IL CONTESTO ZONALE

IL CONTESTO ZONALE

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IL CONTESTO ZONALE
 
 
La nuova invasione di CarpegnaL’11 giugno 1749, l’impero torna ad invadere Carpegna da dove si era ritirato nel 1741.
Le “mire” dell’imperatore, “non si fermano nei sassi della Carpegna e di Scavolino”, pensa il papa. Ed allarma, prontamente le corti delle grandi potenze sperando che intervengano in suo aiuto. Corti cui lo stesso papa fa pure prontamente sapere che è già partita una rivendicazione imperiale su alcuni luoghi della Repubblica di San Marino: i castelli ex malatestiani di Serravalle, Fiorentino e Montegiardino. Lo Zampini valuta la informazione errata in quanto ai nomi dei luoghi (su quelli nominati, a suo dire, l’impero non potrebbe accampare alcun pretesto giuridico), e fa l’ipotesi che, in effetti, nelle mire dell’imperatore ci siano Casole, Penna Rossa e Fiorentino, sulla base del diploma di investitura concesso da Ottone I ai Carpegna nel 962.
Anche se il diploma ottoniano è notoriamente falso, dice lo Zampini, insomma “Apocrifo, … una Cartaccia fatta da un Impostore”, non ci si può illudere che gli imperiali non lo vogliano applicare, potendo affiancargli un altro diploma, “il Diploma della forza”.
Di fronte a prospettive così fosche la Santa Sede reagisce colle armi del diritto (non potendo, nel Settecento, opporsi con la forza). Subissa le principali corti europee di relazioni storico giuridiche a sostegno dei suoi diritti. Inviata una relazione, ne mette in cantiere subito un’altra più vasta, più approfondita, più ricca di documenti, come se bastasse un nuovo ragionamento brillantemente espresso da qualche erudito o una polverosa pergamena rinvenuta in chissà quale sperduto archivio per far sì che Vienna ritorni sulle sue decisioni, accantoni quel programma di espansione. In giro per gli archivi a cercare documenti, già in luglio, il papa spedisce lo studioso Giuseppe Garampi.
Il 9 luglio Garampi preannuncia all’amico Olivieri il suo arrivo, a giorni, a Pesaro, da dove proseguirà subito per Rimini. Nasconde lo scopo del viaggio dietro ad una visita al fratello. Ma anticipa: bisogna riserbare “ad altro tempo la nostra villeggiatura”. Durante il viaggio fa tappa a Narni, a Loreto, a Senigallia. Non sale a Novilara dove l’Olivieri villeggia. E’ l’Olivieri a scendere a Pesaro. Poi via a Rimini. Da Rimini si raccomanda all’Olivieri: vi prego di “scrivere con qualche bel mezzo termine al P. Ab. Ginanni e farvi trasmettere quante notizie hà sopra Carpegna”.
 
