Informazione di San Marino: “Le dichiarazioni di Ciavatta e Tonnini, usate dalla difesa Gatti, «non suffragate da prove»”

Informazione di San Marino: “Le dichiarazioni di Ciavatta e Tonnini, usate dalla difesa Gatti, «non suffragate da prove»”

Il fascicolo aperto sulla scorta di quelle dichiarazioni per violazione di segreto d’ufficio e divieto di pubblicazione è stato archiviato tre volte.

ANTONIO FABBRI – Ha fatto una certa impressione a una terrorizzata opinione pubblica, che da un po’ teme pure di esprimere la propria opinione per una sorta di censura che si abbatte oramai anche d’ufficio sulla libertà di pensiero e il diritto di cronaca, il fatto che Gabriele Gatti abbia versato in media in 22 anni 12.500 euro in contanti al mese. Contanti, “che non erano stipendi, al netto dei libretti”, ha specificato la Procura fiscale nella scorsa udienza. Oggi l’ultimo atto di quel processo con l’arringa difensiva dei legali di Clelio Galassi, che ha tenuto un contegno processuale certamente di più basso profilo rispetto all’ex collega di governo.

D’altra parte dalla prima udienza – quando un non-giornalista “per conto del Tg5”, disse senza attestarlo con nessun documento, voleva filmare le udienze e subito aveva incontrato il compiacente consenso, poi ritirato, della difesa Gatti – era già evidente che si volesse puntare alla riabilitazione mediatica. Che magari, se ci saranno gli estremi, avverrà pure. Non c’entra certo lo scenario da “terra da ceciin tribunale che ha preceduto anche questo processo, oltre al Mazzini. Scenario evocato, pur parafrasandolo dicendo di non aver partecipato ad alcuna “terra da ceci” verso la politica, anche dalla Procura fiscale nella sua requisitoria. Comunque, per Procura fiscale e Parte civile, i fatti sono chiari, ci sono e sono inequivocabili, ancorché non punibili alla luce delle note nuove interpretazioni del Collegi Garante dell’agosto 2021. Fatti che hanno fatto chiedere comunque la conferma della confisca del denaro ritenuto sporco. Per la difesa, invece, non ci sono le prove, i fatti non erano reato e il processo non doveva neppure cominciare. Oggi toccherà ai difensori di Galassi formulare le loro richieste.

Va tuttavia chiarito che l’incipit dell’arringa della difesa Gatti, si è basato su premesse non fondate e non provate, ma comunque utilizzate per sostenere la propria narrazione, che poi è la stessa del fantomatico “colpo di stato”, del processo politico, della persecuzione, sostenuta anche nelle sedi politiche per evidenti finalità di parte.

Ma i fatti dicono altro, anche se la verità non si autoimpone, ma necessita di essere sostenuta da persone di buona volontà per potersi affermare o, quanto meno, per rimanere agli atti.

Dunque qualche precisazione va fatta sulla narrazione della difesa Gatti e in particolare sulle premesse alla tesi dell’avvocato Filippo Cocco. Cosicché, seguendo il ragionamento che lo stesso legale ha ripetuto più volte nella sua arringa, si potrebbe dire che se la tesi non è provata nelle sue premesse, allora non è vera.

Il presupposto della narrazione L’arringa in difesa di Gabriele Gatti da parte dell’avvocato Filippo Cocco, con il singolare siparietto in cui faceva finta di non sapere che Elena Tonnini e Roberto Ciavatta siano attuali Segretari di Stato agli Interni e alla Sanità, ha spacciato per assodate e certe quelle che si sono rivelate ipotesi, pareri e illazioni non provate. Proprio lui, che ciondolando qua e là con fare teatrale come è solito atteggiarsi quando fa l’arringa, ha sostenuto, una frase sì e l’altra pure, che le ipotesi e le illazioni senza prove non hanno diritto di cittadinanza nel processo penale. Quelle degli altri, verrebbe da dire. Perché l’avvocato Cocco, le supposizioni non provate che gli facevano comodo le ha richiamate. Anzi, le ha poste a premessa di quanto ha poi argomentato. Eppure, com’è che ha detto lo stesso Cocco? “Nel processo funziona così: c’è una tesi, e se la tesi non è provata, decade”. Eggià.

