San Marino. Delega al governo per decidere gli stipendi dei magistrati

San Marino. Delega al governo per decidere gli stipendi dei magistrati

La materia, che avrebbe riserva di legge, pone degli interrogativi sulla reale separazione dei poteri

ANTONIO FABBRI. Se la retribuzione di un giudice, di un commissario della legge, di un inquirente, di un giudice di grado superiore, di magistrato dirigente viene stabilita dal governo, che magari decide come prevedibile di aumentare gli stipendi anziché diminuirli, verso chi è presumibile che chi esercita la giurisdizione possa avere un occhio di riguardo? Ovvero, verso il comune cittadino che magari dai membri del Congresso di Stato è stato citato in giudizio, o verso chi gli ha stabilito una gratificante remunerazione?

Ovvero, verso il comune cittadino che magari dai membri del Congresso di Stato è stato citato in giudizio, o verso chi gli ha stabilito una gratificante remunerazione?

Oppure, avrà più considerazione per il governo, che gli ha ritoccato al rialzo lo stipendio, o verso i suoi avversari politici? Interrogativi legittimi, a prescindere che gli aumenti siano magari visti come necessari, ponderati o richiesti dal dirigente, dal consiglio giudiziario, dagli organismi preposti alla luce delle esigenze organizzative contingenti.

Interrogativi legittimi a prescindere dall’integerrimo contegno dei giudici. D’altra parte, a rilevare in Consiglio questa anomalia, puntando proprio il dito sul decreto delegato per gli stipendi dei togati, sono stati in diversi. E non è neppure un caso che la Legge Qualificata numero 2 del 2011 all’articolo 2 stabilisse già che “Il trattamento retributivo dei Magistrati è stabilito dalla legge ordinaria”. Quindi non con decreto delegato fatto dal governo, bensì con legge ordinaria fatta dal parlamento. Questo affinché sia il parlamento tutto, espressione di tutta la cittadinanza, di tutte le forze politiche, a stabilire quanto i giudici debbano guadagnare.

Non va bene, invece, che lo stipendio sia la concessione del potere Esecutivo, espressione di una sola parte, che così finirebbe per ingraziarsi, più di quanto non faccia già, il potere giudiziario. Il ragionamento è semplice, ma evidentemente volutamente ignorato. Tanto che così recita il comma 32 dell’articolo 7 “milledeleghe” della legge di bilancio: “Al fine di preservare l’indipendenza e l’autonomia della funzione giurisdizionale, tenuto conto dei recenti interventi normativi in ordine alle competenze attribuite alle diverse figure che compongono la Magistratura, è dato mandato al Congresso di Stato di adottare, entro il 30 giugno 2023, decreto delegato finalizzato alla revisione del trattamento retributivo dei Magistrati”.

Dunque, come accaduto altre volte, si pone il principio e, dicendo che si ha intenzione di preservarlo, si stabilisce di provvedere in in senso contrario al diritto da salvaguardare. Come se si dicesse: allo scopo di preservare il verde e gli alberi, gli diamo fuoco. Non si salva neppure l’apparenza. In estrema sintesi è il governo a stabilire, aumentando gli stipendi, quanto dovranno essere pagati i magistrati, in particolare, pare di capire dal generico comma, quelli dei gradi superiori. Dopo diventa difficile darla ad intendere, quando il governo con delibera dà mandato all’avvocatura dello stato di denunciare un cittadino, che le parti abbiano lo stesso peso e la stessa dignità davanti al giudice, il quale si può dubitare sia un po’ meno terzo dato che il governo gli ha stabilito lo stipendio, pagato, beffa delle beffe, anche con i soldi di quei cittadini che magari sono stati denunciati.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente il giorno dopo

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