Una ricerca, ossessiva, del documento anticoChe possa bastare un pezzo di carta rinvenuto chissà dove per risolvere una controversia fra Stati, fa parte di una mentalità alquanto diffusa nell’epoca. Ma, nella curia papale, in quel periodo, sotto il pontificato di Benedetto XIV, si arriva a sfiorare il parossismo.
A Roma si sparge all’improvviso la voce che nei nuovi statuti di Pennabilli – il cui contado confina con le contee di Carpegna – stilati da Anton Maria Zucchi Travagli, si accennerebbe a questioni giurisdizionali collegate all’“Istrumento di vendita del luogo di S. Lorenzo seguita già fin dall’anno 1269 fra il Conte Lamberto di Carpegna, e la Terra della Penna”; e che sarebbero state “fatte risorgere le ragioni, e prerogative di tale acquisto nella persona del Confaloniere, o sia Capo di quella Comunità”, attraverso la “menzione del divisato Istrumento”.
Il povero Zucchi che lavora a Pesaro come “coadiutore al decrepito Dott. Ronconi nel posto di Uditore della Legazione” è immediatamente convocato a Roma. Interviene il Presidente della Legazione, mons. Stoppani. Garantisce lui per lo Zucchi. Lo Zucchi è persona affidabile. Le cose non stanno assolutamente così. Nei nuovi statuti di Pennabilli non si parla affatto di quella vendita né vi è alcunché di pregiudizievole per la Santa Sede. Fra l’altro “la sola e unica copia” dei nuovi statuti trovasi a Roma dove è stata “trasmessa per impetrarne l’approvazione di S. Santità, non rimanendone alcun altro documento che l’informe autografo in mano dello stesso Uditore Zucchi”. Quanto alla vendita del “Luogo di S. Lorenzo”, mons. Stoppani riferisce che Zucchi gli “ha asserito, ignorarsi da Lui, se nell’Archivio della Penna, o altra parte conservasi l’Originale dell’Istrumento prefato, giacchè la notizia ch’egli n’avea, non ha potuto trovarla, che da qualche Manoscritto di un suo Concittadino”.
Al che papa Benedetto XIV, attraverso il Segretario di Stato, ordina l’inoltro immediato a Roma: 1) della pergamena del contratto di compravendita che comunque va trovata; 2) di tutte le eventuali copie della stessa pergamena; 3) degli scritti che vi fanno riferimento; 4) di tutte le eventuali copie degli statuti di Pennabilli, qualora ve ne fossero, oltre a quella già mandata a Roma; 5) dell’abbozzo informe di tali statuti in mano allo Zucchi Travagli.
E Zucchi Travagli nel giro di un mese o poco più riesce a soddisfare tutte le richieste romane compresa quella del rinvenimento e della spedizione della tanto ricercata “Pergamena dell’Istrumento della Vendita del Sito di S. Lorenzo alla Città della Penna”.
San Lorenzo: quattro case e una chiesetta sulla strada Pennabilli-Carpegna, all’altezza del bivio per Scavolino.
 
