LA DATA

LA DATA

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LA DATA
 
Difficoltà sulla dataL’Olivieri – non sappiamo se partendo dagli imperatori di nome Carlo o dai papi di nome Adriano – ricava un anno. Che poi corregge in 885. E non si tratta di un errore materiale: analoga correzione circa l’anno – anch’essa di pugno dell’Olivieri – la si trova a fianco della trascrizione del Placito conservata nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro.
Di questa difficoltà nell’attribuzione della data al Placito c’è traccia in una lettera del 15 novembre dello stesso 1749 spedita da Giuseppe Garampi all’Olivieri: “Tutti i Cataloghi Pontificj Colbertini, e Vaticani concordano che dopo GioVIII successe Marino che sedé per circa un anno e 5 mesi. Da quanto osserva il Pagi è indubbitabile che Gio VIII morì sul fine dell’A. 882. e abbiamo una … sua Bolla data in quest’anno 10 Kal. Iunii. Onde per conseguenza bisogna collocare la morte di Marino circa il Maggio dell’884. Amalrico così scrive. Martinus II. A. 882 sedit A-1. mens. 5. vacavit sedes ap.lica per duos dies Carolo Imp.e tunc regnante. Adrianus III. A. 884 vel 885 sedit A. 1. mens. III. Carolo Imp.e.”. Dalla lettera del Garampi si evince che il papa di nome Adriano è stato individuato in Adriano III, durante il cui pontificato lo scettro imperiale era in mano a un personaggio di nome Carlo. Si tratta di Carlo il Grosso. Si sa dalla storia che Carlo il Grosso ha ricevuto lo scettro imperiale nell’881. Il suo quinto anno di ‘imperio’ cade perciò nell’885. Questo dunque, 885, è l’anno di stesura del Placito in base agli imperatori. I pontefici che – secondo le conoscenze attuali – si succedettero sulla cattedra di San Pietro a partire dall’881 furono: Giovanni che morì nell’882 (16 dicembre), Marino I che morì nell’884 (15 maggio) e, finalmente, Adriano III. Adriano III è salito sulla Cattedra di San Pietro nel maggio dell’884. Per cui il suo tertio anno di pontificato, indicato nel Placito, cade oltre quell’885 che si era ricavato sulla base degli imperatori. Insomma il risultato del conteggio degli anni effettuato sulla base degli imperatori non coincide con quello effettuato sulla base dei pontefici. Le date relative all’imperatore Carlo il Grosso, 881-887, si davano per certe verso la metà del Settecento. “Onde – conclude il Garampi nella sua lettera all’Olivieri – m’induco a credere facilmente che nel vostro Placito l’anno del Papa sia sbagliato”.  
E non aggiunge altro, giustificandosi col dire: “L’ora è tarda, non mi posso più dilungare. Addio”.
Ma poi il giovane Garampi, o perché non è proprio così tardi come aveva fatto intendere, o perché gli dispiaceva lasciare l’amico-maestro in ambasce, aggiunge: “Di simili errori io ne hò notati alcuni nell’Archivio del Mutino, e nel secreto di Gubbio”.
 
