San Marino. Cinquantesimo dello Scautismo a San Marino: “Se si riuscisse a togliere quel velo di polvere …”

San Marino. Cinquantesimo dello Scautismo a San Marino: “Se si riuscisse a togliere quel velo di polvere …”

Il cinquantesimo dello Scautismo a San Marino, ricordi ed emozioni di Luca Giacomoni: “I ricordi si mescolano, si confondono, si sovrappongono, perché cinquant’anni sono tanti. Per tutti”

“Mi sono fermato, in una sorta di estasi. E la mente è corsa indietro, molto indietro, a quel lontano 1973, quando tutto ebbe inizio”

«Ma dai! Cosa vai a fare al cinquantesimo dello Scautismo a San Marino? Sono trent’anni che non frequenti più. Non conoscerai più nessuno. Dai, su…» mi ripetevo nei giorni precedenti l’evento.

«Forse proprio il tanto tempo trascorso dovrebbe spingerti a partecipare. Respirare ancora un po’ di “aria” Scout ti ricalerebbe in un ambiente che ti ha dato tanto e di cui porti ricordi stupendi» era la mia insistente risposta.

Quando mi sono affacciato sulla Piazza Grande di Borgo sbucando da una delle scalinate laterali, il cuore ha iniziato a battere forte. Un mare di camicie azzurre in continuo movimento si raggruppavano e disperdevano, fra urla e schiamazzi festosi. Bambini, ragazzi e adulti coprivano l’intera Piazza, chi impegnato negli ultimi frenetici preparativi, chi a scambiare due chiacchiere, chi a battere una pacca sulla spalla accompagnando il gesto con una sonora risata.

Mi sono fermato, in una sorta di estasi. E la mente è corsa indietro, molto indietro, a quel lontano 1973, quando tutto ebbe inizio. I ricordi si mescolano, si confondono, si sovrappongono, perché cinquant’anni sono tanti. Per tutti.

Il primo viso che riappare è quello duro e serio di Don Sergio: sembrava essere sempre in procinto di ammonirci per qualcosa che nemmeno sapevamo di aver fatto e invece nascondeva una dolcezza profonda e intima. Possedeva quella dote rara di trovare le parole adatte per farci inquadrare le cose dalla giusta prospettiva.

Poi, inevitabile, il sorriso rassicurante e invitante di Caffa‘, con il quale nulla sembrava potesse essere impossibile. Lui che riusciva a vedere oltre quelle nuvole che oggi accarezza correndo sulle cime delle sue amate montagne.

I primi campi, con gli zaini militari più grandi di noi, che se non stavamo attenti ci ribaltavano indietro.

La scoperta della Natura e di ciò che da quel momento in poi avrebbe iniziato a rappresentare: un Mondo di inesauribili scoperte e insegnamenti, da amare, proteggere, rispettare.

Le varie tecniche: per fare lo zaino, per accendere un fuoco, per risparmiare le forze, per fare i nodi e le legature, per arrampicare, per cucinare, per riflettere, per ascoltare, per valorizzare il fisico e la mente.

Per imparare a distinguere ciò che è buono da ciò che lo è di meno, ciò che aiuta tutti da ciò che favorisce solo me stesso. Per apprendere che condividere arricchisce molto di più che tenere tutto per se stessi.

Poi “l’Operazione Indipendenza”, quella attività nata per caso e trasformatasi in un cammino affascinante. Non è stato per superbia, è stato per mantenere un’identità e portarla con orgoglio in giro per il mondo, insieme a quella bandiera che mi fu data dai Capitani Reggenti in occasione della partenza per il Jamboree in Canada. Era il 1983.

Stavamo bene insieme all’AGESCI, ma saremmo per sempre stati “confusi” all’interno dell’Associazione italiana. Ci vollero 7 anni per l’associazione maschile e dieci per quella femminile, ma alla fine riuscimmo ad ottenere il riconoscimento dell’Associazione Scout di San Marino a livello mondiale. E da allora, quella bandiera issata per la prima volta quasi di nascosto, sventola a pieno titolo e diritto insieme ai vessilli di tutte le Associazioni Scout del mondo.

Guardavo quel mare blu e la testa non smetteva di ricordare. E più ricordava, più sentivo dentro me tornare a scorrere quelle emozioni, quelle sensazioni, quel pezzo di vita. Non ero più un estraneo. È vero, conoscevo pochi dei ragazzi che ora facevano parte dei tre Gruppi Scout di San Marino, ma non aveva alcuna importanza. No. Perché io sarei sempre stato uno di loro. Con o senza divisa. Con o senza fazzolettone.

Quando, al termine della serata, abbiamo rinnovato la Promessa, tutti in piedi porgendo il saluto, ho capito che quelle parole e quei simboli che per vent’anni avevano rappresentato una delle parti più importanti della mia vita, erano profondamente radicati in me. Era solo necessario togliere un pochino di polvere, per far tornare tutto alla luce. Le tre dita alzate a indicare i tre punti della Promessa e il pollice ripiegato sul mignolo a rappresentare l’aiuto del più grande verso il più piccolo, le parole che tutti insieme, come fossimo un’unica grande voce, stavamo pronunciando, non avevano nulla di strano, di lontano, di scontato.

Mi stavano dimostrando che quei valori che avevo vissuto e condiviso erano vivi e avrebbero dovuto continuare a guidarmi. Con essi mi sarei dovuto confrontare e da loro mi sarei dovuto far ispirare.

«Chissà come sarebbe il mondo se tutti, specie coloro che sono stati Scout in passato, riuscissero a togliere quel velo di polvere che ricopre quei sentimenti?» mi sono chiesto, infine. «In fondo, basterebbe rinnovare la Promessa, facendo il saluto».

Luca Giacomoni

 

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