altre parole, dal fatto che
si allunghi giorno dopo giorno la lista dei problemi affrontabili col computer,
qualcuno conclude che ogni tipo di problema si può o si potrà  risolvere col
computer.  

La scuola e le nuove
tecnologie

La nostra
proposta informatica non va certo nel senso delle tesi or ora esposte. La scuola
è una comunità educante. Educa “in uno” nel far partecipe il singolo individuo
della ricchezza culturale, del patrimonio accumulato dalla umanità. Opera
secondo le regole di un organizzato sistema di conoscenze, ma induce non   solo
conoscenze. Non abbiamo mai creduto e non crediamo che un mezzo tecnologi­co,
sofisticato quanto si voglia, sia in grado di sostituire l’in­segnante. Non
occorre dilungarsi su questo. Nemmemo riteniamo però che la scuola possa
ignorare la nuova realtà. La scuola  deve, a nostro avviso, farne propri gli
stimoli e le spinte, per indirizzarli secondo le finalità che le sono proprie,
e, in particolare, deve conoscere, acquisire ed, al caso, utilizzare i nuovi
strumenti culturali, che la società moderna ha a disposizione. Pure questo ci
sembra ovvio e non bisognoso di ulteriori considerazioni.

     In
particolare dell’informatica, tutti noi insegnanti,  dovremmo conoscere gli
elementi essenziali per  acquisirne un concetto preciso ed adeguato; per 
trasmetterne un concetto preciso ed adeguato; per  scegliere di utilizzarla  o
di non utilizzarla nel nostro insegnamento ordinario in piena   consapevolezza e
in piena autonomia professionale. La informatica è un fenomeno culturale
autentico, radicato, diffuso. Ci riguarda tutti,   come uomini di cultura, come
professionisti nel campo della infor­mazione, come educatori.  

Le basi del
progetto

Partendo da
queste premesse, abbiamo cercato di dare al nostro progetto una impostazione 
coerente con le finalità generali della scuola media, basata su questi punti:

– privilegiare
gli aspetti culturali su quelli tecnici;

– coinvolgere gli
insegnanti di tutte le discipline;

-far lavorare i
ragazzi sul computer secondo obiettivi didattici e formativi, comunque solo nel
caso in cui siano messi in grado di svolgere un ruolo attivo nei confronti della
macchina.

Conseguenze
immediate di queste scelte: non fare dell’informatica un insegnamento
specialistico, non avvalerci di insegnanti spe­cializ­zati, ma puntare invece
sugli insegnan­ti ordinari, che opereranno nello spazio ordinario del loro
insegna­mento. Così l’informatica può assumere le connotazioni di costante
culturale che attraversa tutte le discipline, ad uso e beneficio di tutte le
discipline. Obiettivo  minimo: far toccare con mano che il computer è una
macchina nè da demo­nizzare nè da mitizzare, ma da dominare come le altre
macchine costruite dal­l’uomo, al servizio dell’uomo, a benefi­cio dell’uo­mo.  

     Ma come è
possibile dare a tutti gli insegnanti, indipendentemente dalla disciplina,
l’opportunità di accostarsi all’informatica?  E come è possibile far accostare
all’informatica, ed in modo significativo e corretto, i ragazzi nonostante l’età
e nonostan­te le problematiche ben note della scuola dell’obbligo? Ecco l’idea
base: insegnare a rappresen­tare ed elaborare conoscenze (le conoscenze
ordinarie dell’am­biente scolastico) attraverso “frasi di italiano”. Tutto il
no­stro approccio informatico si basa sulla comprensione e la mani­po­lazione di
“frasi di italiano” piuttosto che su e­spressioni in astrusi codici simbo­lici.
Questo approccio è proponibile a tutti, perché: in tutte le discipline si
trattono conoscenze, si manipolano cono­scenze  ed in tutte le disci­pline il
codice di riferimento è la lingua naturale, l’italiano.

     Il mezzo
informatico da noi scelto è il PROLOG. Abbiamo  predisposto  del materiale
operativo per un iter completo, strutturato secondo un duplice scopo: che
potesse servire e per gli insegnanti (per acquisire competenza e sicurezza) e
per i ragazzi. In effetti i due approcci sono costruiti attorno allo stesso
materiale PROLOG, ma si differenziano per l’impostazione ed il tono generale.
Nell’approccio per gli insegnanti la informatica è presentata come un prodotto,
un frutto naturale della nostra cultura, come una sua naturale evoluzione: si è
cercato di inqua­drare i vari argomenti in una cornice di riferimenti
storico-culturali. Coi ragazzi invece si punta soprattutto sulle eccezionali
potenzialità della macchina, sul gusto di guidare, dominare una macchina così
potente, eppure così docile, flessibile, paziente ecc.

     Riassumendo,
a nostro avviso questo approccio: 

– favorisce una
continuità sostanziale fra scuola e mondo esterno, dove il   trattare
informazioni è ormai alla base del lavoro ordinario;

– è funzionale
agli specifici insegnamenti, ne rispetta metodi e   contenuti;

– ha una valenza
di transdisciplinarità nel senso piagettiano,   senza le forzature di cui la
prosopopea dell’interdisciplinarità ci ha allenati a diffidare.

Nel nostro
approccio il computer non è utilizzato (come usualmente avviene nel caso di
linguaggi informatici di altro tipo)  quale strumento rigido che guida
l’apprendimento lungo percorsi precostituiti  secondo la tecnica dell’istruzione
programmata, tecnica che in genere gli insegnanti rifiutano perchè basata su
teorie dell’apprendimento ormai superate. Il computer diventa invece, nel nostro
caso, un mezzo che contribuisce a creare un ambiente che stimola la ricerca,
l’approfondimento e quindi la creatività.

Proprio questo
aspetto del nostro progetto è stato sottolineato in un documento del Consiglio
d’Europa, edito in preparazione della Conferenza dei Ministri dell’Educazione
(avente per tema, Société de l’information et éducation) che ha avuto luogo a
Istanbul nell’ottobre di quest’anno:” A propos des didacticiels, on trouve
dans le rapport de Saint-Marin une remarque importante: beaucoup de didacticiels
s’inscrivent encore dans la ligne de l’ensignement programmé. Or
de nombreux enseignants acceptent difficilment des programmes d’apprentissage
établis d’avance. Des observations similaires faites dans d’autres pays
permettent de penser que des didacticiels de base lissant une place importante à
l’intervention flexible des enseignants seront souvent mieux acceptés et
utilisés
.”

Nello stesso
documento viene pure  sottilineato e con un certo rilievo il nostro sforzo che
mira a coinvolgere tutti gli insegnanti, indipendentemente dalla materia
insegnata.

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy