San Marino. Dopo 15 anni arriva al capolinea il primo caso di riciclaggio giudicato sul Titano

San Marino. Dopo 15 anni arriva al capolinea il primo caso di riciclaggio giudicato sul Titano

Dopo la condanna definitiva a San Marino, era partita una serie di impugnazioni e ricorsi Si chiude con l’ultima pronuncia della Cedu che conferma una confisca da 1,9 milioni di euro

ANTONIO FABBRI. La sentenza definitiva risale al 2008 e si tratta del primo caso a San Marino di riciclaggio che ha fatto ingresso nell’aula giudiziaria. Il primo grado si era concluso nel 2005, in seguito ad una indagine partita nel 2003, pochi anni dopo che nella legislazione penale sammarinese era stato introdotto l’articolo 199bis, riciclaggio appunto.

L’indagine aveva visto il sequestro prima, e la confisca poi, di circa 1,9 milioni di euro custoditi in una cassetta di sicurezza, ritenuti frutto del reato di evasione e frode fiscale ai danni dello Stato italiano per un illecito traffico di auto da parte di un imprenditore forlivese. Sul Titano il denaro era stato movimentato dal padre, dalla compagna dell’autore del reato presupposto e da un prestanome sammarinese.

La confisca, tuttavia, era stata oggetto di diversi ricorsi e impugnazioni, l’ultimo dei quali davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la cui sentenza, che pone la definitiva parola ‘fine’ sulla questione, è arrivata in questi giorni. L’11 maggio scorso.

L’iter giudiziario a San Marino Dopo l’indagine che aveva visto il rinvio a giudizio di tre persone, con sentenza di primo grado del 29 novembre 2005, l’allora giudice Vittorio Ceccharini aveva dichiarato colpevoli i tre coimputati, condannandoli a un anno, due di essi, e tre mesi il terzo, prestanome sammarinese. Le pene detentive erano state sospese, ma era stata disposta la confisca del denaro sequestrato, lasciando al giudice dell’esecuzione la determinazione della quota spettante ai due Stati coinvolti, San Marino e Italia, sulla base degli accordi internazionali.

Si trattò della prima applicazione dell’articolo 199bis del codice penale, norma emanata per rispondere al crescente fenomeno dell’impiego di denaro sporco e per la necessità di contrastare tale fenomeno alla luce degli obblighi internazionali. In appello la condanna venne confermata nei confronti di due imputati e dichiarato prescritto il reato per il terzo. Soprattutto il giudice David Brunelli confermò a confisca, ritenendo che gli elementi forniti dalle autorità italiane tramite rogatoria circa il reato presupposto, erano più che sufficienti per dimostrare che la somma di 1.946.200 euro, era stata ottenuta in tutto o in gran parte dalla commissione dei reati di frode allo Stato commessi in Italia. Il giudice di Appello aveva anche respinto l’eccezione degli imputati secondo cui il reato presupposto sarebbe stato punibile a San Marino. In realtà la frode allo Stato era chiaramente punibile anche sul Titano.

Le impugnazioni e il ricorso alla Cedu Da parte di colui che era ritenuto l’autore del reato presupposto – che però non era imputato a San Marino perché all’epoca era ancora vigente il cosiddetto “privilegio dell’autoriciclaggio”, non era cioè punibile l’autore del reato che aveva originato la provvista illecita – è scattata una serie di impugnazioni e ricorsi da parte dell’interessato, che appunto non era imputato nel processo sammarinese. Tra i ricorsi nelle varie sedi, quello finale è giunto alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo. Questo per fare valere, tra le altre cose, il fatto che la confisca era stata disposta nei confronti di un soggetto terzo che non era imputato nel processo, rilevando inoltre che lo stesso in Italia era stato prosciolto per l’intervenuta prescrizione del reato che gli era contestato e si era visto restituire il compendio originariamente sequestrato oltre confine. Il ricorrente ha quindi sostenuto che la misura della confisca non fosse né legittima, né proporzionata. Non dello stesso avviso la Corte di Strasburgo che, pur dichiarando ammissibile il ricorso, lo ha respinto nel merito.

Le decisione della CeduLa Corte osserva – si legge infatti nel paragrafo 60 della sentenza – che il riciclaggio di denaro minaccia direttamente lo Stato di diritto, come risulta evidente anche dall’azione del Consiglio d’Europa e di altri organismi internazionali in questo campo. In particolare, le Convenzioni del Consiglio d’Europa in materia hanno vincolato gli Stati a criminalizzare il riciclaggio dei proventi di reato e prevedono altre misure volte ad avere una forte politica penale per combattere questo crescente fenomeno nazionale e internazionale la cui complessità è senza precedenti”. Quindi aggiunge la Corte: “Inoltre, la confisca del denaro riciclato ha anche lo scopo di prevenire la recidiva (poiché, a San Marino, l’uso o il trasferimento di denaro riciclato è di per sé un reato) e di evitare che tali fondi circolino ulteriormente nell’economia (…) Non vi è quindi alcun dubbio che la misura nel caso di specie perseguisse uno scopo legittimo, di interesse generale, ossia la lotta al riciclaggio di denaro”.

Quanto alla proporzionalità la Corte ha affermato che “non è suo compito sostituirsi ai tribunali nazionali, che sono nella posizione migliore per valutare le prove dinanzi a loro, stabilire i fatti e interpretare il diritto interno. La Corte non dovrebbe agire in qualità di tribunale di quarta istanza e pertanto non metterà in discussione il giudizio dei tribunali nazionali, a meno che le loro conclusioni non possano essere considerate arbitrarie o manifestamente irragionevoli”.

Irragionevolezza che la Corte non riscontra, al contrario “osserva che lo scopo perseguito nel caso di specie era proprio quello di prevenire la recidiva (attraverso la mera detenzione di quel denaro riciclato) e l’ulteriore circolazione di quei fondi nell’economia con il danno che ciò comporta. C’è quindi poco spazio per qualsiasi misura diversa dalla confisca obbligatoria delle somme identificate come fondi illeciti. Al riguardo la Corte osserva, tuttavia, che la decisione dei giudici penali di applicare il provvedimento di confisca alle somme già sequestrate (non meno, non più) è stata frutto di una valutazione giudiziale sulla base degli elementi a disposizione. Nulla, infatti, suggerisce che, se qualcuno degli imputati fosse stato in grado di provare la provenienza lecita di almeno una parte di quei fondi, i giudici penali non avrebbero ridotto di conseguenza l’importo da confiscare. Così, mentre la confisca era obbligatoria, un elemento di valutazione sarebbe spettato ancora ai giudici in relazione a ciò che doveva essere confiscato. Non vi è, infatti, alcuna affermazione, tanto meno alcuna prova, che il processo dell’imputato che ha portato alla confisca non sia stato equo, o che sia stato basato su considerazioni arbitrarie, e il solo fatto che la confisca abbia riguardato una cospicua somma di denaro non lo rende sproporzionato”, afferma la Corte che ha quindi sentenziato come non ci sia stata alcuna violazione della convenzione dei diritti dell’uomo da parte dello stato di San Marino nel giudicare il suo primo caso di riciclaggio.

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 19

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