In sostanza è partito utilizzando delle affermazioni degli esponenti di Rete, funzionali alla difesa di Gabriele Gatti, sostenendo che fossero attendibili, ma evitando di sottolineare troppo che, in realtà, quelle affermazioni tanto attendibili non erano, poiché non hanno trovato riscontro. Tanto che le accuse inizialmente mosse sulla base di quelle dichiarazioni sono state oggetto non di una, non di due, ma di ben tre archiviazioni. Tre giudici diversi e di vari gradi hanno cioè detto che quelle testimonianze che l’avvocato Cocco ha letto con enfasi – di Roberto Ciavatta, Elena Tonnini e Luca Lazzari – non hanno trovato riscontro probatorio. Erano cioè opinioni, ipotesi, illazioni.

La prima indagine archiviata Gabriele Gatti tramite i suoi legali ha deciso a inizio del 2018 di sporgere denuncia per la pubblicazione “Gabriele Gatti in carcere”, libro uscito nel 2015, anni prima dunque, quando l’ex Segretario agli Esteri venne posto sotto custodia cautelare. Denuncia, tra le altre cose, per rivelazione di segreti d’ufficio e divieto di pubblicazione. A fine 2018 anni dopo dunque – Roberto Ciavatta, probabilmente irritato per la pubblicazione dei verbali della Commissione affari di Giustizia da parte de “L’informazione di San Marino” – tra l’altro pubblicazione legittima come confermato dal Collegio Garante – , è andato a riferire spontaneamente – e fuori contesto – che 4 anni prima aveva ricevuto una e-mail da Antonio Fabbri con un documento relativo all’arresto di Gabriele Gatti. Chissà come mai quelle affermazioni vennero utili per il procedimento aperto con la denuncia di Gabriele Gatti, difeso dagli avvocati Gian Nicola Berti e Filippo Cocco. Roberto Ciavatta, quello di Rete, a gennaio del 2019 viene, in funzione delle sue affermazioni fuori contesto in altro fascicolo, chiamato a testimoniare per osmosi nel fascicolo della denuncia di Gatti. La testimonianza di Ciavatta, resa il 31 gennaio 2019, oltre ad essere contraddittoria, non risulta basata su dati di fatto, ma su illazioni e opinioni. Roberto Ciavatta si spinge in insinuazioni che non hanno riscontro né fondamento. Non si può dire che in questo non sia stato aiutato dalle domande ambigue formulate dall’agente di polizia giudiziaria, il tenente Stefano Bernacchia, che a sua volta non gli chiese di riferire solo su fatti, ma si spinse a domandare al testimone le sue opinioni. Opinioni che si tradussero in insinuazioni. E quali sono queste insinuazioni? Chiese Bernacchia: “Secondo lei (…) come può essere…” che il giornalista fosse in possesso dell’ordinanza? E già qui ci sarebbe da opinare molto sul fatto che un agente di Polizia giudiziaria chieda a un testimone di riferire le sue opinioni e non i fatti.

La risposta del Ciavatta è un capolavoro di insinuazione: “Penso che Antonio Fabbri, avesse ed abbia, un canale diretto con il Commissario della legge Alberto Buriani e che tramite la predetta autorità sia venuto in possesso dell’ordinanza in questione”. Saputo quello che si voleva sentirsi dire, l’audizione finisce lì. Non si chiede al testimone come faccia a dirlo, se abbia delle prove di questo, ma si verbalizza e si dà credito ad una pura illazione.

La “genialata” dei metadati L’avvocato Cocco, citando il tenente Stefano Bernacchia come un oracolo dell’informatica, ha ritirato fuori la storia dei “metadati” del file sull’arresto di Gatti inviato a Ciavatta, sostenendo che quel file aveva gli stessi “metadati” del file dell’ordinanza. Giocando così sulle parole si vorrebbe fare intendere che il file coincideva quello della magistratura. E invece non è così.

