San Marino. Poche nascite e aborto.  Don Gabriele Mangiarotti

San Marino. Poche nascite e aborto.  Don Gabriele Mangiarotti

È ora di smettere di «piangere sul latte versato»

DON GABRIELE MANGIAROTTI- Leggo il comunicato della USL: “Se davvero vogliamo impegnarci a creare un clima più favorevole alla nascita di nuovi bambini – asserisce il Segretario Generale USL Francesca Busignani – non dobbiamo pensare di farlo con provvedimenti a costo zero o quasi, ricordiamoci bene che un Paese senza nuove generazioni è un Paese senza futuro”.

C’è chi si continua a battere per magnificare le leggi che introducono l’aborto come un diritto, oltre che compiacersi della votazione europea che chiede di introdurre l’aborto stesso come diritto nelle carte costituzionali di ogni stato e poi ci si meraviglia (con sconcerto – come abbondanti lacrime di coccodrillo) dell’inverno demografico.

Credo che sia una questione di logica e di coerenza. In rete si trovano anche utili riflessioni sul tema, come queste di Anna Porchetti: «Esiste una cultura pseudo progressista che glorifica l’aborto, come somma dimostrazione dell’emancipazione femminile.

L’aborto, in occidente, è un segno di arretratezza, non di progresso. Radicalmente opposto a quello che dovrebbe essere l’obiettivo di una società davvero avanzata: la maternità responsabile.

Circolano sull’aborto narrazioni ideologiche e vere e proprie bugie. La prima e più grande è presentarlo come conquista, anziché come terribile ferita.

In una recente intervista, Simona Ventura, che non è certo una sostenitrice della causa prolife, ha ricordato un aborto in giovane età. Malgrado la vita le abbia dato molto, non c’è giorno in cui non pensi a quel bambino mai nato, dice.» [https://annaporchetti.it/2024/04/18/la-verita-vi-prego-aborto/]

Forse è giunto il momento di ripensare al tema della vita, della maternità, della famiglia. È una questione di giudizi e quindi di opere, di politiche non improvvisate e capaci di tendere al bene comune, senza ridursi all’interesse personale o di gruppo.

La vita è un bene che va difeso sempre, e – come ricordava Madre Teresa di Calcutta – è evidente che l’aborto è l’attentato più grave alla pace, perché insinua il pensiero che ci siano vite umane non degne di essere difese e protette.

Quando la Vicedirettrice di Rai1 ha ricordato che l’aborto è omicidio, abbiamo sentito il livore e l’odio dei tanti paladini della morte. Che si sono addirittura affannati a invocare il suo licenziamento, perché non c’è libertà di pensiero e di parola per chi dissente dalla vulgata che vuole imporsi come verità indiscutibile.

E qui si apre, oltre al campo della riflessione comune su quelli che sono stati definiti «principi non negoziabili», il vasto spazio del pensiero sulla comunicazione, che sembra essere sempre più lo spazio non della libertà, ma dell’indottrinamento, della menzogna, della sorveglianza, come abbiamo recentemente suggerito a partire dal servizio di Netflix «The social dilemma».

In questi tempi siamo tutti impegnati a riflettere sulla responsabilità che abbiamo di fronte alla società: sia le elezioni a San Marino sia quelle che si terranno per l’Europa ci chiedono di riflettere, e di agire di conseguenza, riguardo a quello che da tempo si chiama il «bene comune», senza censure né pregiudizi.

E il mondo della comunicazione può essere di aiuto o di ostacolo. Leggendo il testo sul Capitalismo della sorveglianza mi hanno colpito queste parole, che ci dovrebbero aprire gli occhi (e Papa Francesco l’ha fatto nel suo Messaggio per la Pace di quest’anno, sul tema della Intelligenza artificiale) suggerendoci uno sguardo critico su tutto il mondo della informazione: «Le fortezze per proteggere Google, e in seguito altri capitalisti della sorveglianza, da critiche e interferenze politiche sono state erette in quattro ambiti chiave: 1. dimostrando che Google è in possesso di competenze senza pari da sfruttare nelle campagne elettorali; 2. sfumando deliberatamente le differenze tra interessi pubblici e privati tramite collaborazioni e attività di lobbying molto aggressive; 3. creando un sistema di “porte girevoli” per il personale di Google e dell’amministrazione Obama, unite da affinità elettive negli anni che vanno dal 2009 al 2016, fondamentali per la crescita di Google; 4. la campagna d’influenza sulla ricerca accademica e sul discorso culturale complessivo, fondamentale per la decisione delle policy, per la pubblica opinione e la percezione politica.

[…] “Al quartier generale di Obama, a Chicago, […] l’elettorato è stato rimodellato, ogni singolo weekend […] lo staff poteva osservare l’impatto degli eventi sui comportamenti previsti e sulle convinzioni di ogni elettore in tutta la nazione”. Secondo una ricerca degli esperti di media Daniel Kreiss e Philip Howard, la campagna di Obama del 2008 ha raccolto dati significativi su più di 250 milioni di americani, compresa “una vasta gamma di dati relazionali e comportamentali ricavati dal sito della campagna e da social media esterni come Facebook”. […]

… Google spese in attività di lobbying più di qualunque altra azienda: più di 17 milioni di dollari, quasi il doppio del proprio rivale nell’ambito della concorrenza Facebook. […] Google è stata anche tra i lobbisti che hanno speso di più nell’Unione Europea, seconda solo a una lobby che rappresenta una confederazione di sindacati europei.

[…] La capacità del capitalismo della sorveglianza di tenere a bada la democrazia ha prodotto due dati essenziali. Google è guidata da due uomini che non amano la legittimità del voto o la supervisione democratica, e che da soli controllano come viene organizzata e presentata tutta l’informazione del mondo. Facebook invece è guidata da un uomo che non ama la legittimità del voto o la supervisione democratica, e che controlla da solo un mezzo di connessione sociale sempre più diffuso e l’informazione presentata o nascosta nelle sue reti.»

L’«Antica terra della libertà» saprà difendere il suo volto e la sua caratteristica, sia per difendere la vita sia per testimoniare la verità, soprattutto di fronte ai tanti giovani che si preparano alla vita e che hanno bisogno di forza e chiarezza e sostegno?

Ne va del nostro futuro.

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