RASSEGNA STAMPA
Leggo sempre con molto interesse il trafiletto settimanale del Prof. Marino Cecchetti.
Gli approfondimenti di ogni lunedì, da luglio in avanti, sull’Accordo di Associazione con l’Unione Europea sono però costellati di errori storici e lacune che mi hanno spinto a scrivere quanto segue.
Le tesi che il Professore pare sostenga sono in sostanza due: che il suddetto accordo non risolva alcuni problemi (T2 e mancanza di memorandum con Banca Italia) e che con tale accordo la sovranità del paese, questa chimera, sarebbe a rischio. Per sostenere questo si citano le diverse scelte di integrazione effettuate da altri piccoli stati.
Comincio da qui: i riferimenti fatti alla Svizzera, a Monaco e soprattutto al Liechtenstein, sono totalmente fuorvianti. Nell’articolo del 29 luglio si sostiene che il Liechtenstein avrebbe detto no all’Accordo di Associazione, in quello del 19 agosto e del 8 settembre che quel Principato avrebbe una blanda integrazione con l’UE, basata su accordi settoriali, anzi addirittura che “il Liechtenstein continuerà a gestire il rapporto con la Ue come ha fatto San Marino finora”.
Il Liechtenstein, assieme alla Norvegia ed all’Islanda, è dal 1994 nello Spazio Economico Europeo. Tale livello di integrazione è quanto di più simile all’Accordo di Associazione ci possa essere: il punto fondamentale è la partecipazione al Mercato Unico Europeo, quindi le quattro libertà (di circolazione) fondamentali (delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali). Come dimostra l’ottimo lavoro della Dott.sa Maria Giacomini per conto del Centro di Ricerca per le Relazioni Internazionali (“Gli accordi di associazione dell’Unione europea con gli Stati terzi – Una ricerca comparata, consultabile sul sito dell’Unirsm”), il modello usato dalla Commissione Europea per l’Accordo di Associazione è proprio il SEE, compreso il fatto di dover incorporare ed adattare dinamicamente nelle legislazioni dei paesi dei due accordi la parte dell’Acquis (ovvero l’insieme degli obblighi e degli obiettivi) relativo al Mercato Unico.
Il Liechtenstein non ha mai dovuto dire di no all’Accordo di Associazione perché non è mai stato in discussione.
La Svizzera, che non è un piccolo paese e non ha una economia schiacciata su un singolo paese come noi, e commercia con l’UE quanto col resto del mondo, partecipa all’EFTA (Associazione Europea del Libero Scambio), assieme ai 3 paesi citati poco sopra, perché l’EFTA era l’ambito che precedeva lo SEE.
La Svizzera non vi è entrata perché ha deciso, sostenuta dalla sua tradizione diplomatica eccezionale, di negoziare innumerevoli accordi settoriali, circa 120.
È uno sforzo immane e conferma comunque il fatto che neanche la Svizzera possa fare a meno di essere integrata nell’economia europea. È uno sforzo considerevole anche per l’Unione Europea che si è stancata di negoziare con gli elvetici ogni singolo aspetto e proprio da qualche mese ha rivisto, dopo un blocco di alcuni anni, la modalità e l’estensione dei rapporti bilaterali.
Monaco, che era assieme a noi ed Andorra fino ad un anno fa nel negoziato con l’UE, ha deciso di abbandonarlo. Con quel paese non abbiamo nulla in comune a parte il numero dei residenti: ha un sistema bancario sostanzialmente controllato dalla Francia, 30 volte più capiente del nostro, non ha in sostanza industrie, non vive di “economia reale” come San Marino, il Principe ha vasti poteri, insomma siamo agli antipodi. Tanto agli antipodi che, paradossalmente, Monaco ha commesso lo stesso errore capitale nostro del 2005, su cui tornerò più avanti. È vero, il T2 non è tra gli aspetti superati dall’Accordo di Associazione: per forza si potrebbe dire, perché gli aspetti relativi alla fiscalità non sono entrati nel negoziato. Tassazione diretta e indiretta rimangono prerogativa del nostro Stato.
Rimane il fatto che sarà importante superare l’esigenza del T2, su cui l’UE ha già dato disponibilità a mettere sul tavolo la questione, ma sappiamo tutti che senza l’adozione del sistema IVA ci saranno poche chance di soluzione.