San Marino fa la sua partePure San Marino, di fronte a tanto impegno da parte della corte romana, si mette in moto. Cioè organizzerà delle ricerche. Ricerche necessariamente delimitate dai quattro muri del proprio archivio.
La Santa Sede ha ingaggiato Garampi. San Marino si avvale di Annibale degli Abbati Olivieri, amico e maestro del Garampi.
San Marino, secondo l’abate Marino Zampini, Agente della Repubblica a Roma, deve farsi sentire “con proteste, e con altri Atti, perché non venghino pregiudicati i diritti incontrastabili della Rep.ca sopra gli accennati Castelli, ed infine per far udire a Roma, che dal canto nostro si è fatto tutto quello, che si è potuto”. Insomma che non si è complici dell’impero. Anzi, in questa occasione, bisogna allearsi con la Sante Sede contro l’impero in quanto “quest’affare non interessa meno noi, che la S. Sede”.
Bisogna, a suo parere, muoversi di conserva con la Santa Sede. In pratica devono procedere di conserva gli esperti, vale a dire Garampi e Olivieri.
Dunque nell’estate del 1749 anche l’Olivieri deve abbandonare la sua villeggiatura a Novilara, cui è tanto affezionato – e dove è uso ‘oziare’ da giugno a ottobre – per salire sul Titano. Lunedì 18 agosto 1749 l’Olivieri è sul Titano. Il Garampi, che in quei giorni si trovava a Pennabilli – ove è di casa avendo suo fratello sposato una del luogo – come sa dell’arrivo dell’Olivieri sul Titano, non perde l’occasione per recarvicisi pure lui, verso la fine della settimana. Pure lui si sistema, probabilmente, in casa Belluzzi. Vi rimarrà qualche giorno. Quasi certamente è a San Marino anche quel lunedì 25, quando l’Olivieri principia l’“Indice”.
Il Garampi riprenderà poi il suo peregrinare di archivio in archivio. Macerata Feltria, Urbino.  All’occorrenza esibisce lettere di presentazione dell’Olivieri, per meglio celare sotto una motivazione accademica lo scopo politico della sua ricerca. Da Urbino passa a Urbania, poi a Cagli, poi a Gubbio dove visita almeno tre raccolte. Poi Città di Castello. Il 9 ottobre ricompare a Pennabilli da dove scrive all’Olivieri per comunicargli che transiterà per Pesaro, ma avrà bisogno di fermarsi, prima, “15 ò 20 giorni a Rimini”. E, dopo Pesaro, preannuncia già che dovrà portarsi “sollecitamente a Roma”. Ma i tempi si allungano. A Rimini rimane fino alle festività di inizio novembre. Probabilmente lì gli arriva molto materiale anche dagli altri archivi della Romagna, soprattutto da Ravenna. Anche Zucchi Travagli dà il suo contributo mandando a Rimini da Urbino cose “della Carpegna, ma altresì del Montefeltro”. La tappa di Pesaro diverrà brevissima: “Io vorrei potermi pur trattenere costà lungo tempo con voi, ma ben sapete se mi preme di tornare presto a Roma”.
 Dalla fretta alla frenesia. I rapporti con l’impero stanno precipitando. Il nunzio a Vienna dopo mesi di anticamera finalmente, verso la fine di agosto, è stato ricevuto dall’imperatore. Un doccia fredda. Le previsioni più pessimistiche del papa sono state confermate dall’imperatore in persona che, apertis verbis, ha giustificato “i provvedimenti da lui presi in Scavolino e Carpegna col solenne giuramento impostogli dai principi tedeschi nella sua elezione di recuperare cioè con tutta l’energia tutti i feudi imperiali in Italia”.
Insomma l’imperatore andrà avanti. Deve onorare un impegno. Onorerà quell’impegno.
Ecco perché il Garampi ha tanta fretta di rientrare a Roma. Giunto a Roma si mette a selezionare il materiale raccolto per stendere un primo rapporto da presentare al papa, cui seguirà la dissertazione per la corte di Vienna e le altre corti. Fra il materiale, il Placito. Nel vagliare il testo del Placito, trascrittogli dall’Olivieri, tenendo sottocchio i cataloghi pontifici più recenti, in primo luogo del Pagi, si accorge che “l’anno del papa” è “sbagliato”. Di qui la pronta lettera all’Olivieri con la segnalazione. Ma non gli dice di non pubblicarlo.
 
Attualità del PlacitoIl contenuto del Placito è sintetizzato così dallo stesso Olivieri: “Giudicato … in una causa tra Deltone Vescovo di Rimini, e Stefano Prete e Abate del Monastero di S. Marino, sopra la pertinenza di alcuni beni”.  Fra i beni di cui viene riconosciuto a “Stefano Prete e Abate del Monastero di S. Marino”, cioè alla comunità sammarinese, il legittimo possesso, ci sono le
località di Casole (fundo Casole) e Fiorentino (Fundo Florentini Maiore et Minore).E ciò già dall’885 cioè assai prima che venga rilasciato il diploma di investitura ai Carpegna, datato 962. Ed è un possesso classificato – già nell’885 – ab immemorabili: namfra quadraginta, nec namfra quinquaginta, neque namfra centos annos.Ed è un possesso legittimo, in quanto Stefano afferma: abeo et teneo ipse suprascripte res ad iure sancti Marini confessoris domini nostri Jesu Christi.Da sottolineare quell’ad iure che fa del Placito un documento perfettamente allineato con la tradizionale posizione politica della Repubblica resa manifesta da Matteo Valli nel 1633 ed, in particolare, con il testamento del Santo edito nel 1717, come ha messo in evidenza Francesco Balsimelli.
Di qui l’interesse – oltre a quello accademico dell’Olivieri – dei sammarinesi e della stessa Santa Sede a diffondere quanto prima il Placito che, sul piano del diritto, andava a contrastare, così opportunamente, le mire dell’imperatore.
 