I “metadati” del file inviato a Ciavatta coincidevano con quelli del file usato da “L’informazione” per realizzare la pubblicazione “Gabriele Gatti in carcere”. Maddai? Era lo stesso, per forza. Ma non era affatto lo stesso della magistratura.

Pure questa genialata dei “metadati” non sta dunque in piedi, anche se ripetuta come un mantra, tanto che pure Ciavatta l’ha voluta dare ad intendere parlandone a suo tempo in Consiglio. D’altra parte, che la storiella dei “metadati” non stia in piedi, è attestato dall’archiviazione del caso per ben tre volte.

Tre archiviazioni. La prima Arriviamo alle tre archiviazioni che accertano quindi come le dichiarazioni rilasciate da Roberto Ciavatta, Elena Tonnini, Luca Lazzari e compagnia cantante in sede giudiziaria, non siano così dogmatiche come vorrebbe l’avvocato Cocco, ma per la verità, al contrario, non hanno trovato proprio alcun riscontro probatorio. Così, nel decreto di archiviazione datato 4 ottobre 2019 relativo a quel procedimento penale, i Commissari della Legge Laura di Bona e Simon Luca Morsiani, scrivono:

Non è possibile sostenere ulteriormente una contestazione di reato ipotizzato sulla base di argomentazioni di carattere deduttivo-induttivo”. E ancora “resta tuttavia indimostrato il reato di rivelazione a carico di un pubblico ufficiale”, giusto per citare un paio di passaggi circa la contestazione di “rivelazione di segreto d’ufficio” in concorso. Ma anche per l’altra contestazione di “Pubblicazione di atti segreti inerenti un procedimento penale”, l’archiviazione viene stabilita nel merito, nonostante il reato fosse comunque già prescritto, “per l’obiettivo interesse pubblico rivestito dalla notizia: ciò che consente di scriminare la condotta de L’Informazione”.

La seconda archiviazione Gli avvocati di Gatti, impugnano l’archiviazione. Il giudice di appello, Giuseppe Severini – con la sentenza 31/2022 del 22 aprile 2022 – nel confermare le determinazioni degli inquirenti, rigetta l’impugnazione e conferma l’archiviazione scrivendo chiaramente: “circa i denunciati reati di rivelazione di segreti di ufficio e pubblicazione di atti segreti inerenti un procedimento penale, in disparte riferiti episodi singoli (es. come riferiti da Ciavatta Roberto) che però non appaiono suffragati da prove (…) resta fermo quanto assunto nel provvedimento di archiviazione”. E siamo a due, anche se l’avvocato Cocco ha inteso riprendere ancora per buone quelle affermazioni “non suffragate” da prove.

Il teorema cade per la terza volta Il teorema cade per la terza volta, assieme al teorema del colpo di Stato. Nella archiviazione di quel castello mutuato dalla politica che si è servita – e si serve ancora – della giustizia per fini poco nobili, il Commissario della legge Elisa Beccari, con una affermazione più insinuatoria che di sostanza per la verità, riesumava la narrazione di Ciavatta e dei difensori di Gatti, e diceva in sostanza: qualche violazione c’è, ma non si può procedere perché prescritto… ignorando che, per la verità, quei medesimi fatti erano già stati archiviati nel merito. Ebbene, su questa postilla, diciamo superficiale, del Commissario Beccari, è intervenuto di nuovo, in seguito a ricorso del Commissario Buriani, il giudice Giuseppe Severini, che con ordinanza 28/2022 ha imposto addirittura di modificare quella frase del provvedimento della Beccari che di fatto insinuava che qualche irregolarità ci potesse essere. Invece così non è e per questo il giudice Severini ne ha imposto la modifica con una dicitura che confermasse l’archiviazione nel merito “per mancanza di prove idonee” a dimostrare le accuse.

Non c’è altro da aggiungere.

 

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 23

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