San Marino. Riciclaggio Vip, Nerozzi verso l’assoluzione in appello. Scatta il dilemma confische

San Marino. Riciclaggio Vip, Nerozzi verso l’assoluzione in appello. Scatta il dilemma confische

Rassegna Stampa – Chiesto l’intervento del Collegio garante per valutare la legittimità costituzionale dell’articolo 147 del codice nella parte in cui non prevede la confisca del denaro illecito seppure non da “misfatto”

ANTONIO FABBRI. Verso l’assoluzione in appello per Marco Nerozzi, come si evince da una ordinanza del giudice David Brunelli che nel trasmettere il fascicolo al Collegio Garante per una questione di costituzionalità, anticipa la propria determinazione che si sostanzierà nella sentenza una volta che i Garanti si saranno pronunciati sulla questione sollevata, che lascia tra l’altro in sospeso la questione confische. Il caso era stato definito il “riciclaggio dei Vip”, perché l’accusa era mossa nei confronti di Delia Duran e Marco Nerozzi, ex coniugi, lei nota anche per avere, tra le altre cose, partecipato al Grande fratello Vip, lui manager del settore”.

I due erano accusati perché “in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo programma criminoso, trasferivano ed occultavano, su rapporti personali accesi presso la Euro Commercial Bank, la somma di 1.487.868,19 euro e la somma di 538.362,28 dollari, provento del reato di sfruttamento della prostituzione”.

In primo grado il commissario della legge Simon Luca Morsiani aveva condannato Nerozzi per il riciclaggio “sul presupposto della provenienza da misfatto della provvista” e allo stesso tempo aveva assolto la Duran per insufficienza di prove in ordine al dolo. Aveva allo stesso tempo ordinato l’integrale confisca delle somme sequestrate. La sentenza di primo grado è stata quindi impugnata da Nerozzi per il tramite del suo avvocato, Rossano Fabbri.

L’appello Il 28 settembre scorso si è celebrata l’udienza di appello nella quale il difensore ha chiesto l’assoluzione sostenendo che il denaro non fosse di provenienza illecita. “Si tratta di compendi totalmente leciti, frutto di attività lecite”, aveva sostenuto il difensore Rossano Fabbri in udienza. Il Giudice Brunelli nel valutare le memorie di appello ha ritenuto che quanto all’origine “da misfatto” del denaro ritenuto illecito, “non sia stata raggiunta la piena prova”.

Il giudice delle appellazioni focalizza la riflessione sul fatto che la norma incriminatrice sammarinese preveda la provenienza da “misfatto” e non da un illecito generico. Distinzione fondamentale per il giudice sulla quale solleva, poi, anche l’eccezione di costituzionalità. Per il giudice Brunelli, infatti, è “da escludere che le somme introdotte a San Marino nel 2010 e nel 2012, di cui al capo di imputazione, siano quelle derivanti dal reato per il quale il Nerozzi ha riportato condanna nel 2004”, cioè lo sfruttamento della prostituzione. “Nondimeno – aggiunge però il giudice – sussistono i numerosi indici di illiceità circa la provenienza delle stesse”.

In sostanza per il giudice non vi è prova della provenienza specifica “da misfatto”, come richiede la norma incriminatrice, ancorché la provenienza possa essere ritenuta illecita. Dice infatti il giudice che il modus operandi contestato all’imputato non è “compatibile con la disciplina rigida che da alcuni anni San Marino si è data, in linea con la normativa dei principali Stati europei e dell’Unione europea, concernenti il necessario monitoraggio delle transazioni e dei commerci, in contrasto con i criteri di liceità della circolazione del denaro dettati dalle Convenzioni internazionali in materia. Ciò non significa – aggiunge però il giudice – che si possa processualmente affermare al di là di ogni ragionevole dubbio che il denaro posto sotto sequestro e quello movimentato dalla coppia Nerozzi-Duran Perez sia di provenienza da «misfatto» e, segnatamente, da sfruttamento della prostituzione. Il criterio logico-indiziario della “analogia operativa” impiegato dalla sentenza appellata, se può supportare la conclusione che il denaro non sia di provenienza lecita, non riesce a sostenere plausibilmente che l’illiceità derivi dalla previa commissione di misfatti. Di tali specifici reati, infatti, non vi è alcuna traccia”.