Oltre al Placito, il RotoloIl Placito non è l’unico documento eccezionale che l’Olivieri scopre in quel paio di settimane della seconda metà di agosto passate a San Marino. Ne porta alla luce un altro (cui in seguito sarà attribuito l’anno 1296) per certi versi ancor più eccezionale del Placito o comunque più eccezionalmente funzionale al momento politico: il rotolo del processo di Valle Sant’Anastasio. L’Olivieri ne riassume così il contenuto: “… è un esame di testimoni fatto avanti un Abate giudice …. Da questo esame si rileva che godeva allora la Comunità di S. Marino una piena libertà, e che pretendeva di averla goduta fino dai tempi di S. Marino e che si facevano vedere dei Privilegi Papali e Imperiali dati a S. Marino e autorizzanti questa libertà….”.
I testimoni, di fronte ad una richiesta di pagamento di un certo tributo, sono pressoché unanimi nell’affermare – in primis un prete di nome Pagano – essere il loro castrum… liberum et absolutum per privilegium concessum Beato Marino a Sancta Felicissima… a tempore quo… venit de Dalmatia, per cui essi, eredi del Santo, non si sentivano vincolati a nessuna autorità terrena: nemini teneri… nisi Domino nostro Jesu Christo.Siamo verso la fine del Duecento. L’abate-giudice si sbilancia in domande alquanto singolari, in quanto fuori dalla mentalità ordinaria nel mondo medioevale. “Certamente era un sottile intelletto scolastico” osserva G. B. Curti-Pasini, dato che “con un curioso interrogatorio, fece passare un esame di filosofia ai malcapitati testi” con domande del tipo: Quid est libertas?“E’ raro trovare in fonti medioevali, in documenti duecenteschi, testimonianze di questo genere” ha detto Carlo Dolcini. Che continua: “Confesso che ho cercato e continuerò a cercare senza molte speranze, se questo risposto giudiziale del prete Pagano, oltre ad essere una sua convinzione personale, derivasse da qualche proverbio o da qualche detto o da qualche aforisma basso-medioevale. Può anche darsi che sia così. Ma mi fa piacere qui rilevare che per la prima volta ed in anticipo rispetto agli altri luoghi dell’Italia centro-settentrionale e verso la fine del secolo XIII, almeno una persona, e forse non una sola nel castello di San Marino, aveva una convinzione, riguardo al termine libertas, lontanissima da quella che si poteva pensare o affermare nei secoli precedenti”.
 
Singolarità dei rinvenimenti oliverianiHa scritto Paul Aebischer: il Placito Feretrano è “un testo importante per la storia della Romagna e del Montefeltro in generale e per la storia di San Marino in particolare. Questo testo è stato conosciuto dagli studiosi soltanto da circa due secoli. Se il più antico storico sammarinese, Matteo Valli, che pubblicò nel 1633 una opera intitolata ‘Dell’origine et governo della Repubblica di San Marino’, si sofferma sugli atti del santo, menzionando una carta del 15 dicembre 1100, un falso del dicembre del 1170 ed un documento del 18 dicembre 1375, tuttavia egli non ci dice una parola del Placito: se fosse stato al corrente della sua esistenza l’avrebbe citato”. L’avrebbe citato anche perché il Placito aggiungeva qualcosa di nuovo riguardo alla vertenza su Pennarossa allora nell’occhio del ciclone  e che tanto spazio occupa nel suo libretto.
Certo è strano che prima dell’Olivieri nessuno abbia visto il Placito e nemmeno il Rotolo. Nei decenni precedenti all’esplorazione dell’Olivieri quelle carte erano state voltate e rivoltate più volte ed anche da personaggi di primo piano, eccellenti, colti. Erano state passate al setaccio fino da uomini navigati come il card. Alberoni, eruditi come mons. Enriquez, scaltri e smaliziati come il Bianchi, appassionati e con tempo da spendere come il Gentili, o da interessati, direttamente interessati in quanto sammarinesi, come lo Zampini. Nessuno ha visto quei documenti. E nemmeno si sa di qualcuno che abbia detto di averli visti prima dell’Olivieri ma di non avervi dato peso.
 

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