Garampi, lo specialistaL’errore – insanabile – riscontrato dal Garampi è di per sé sufficiente a stroncare la vita del Placito ancor prima che il documento muova i primi passi. Anche perché viene da persona autorevole e competente. Il Garampi, benché molto giovane – ha appena 24 anni – gode già di una grande considerazione fra i dotti della “Repubblica Letteraria”, guadagnata proprio nella materia specifica in questione, quella della cronologia. Ma il Garampi non affonda. Non dice che il documento è falso. L’Olivieri nel fargliene pervenire la trascrizione, probabilmente, non ha avanzato un tale sospetto. Invece su altri documenti dell’archivio sammarinese, rinvenuti nella stessa occasione del Placito ed a suo giudizio non autentici, chiede al Garampi la conferma o la smentita di quella sua prima personale valutazione. Ed il Garampi, riguardo a tali documenti, non ha remore a pronunciarsi: “Le carte … di quel Salimbeni Notajo del 1170 tenetele pure per apocrife”.
Sull’autenticità del Placito il Garampi non si pronuncia perché, probabilmente, l’Olivieri non lo ha investito della questione. L’Olivieri pare non avere dubbi sul Placito. Tanto che prova a difenderlo anche dall’errore riscontrato dal Garampi. Non dà per scontato che “l’anno del Papa sia sbagliato”. Insinua che a sbagliare potrebbero essere gli storici nel collocare l’inizio del pontificato di Adriano III nell’884 anziché l’anno prima. Ma Garampi non ci sta. Su questo si mostra inflessibile. Quasi duro: “E’ difficile poter ritirare la creazione di Adriano 3° all’Anno 883, se non vogliamo sbagliati tutti i Cataloghi che danno un anno e 5 Mesi di Pontificato a Marino. Giacche Gio.VIII. morì sul fine dell’882, e sul principio dell’883 l’Imp.e né ricevè la nuova. A lui successe Marino, che per conseguenza deve esser morto nell’anno 884 come meglio potete vedere nel Pagi ”.
 
I miracoli della ‘prolepsi’Poi però il Garampi sembra offrire all’amico-maestro Olivieri il modo per uscire dignitosamente dall’impasse. Già il 6 dicembre gli scrive: “Sul fine del primo capo della mia Dissertazione vedrete vari esempi di computazioni proleptiche nel IX secolo, tanto ne’ scrittori che ne’ Diplomi Imperiali … era uso allora comune”. Insomma cita una sua opera, un’opera specialistica di numismatica e cronologia, uscita all’inizio di quello stesso anno, che potrebbe essere di qualche utilità.
Non è facile seguire il ragionamento del Garampi in quanto si basa su “Cataloghi Pontificj” che erano proprio allora in formazione in conseguenza del grande impulso dato a quel tipo di ricerca dal papa, Benedetto XIV. Diventa ancor più difficile seguirlo passo passo in queste dotte disquisizioni espresse nella terminologia specialistica allora in uso nei ristretti circoli della Repubblica Letteraria. Se ne può cogliere il senso. Quello di un suggerimento prezioso, importante – risolutivo? – che il Garampi avanza all’Olivieri. E che l’Olivieri, probabilmente, coglie visti i ripensamenti sulla data di cui è rimasta traccia a San Marino e a Pesaro.
Non risulta, al momento, che il Garampi si sia pronunciato sul Placito in sede diversa da quella della corrispondenza privata con l’Olivieri. Certamente però ha contribuito a diffonderlo, avvalorandone così anch’egli, sia pure indirettamente, l’autenticità. Lo riceve da lui, ad esempio, Giovanni Battista Contareni, erudito feretrano, un domenicano di origine veneziana, portato in diocesi dal vescovo Crisostomo Calvi, pure lui domenicano e pure lui di origine veneziana. Come il suo vescovo benefattore, che tanta parte ebbe nella vicenda alberoniana, ha il dente avvelenato coi sammarinesi. Del Placito pubblicherà solo un brano, quello relativo alla datazione. Accanto all’anno tertio di papa Adriano apre una parentesi e affonda: “Hic cubat error”.
E’ vero.   L’errore c’è.
Nel febbraio dell’885 Adriano III non aveva ancora completato il primo anno di pontificato, in quanto era salito sulla Cattedra di San Pietro non prima del maggio dell’884. Quindi nel Placito avrebbe dovuto essere scritto primo anziché tertio. Ma il Contareni di fronte all’autorità di un Garampi non può andare oltre. E non va oltre. Colpirà poi la Repubblica sviluppando altri aspetti, appena sfiorati dal nipote del vescovo Calvi, Pietro Antonio Calvi, nel 1738-39, quando, in un segreto ‘religioso’, si stava preparando il colpo alberoniano.
 
 
 

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