L’assoluzione annunciata Quindi per il giudice di appello il fatto che il denaro derivi da «misfatto» resta una ipotesi non provata. “Il requisito di tipicità presente nella fattispecie di cui all’art. 199 bis del codice penale – spiega il giudice – richiede, se non la precisa individuazione del misfatto-fonte, quanto meno l’enucleazione di fatti di reato qualificabili come misfatti (e non contravvenzioni o illeciti amministrativi) ragionevolmente identificabili come commessi in un determinato lasso di tempo e in un determinato territorio dall’autore del riciclaggio o da altro soggetto. Né la circostanza che – come più volte affermato – la stessa commissione del riciclaggio rende impossibile la precisa individuazione del misfatto-fonte, a testimonianza che l’obiettivo del nascondimento e della frapposizione di ostacoli è stato raggiunto, può tuttavia legittimare la conclusione che sia sufficiente l’evidenza di movimentazioni sospette e prive di giustificazione per ritenere provata l’origine da misfatto della provvista. Poiché il legislatore sammarinese, a differenza di altre legislazioni, àncora alla specifica provenienza da «misfatto» delle somme la realizzazione del reato, non è consentito basarsi su una sufficientemente provata provenienza illegale o illecita delle stesse per ritenere commesso il reato di riciclaggio. La scelta legislativa, al di là della selezione che comporta, refluisce sullo standard probatorio del reato presupposto e sulla sua individuazione come fatto storicamente avvenuto”.

Dunque il giudice conclude “che, sebbene si possa affermare che le somme oggetto del capo di imputazione siano di origine non lecita, non è neppure processualmente provato il presupposto del contestato misfatto, consistente nella provenienza delle somme da misfatto. Per tale ragione la sentenza appellata deve essere riformata nella parte in cui afferma la responsabilità penale di Marco Nerozzi, perché non consta abbastanza che le somme provengano da misfatto”. Il giudice quindi conclude che, pur potendo essere ritenute le somme di origine non lecita, non è provato che provengano da misfatto, quindi l’imputato va assolto.

Sorge a questo punto il “dilemma” della confisca. Infatti, non trattandosi di somme di provata origine da “misfatto”, seppure illecita, il giudice rifacendosi alla lettera della legge dell’articolo 147 c.p., relativo alla confisca appunto, solleva il dubbio sulla confiscabilità di quel denaro che, ancorché illecito, non proverrebbe da “misfatto” e quindi “irrazionalmente” non confiscabile.

L’eccezione di costituzionalità Le conclusioni del giudice Brunelli denunciano, così, una carenza normativa, che si potrebbe porre in contrasto con gli orientamenti sovranazionali dettati, tra gli altri, dalla Cedu.

Di qui deriva, dunque, l’eccezione di costituzionalità sollevata d’ufficio. “Sfugge allo scrivente – conclude infatti il giudice Brunelli – non solo la ratio di un siffatto criterio selettivo, che detta una disciplina rigorosa unicamente per i beni di provenienza da «misfatto», ma anche la sua base di legittimazione, posto che tutte le convenzioni internazionali in materia hanno inteso consacrare il principio operativo secondo il quale il crimine (quale esso sia) non può pagare e qualunque tipo di ricchezza illecita non può circolare, a prescindere dalla punibilità del fatto che l’ha generata e dalla punibilità in concreto della sua circolazione. L’irrazionale distinzione fra misfatto e altre tipologie di illeciti (reato contravvenzionale, illecito amministrativo, contabile, civile) come fattori produttivi di ricchezza abusivamente generata sembra tracciare una inammissibile lacuna nell’ordinamento sammarinese”.

Quindi Brunelli chiede il vaglio di costituzionalità dell’articolo 147 per “l’intrinseca irragionevolezza della restrizione nell’applicazione dello strumento della confisca” oltre che per il contrasto “con l’art. 1 della dichiarazione dei diritti nella parte in cui impone il recepimento nell’ordinamento” di norme e convenzioni sui diritti fondamentali.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 23

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