Il Memorandum bancario con l’Italia invece non serve affatto: non siamo più nel 2008, quando il nostro sistema bancario era compartecipato da quello italiano, c’erano “succursali” delle nostre finanziarie in Italia e la raccolta era per il 70% di residenti italiani. Nemmeno l’Italia ha più il cruccio di tenere sotto controllo San Marino. In sintesi: l’Italia stessa rimanda alla Banca Centrale le vicende di quel settore, appunto perché essa è nell’Unione Europea ed i margini di manovra, o di volontà, per regolare in maniera privilegiata i rapporti con paesi terzi non ci sono più. Gli ultimi due aspetti mi sollecitano la conclusione sulla questione sovranità: l’esigenza per San Marino di rivolgersi all’Unione Europea è segnatamente in funzione del fatto che non abbiamo saputo interpretare il significato di sovranità, che non vuol dire usarne le leve per lucrare sulle differenze normative, in particolare su regole opache nel settore bancario e finanziario.
Questo è invece ciò che è stato fatto un quarto di secolo fa: usando anonimato bancario e societario, puntando sulla non trasparenza, abbiamo amplificato quel sistema da 4 a 12 banche, da una manciata a oltre 60 finanziarie, nel giro di 7 anni. Si potrebbe, eventualmente, lamentare di essere stati sfortunati in quanto già all’inizio di questa espansione, a seguito dell’attentato dell’11 settembre 2001, a livello globale le maglie della trasparenza e della fine della segretezza, cominciavano a stringere.
Veniamo al 2005 già citato: in quell’anno, praticamente tutto il Consiglio Grande e Generale (tranne il PSD), sconfessando il Governo, decise di non approvare l’Accordo con l’Italia che prevedeva le prime, timide, forme di scambio di informazioni. All’epoca si usò proprio la scusa della sovranità, in funzione del fatto che sarebbe stata una sua menomazione accettare le regole italiane e superare il regime di segretezza tanto caro a chi, proprio in quegli anni, stava lucrando molto sul differenziale normativo. Quando nel 2008 arrivò la crisi finanziarie globale e finimmo nel mirino di OCSE e Moneyval (proprio perché Stato non UE e non SEE), fu però l’Italia, che prese molto male lo sgarbo del 2005, ad adottare provvedimenti drastici: la black list in cui già eravamo fu usata per rendere difficoltosi gli scambi economici, esterovestione e stabile organizzazione divennero concetti noti a tutti, Banca d’Italia decise di tagliare ogni rapporto con i nostri, Delta fu fatta brillare. Insomma, ci siamo tenuti la nostra sovranità, che però valeva solo a casa nostra, fino al 2008, quando “volontariamente” abbiamo iniziato a limitare libretti al portatore, poi a togliere le società anonime, poi a togliere il segreto bancario, fino ad arrivare addirittura ad aderire allo scambio automatico di informazioni tra i cosiddetti early adopters.
Solo dopo di ciò, ed avere prodotto la riforma fiscale firmata Felici, con la reintroduzione del reato di evasione fiscale, caro all’Italia, nel 2014 siamo usciti dalla black list e inseriti nella white list. Tutto ciò è avvenuto in contemporanea con la richiesta di una maggiore integrazione con l’UE: mutare la percezione internazionale da “paradiso fiscale” a stato collaborativo non poteva che coincidere con l’essere riconosciuti dall’apparato normativo e di legittimazione più sofisticato al mondo, appunto l’Unione Europea.
In conclusione, il percorso storico della Repubblica non poteva che portarci qui, non a difendere una sovranità utile solo a riempire di retorica i nostri discorsi, ma a valorizzarla essendo partecipi di organizzazioni internazionali qualificanti e serie come l’Unione Europea.
L’alternativa non è quella di avere più libertà a disposizione perché non associati ad essa, ma di essere ritenuti dei paria (la prima cosa successa a Monaco dopo l’uscita dalla trattativa con l’UE è di finire sotto procedura rafforzata) e contemporaneamente, comunque, doversi adeguare alle regole europee in quanto San Marino vive di importexport e rapporti politici con paesi dell’UE. Tra l’altro, proprio attraverso l’Accordo di Associazione, per la prima volta, la Repubblica avrà la possibilità di far sentire la sua voce prima che una norma europea sia adottata e da noi recepita (Capitolo 2 – consultazione nel quadro della procedura decisionale dell’Unione europea).
Gerardo Giovagnoli – L’informazione di San Marino. Articolo pubblicato per intero dopo le ore 20
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